Il caso

"Cosa succede con Trump o con Harris". Gli scenari economici sulla scrivania di Meloni per il voto Usa

Simone Canettieri

Il timore per il commercio e i dazi nei dossier riservati inviati a Palazzo Chigi. La premier resta cauta, ma il deputato di FdI andrà al comitato elettorale di "The Donald". Il calendario la stringe fra la visita di Rutte e il viaggio da Orban

“Nessun tifo preventivo”, ha chiesto Giorgia Meloni al suo partito, Fratelli d’Italia, in vista delle elezioni americane.  Nell’ultimo mese però sono arrivati a Palazzo Chigi – via Farnesina – i report dell’ambasciata italiana a Washington presieduta da Mariangela Zappia (prorogata fino a giugno) e quelli della direzione generale per gli Affari politici e la sicurezza del ministero degli Esteri. Sono scenari dettagliati sulle conseguenze per l’Italia in caso di vittoria di Kamala Harris o di Donald Trump. Questi “dispacci”  hanno riempito le scrivanie di Francesco Saggio e di Renato Loiero, rispettivamente consiglieri diplomatico ed economico della presidenza del Consiglio.  


Nella foga dell’ordalia americana il governo cerca di comparare l’ipotesi “H” con quella “T”, passando da come sarebbero i loro governi fino all’analisi dei programmi di democratici e repubblicani. Ciò che preoccupa, più di un apparente ed enorme tema sullo scontro “fra sovranismi e internazionalismi”, riferiscono fonti di governo al Foglio, sono le diverse ricadute su commercio internazionale, dazi su alluminio e acciaio, la bilancia economica e ovviamente i rapporti con la Cina. 

Con Harris alla Casabianca ci sarà uno scenario, con Trump, vien da sé, un altro, antitetico. Meloni e Tajani si sono dati la consegna del silenzio da trasmettere alle truppe. Non si registrano infatti dichiarazioni di FdI a favore di The Donald, anche se è innegabile un avvicinamento sotto traccia di Meloni verso l’infosfera del tycoon. Un rapporto che al momento si può leggere in controluce attraverso il legame forte e di intesa con Elon Musk, lo zio d’America che di persona e sui social è diventato uno strenuo commentatore delle cose italiane (dalle vicissitudini giudiziarie di Matteo Salvini a quelle legate ai migranti in Albania). La partita è tesa, il risultato è sospeso in America. E comunque a titolo personale (ma non solo) dall’Italia è atteso a Palm Beach, nel quartier generale del comitato elettorale trumpiano, Andrea Di Giuseppe, il deputato di FdI, con doppio passaporto che da sempre cerca di essere un elemento fluidificante fra la destra italiana e quella dell’ex presidente che sogna il ritorno. Di Giuseppe non avendo incarichi di governo sa di non creare imbarazzi al tentativo di equidistanza di Palazzo Chigi (informatissimo sul viaggio) anche se è difficile pensare che non porterà i saluti della “capa” definita da Trump “trustable”. E cioè affidabile. C’è lui dietro il movimento di italoamericani che sostengono il leader conservatore. E non da oggi. Una tela di rapporti che ha portato anche attraverso giochi di sponda all’estradizione di Chico Forti in Italia, come svelò il Foglio. E però la diplomazia, anche quella partitica, finisce qui. E si inserisce nella consuetudine delle delegazioni che andranno negli Usa ad aspettare l’esito cervellotico delle urne (e tifare i propri beniamini). Se tutte le tv italiane, in modalità maratona, si sono già accaparrate i collegamenti con il meloniano Di Giuseppe, il Pd ha inviato a Washington la neo europarlamentare Lucia Annunziata e il deputato Peppe Provenzano (responsabile Esteri del Nazareno). Gira che ti rigira il derby italiano è servito: con Tajani silenzioso e preoccupato, Matteo Salvini scatenato e Giuseppe Conte, ambiguo ma consapevole che la sua base politica ed editoriale non si spella le mani per un successo di Harris. Anzi sarebbe un ottimo modo per distinguersi da Elly Schlein.

In questo clima sospeso, l’agenda di Meloni è pronta però a regalare giornate intense, con un forte retrogusto americano. Si inizia oggi con l’arrivo a Palazzo Chigi di Mark Rutte, in tour per le cancellerie d’Europa. Il quale ieri da Berlino ha ribadito che se anche dovesse vincere Trump “la Nato resterà unita”. Aggiungendo però sul conflitto in Ucraina – altra spada di damocle che pende sull’esito delle elezioni Usa – che “se Putin dovesse vincere non si fermerà”. Sugli esiti del conflitto, a seconda di chi diventerà presidente degli Stati uniti, basculano una serie di fortissimi interrogativi anche dalle parti del governo italiano. Evenienza che un mese fa il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Giovanbattista Fazzolari ha provato, in maniera più o meno convinta, a esorcizzare: “Anche con Trump non mancherà il sostegno all’Ucraina”. Sarà. Tuttavia ci penserà sempre il calendario a mettere alla prova Meloni davanti al risultato americano. La premier giovedì e venerdì sarà a Budapest, in Ungheria, al vertice della Comunità politica europea.  Dunque chez  Viktor Orbán, presidente di turno della Ue, unico leader europeo a schierarsi apertamente con Trump, che lo ha citato anche nel suo ultimo comizio. Un’adesione completa e ideologica che lo ha spinto a porre il veto sulla discussione se allungare o meno le sanzioni imposte agli asset russi immobilizzati in Europa (come chiesto dagli Usa) sino a dopo le elezioni, per vedere come girerà il vento. Meloni è prudente, c’è chi spinge a dire che per l’etorogenesi dei fini, e visti i buoni rapporti con la presidenza Biden, sarebbe pronta a salutare con gioia istituzionale la vittoria di Kamala. Ma tutto può cambiare in una notte. Oplà.
 

  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.