(foto Ansa)

l'intervista

Renzi: “Trump? Un monito per le sinistre: più della protesta, serve la proposta”

Francesco Gottardi

“Il nuovo presidente degli Stati Uniti ha saputo imporre la sua narrazione: è così che si vince”, dice il leader di Italia viva. “Questo risultato è una sveglia collettiva: Meloni sarà l’unica sponda europea di Trump. Ed essere tutti contro non funziona: i progressisti devono costruire”

La sportività innanzitutto. “Abbiamo sempre contestato a Trump la sua incapacità a riconoscere il risultato: chi sosteneva Kamala, oggi deve augurargli buon lavoro”. Poi però c’è la sveglia. “Gigantesca. All’Italia e all’Europa: è l’ora di mettere i contenuti sopra l’ideologia”. Matteo Renzi traccia il bivio, dopo la batosta americana. “Conosco bene Giorgia Meloni: sarà bravissima a costruire un rapporto forte con il nuovo presidente. Che l’aiuti Musk oppure no, sarà lei la sua vera sponda in Europa. E lei soltanto: non c’è spazio per Salvini o Conte”. Si risparmino le sviolinate. “Quanto alla sinistra, l’ammucchiata contro il pericolo non funziona: l’unica via è costruire una contronarrazione vincente. Spiace dirlo, ma Trump ha saputo imporre la sua”.

 

E’ uno strano risveglio, in effetti. Più che il giorno del giudizio – Maga, muri, rigurgiti sovranisti: la lista è lunga – sembra un giorno da giudicare. “Da democratico accanito non mi fascerei la testa”, sdrammatizza Renzi al Foglio. “Una parte dell’inner circle di Trump è di prim’ordine: Mike Pompeo al Pentagono e Jamie Dimon all’Economia sarebbero dei fuoriclasse. E The Donald è talmente imprevedibile che può fare tutto: perfino una buona squadra”. O sbrogliare la politica estera. “Troppi temi erano in attesa del nuovo inquilino della Casa Bianca. Le cose sarebbero cambiate comunque, a maggior ragione cambieranno adesso. Trump conta su relazioni molto consolidate in medio oriente. E ha detto di volersi impegnare per la pace in Ucraina: credo che ci siano tutte le condizioni affinché si realizzi sia il compromesso con la Russia, sia la ripresa del dossier sugli Accordi di Abramo”. Andrà a finire che si prenderà lui il merito. “Di sicuro. Anche perché dov’è l’Europa della diplomazia? Lo ripeto da anni. La principale arma a nostra disposizione è quella che non usiamo. Ed è anche l’ennesima debolezza del governo italiano: abbiamo avuto la presidenza del G7 e zero iniziative. Questo è il concetto che nessuno ha la forza di ribadire”. E a Trump, un merito involontario Renzi lo attribuisce. “Imporre al nostro continente un’assunzione di responsabilità. Quando dice che l’Europa deve mettere il 2 per cento per le spese militari, l’Europa dovrà decidere cosa fare. Se c’è un tema di dazi bisogna saper reagire. Bruxelles farebbe bene a pensare meno alla parte burocratica, e di più ai contenuti”. Esempio. “Trump sbaglia quando nega il cambiamento climatico. Ma rispondere con gli slogan è altrettanto sbagliato: il Green deal è un clamoroso autogol, sulla tecnologia invece non investiamo. Vogliamo andare avanti?” Prego. “E allora guardiamo ai danni dell’area woke. Quando la sinistra vive di ideologismo sui diritti, poi perde sugli stipendi. Figuriamoci, io sono quello che ha firmato per le unioni civili: il diritto però non può trasformarsi nella cancel culture. Noi abbiamo provato a farlo notare, e pure qualche dem a Washington. Ma i repubblicani hanno avuto gioco facile: la cosa che mi fa più rabbia è che questa destra – quanto di più lontano da me – ha saputo raccontare una storia e costretto gli altri a inseguirla”. 

 

Sfruttando una lunga serie di uscite a vuoto. “Un peccato mortale non fare le primarie. Deleterio lasciare in panchina Shapiro. Ha sbagliato anche Kamala, nonostante la grande operazione di ricucitura interna, a non saper parlare a un certo elettorato come quello cattolico. Ma l’errore più grande è non aver sfruttato l’occasione: Trump era invecchiato di trent’anni, dopo l’uscita di Biden. Essersi limitati alla narrativa del nemico brutto, cattivo e pericoloso, senza una proposta diversa per il ceto medio, è ciò che l’ha tenuto in vita”. Fino a rilanciarlo, voti alla mano. “Soprattutto nelle realtà ad alto tasso rurale e operaio: la gente di New York e Los Angeles, la sfilza di star che ha appoggiato Kamala, viene percepita come da un altro pianeta. E ha contribuito ad allontanare gli elettori contendibili. Inoltre, in termini di carovita si sta meglio o peggio di quattro anni fa? Questa è la domanda fondamentale, che Trump ha intercettato”. Mentre altri si sono persi in grotteschi presidi universitari. “Pensare di coinvolgere i cittadini su certe tematiche, attraverso figli di papà pasolinianamente definiti che vanno a protestare fuori dalla Columbia per Gaza o quant’altro, è qualcosa di fuori dal mondo”.

 

Uno schiaffo di realismo anche alla nostra sinistra. Lo sarà? “Mica ci voleva Trump: lo abbiamo visto con trent’anni di berlusconismo”, rivendica il leader di Italia viva. “Le rare volte in cui il campo progressista ha vinto è stato costruendo una narrazione con delle proposte: ceto medio, stipendi. Al netto dei nomi, l’opposizione oggi ha un’unica carta da giocare: creare qualcosa di diverso rispetto a Meloni, e non contro Meloni”. Rientra nelle dinamiche del campo largo, quest’intesa costruttiva? “E’ una domanda da porre a Elly Schlein. Quello che so io è che occorre un’idea precisa di paese. Ed è per questo che insisto da mesi per ragionare sui contenuti. Lo spazio ci sarebbe: dopo il governo Meloni, l’Italia è più povera. Anziché di salario minimo, si discuta delle famiglie. La retorica dei sussidi lava solo le coscienze. Ma la vera questione contro la povertà è la crescita, il business. Nel tempo dell’IA, come si fa a costruire lavoro? Parliamone noi, visto che l’America non l’ha fatto”.

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