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Bologna non sbologna

Meloni non si presenta nella terra della vittoria facile del Pd, ma polemizza con Lepore

Simone Canettieri

Alle porte delle elezioni regionali di domenica e lunedì, la premier chiude la campagna elettorale da remoto attaccando sindacati e retorica di sinistra. Presiedono Tajani e Salvini, sognando di sbaragliare il triangolo rosso che da Bologna arriva a Reggio Emilia

Bologna, dal nostro inviato.  Piange il citofono. Nel quartiere popolare del Pilastro – a sette chilometri dal centro dove “zecche” e “camicie nere” volevano darsele come in un film di Marco Tullio Giordana – Matteo Salvini non scampanella più come una volta. Cinque anni fa la fatale suonata (“scusi lei spaccia?”) creò le Sardine, e finì male. Ora il vicepremier leghista sta qui occhialino e cravatta rosso Trump. Piange il palco. Giorgia Meloni non c’è. Si collegherà da remoto. Colpa dell’incontro con i sindacati durato fino alle 16.15. Malizia: non ha fatto i salti mortali per mettere la faccia su questo “Uno fisso” per il Pd. 

   

                  

Domenica e lunedì si vota per il governo dell’Emilia-Romagna (e per quello dell’Umbria) ed Elena Ugolini, civica tendenza Cl, viene data 10 punti sotto rispetto al dem Michele De Pascale. La candidata attraversa il salone dell’hotel Savoia, dove è in programma questo evento nato sghembo. La riconoscono in pochi. L’imprenditrice, già sottosegretaria del governo Monti e preside del Malpighi,, va provocata. Meloni non è qui perché lei perderà, lo sa? “Affatto, anzi sono contenta: si occupa dell’Italia, di manovra, di tutti  noi”. L’ha chiamata per dirle che non sarebbe partita? “Beh, no”. Capannello di telecamere. “Io sono pronto, ma vediamo, l’importante è che la coalizione inizi a lavorare”. Maurizio Lupi è cercatissimo: tutti gli chiedono della sua candidatura a Milano, altro che Emilia-Romagna. Si sparge la notizia del grande forfait. I balneari di Rimini e Riccione restano con le pive nel sacco (“volevamo parlare con la Giorgia di concessioni, mannaggia...”).


L’elegantissimo Fabio Petrella, deputato made in Parma di Fratelli d’Italia, dice con classe che “non è facile tirar fuori un civico alla Berlusconi che sappia sbaragliare la sinistra”. Galeazzo Bignami, viceministro e braccio destro di Meloni in questa terra, già capisce come andrà a finire: “Ora diranno che Giorgia non è venuta perché qui si perde, ma doveva mandare via i sindacati?”. D’altronde i treni il governo semmai li fa fermare, ma non li manda più veloci. Tommaso Foti, piacentino e capogruppo alla Camera, spiega che da queste parti alzare i polveroni dello scontro frontale non serve: ricompatta e chiama la sinistra all’adunata. “Lo abbiamo visto già cinque anni fa”. Ce l’ha con lo scampanellatore Salvini che sabato ha di nuovo alzato i toni chiedendo la chiusura dei centri sociali animati dalle zecche? Foti ride, con una posa che ricorda quella del genius loci Balanzone. Sognare non costa nulla. “Se va giù il triangolo rosso Bologna-Modena-Reggio Emilia è fatta”, dice ancora Bignami. A Ugolini infatti hanno spiegato che deve prendersela con Matteo Lepore, il sindaco di Bologna amico di Elly Schlein, in calo di consensi per come ha gestito l’alluvione e pronto a rifugiarsi dietro le “camicie nere inviate dal governo”. Un po’ come  la famosa canzone di Calcutta “ho fatto una svastica in centro a Bologna, ma era solo per litigar”.

   

Dentro ci sono mille persone, non di più, arrivate per il comizio dei big (la scena ricorda le elezioni in Sardegna, assente anche Giovanni Donzelli di FdI). Parlano Ugolini (che se perde bene si candiderà a sindaca di Bologna) la ministra Anna Maria Bernini (minacciata con manifesti che la raffigurano insanguinata) Lupi e Tajani. Il capo di Forza Italia e vicepremier dopo gli scontri di sabato tira fuori l’immarcescibile Pier Paolo Pasolini sui poliziotti figli del popolo e i manifestanti figli di papà. Salvini se la prende con Robert De Niro, dice che Trump è l’unico che può mettere fine alla guerra in Ucraina. E poi l’immigrazione, certo, con i giudici che sfornano sentenze per le cooperative. Sicuramente è più spigoloso del tondo Tajani. Finalmente appare Meloni in dad. Contro Lepore (“mi dà della picchiatrice, poi mi chiede collaborazione in privato”), contro l’egemonia rossa (“scongeliamo questa regione: quando la sinistra qui ha iniziato a vincere c’erano i Beatles e Nixon”), contro il machismo de sinistra (“mai una donna ha governato qui”) contro i sindacati (“scioperano ma non sanno il perché”) e contro la retorica (“tirano fuori le camicie nere quando sono disperati”).  Finale: “Vi voglio bene, mi siete mancati!”. Ugolini sale sul palco e chiude con “buonasera”. Il centrodestra sogna il titolo che fece Vittorio Feltri sul Giornale quando nel 1999 vinse Giorgio Guazzaloca sotto le Due Torri: “Sbolognati”.

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  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.