il ritratto
Fenomenologia di Raffaele Fitto: da aspirante centravanti a vicepresidente della commissione Ue
Una storia che inizia a Maglie, nel profondo Salento. L’ingresso in politica nel 1990 con la Dc, il no alla seduzione pro ribaltone di Massimo D’Alema, il voto per Mattarella al Colle nel 2015, l’ingresso nella famiglia tory, il pranzo con La Russa e Meloni nel 2018. Ora la consacrazione in Europa
Ma lo sanno le simil pugnaci eurodeputate progressiste e anti-destra, Valentina Palmisano (tra le ultime miracolate dalla parabola contiana) e Ana Miranda Paz, una verde ispanica, quanto è lungo il percorso che ha portato Raffaele Fitto l’ex ragazzo di Maglie, profondo Salento, con talento cristallino da calciatore offensivo e una passione sfegatata per la Juve, a vivere tutte le tappe di un cursus honorum unico, fino alla vicepresidenza della commissione europea di Ursula von der Leyen.
Da un futuro spensierato tra calcio e università a Bari alla politica, per Raffaele è stato un baleno. Nell’agosto 1988 un incidente stradale gli portò via il padre, Totò Fitto, presidente Dc della regione, e a diciannove anni fu costretto a trascurare le scarpe con i tacchetti per raccogliere una eredità politica di peso. Nel 1990, a maggio, il battesimo elettorale con lo Scudo crociato: raccolse 75.366 preferenze personali, numeri che lo resero il consigliere regionale più suffragato d’Italia.
L’esperienza della Balena Bianca, però, stava per chiudersi tragicamente con Tangentopoli. Prima aderì al Ppi di Mino Martinazzoli e subito dopo scelse di rappresentare l’area moderata che guardava al centrodestra, con Rocco Buttiglione nel Cdu e poi con la sigla tutta pugliese Cdl, cristiano democratici per la libertà.
Rieletto nel 1995 nel consiglio regionale con il governatore di An Ninì Distaso, ebbe la forza di resistere alle sirene di Massimo D’Alema, che in quella fase aveva un talento conclamato per l’organizzazione dei ribaltoni. Nessun accordo nonostante i ponti d’oro, così la giunta Distaso tenne dritta la barra fino a fine mandato. Raffaele guadagnò la fiducia di Pinuccio Tatarella, “le renard” del mondo postmissino, che ne riconobbe il talento politico puro.
Con la scomparsa del leader della destra, nel 2000, approfittò della scelta di Gianfranco Fini per Francesco Storace governatore del Lazio: in cambio gli azzurri chiesero la candidatura alla presidenza della Puglia per Fitto, che subito dopo divenne governatore con largo vantaggio sul centrosinistra. Nel 2005 arrivò inattesa la sconfitta contro il “comunista” Nichi Vendola alle regionali e una appendice di guai giudiziari che lo ha reso estremamente diffidente con giornalisti e stakeholder.
Poi ci furono gli anni berlusconiani, i rapporti di amore e freddezza con il tycoon milanese, fino all’uscita nel 2015 dal partito azzurro. Era eurodeputato e la sua stagione forzista era ai titoli di coda. Anche qui Raffaele ebbe un lampo: si intestò la succursale italiana dei conservatori, costruendo solidi rapporti con i tory inglesi. È stata la sua fortuna. Nel 2018, infatti, l’operazione neomoderata che capeggiò con la lista Noi con l’Italia si rivelò un flop, mentre i suoi fedelissimi pugliesi si erano quasi tutti accasati con Matteo Salvini sotto la spada di Alberto da Giussano.
Nel 2015 un altro esempio di straordinaria lungimiranza: alle elezioni per il Colle, Berlusconi scelse un profilo polemico, mentre il politico salentino fece arrivare a Sergio Mattarella l’annuncio del suo appoggio con una pattuglia di centrodestri responsabili. Nelle scorse settimane il capo dello stato ha rinnovato l’antico legame con un endorsement pro nomina in Europa dal peso estremamente rilevante.
Anche in questo frangente Fitto ha scelto la svolta giusta davanti a un complesso bivio: nell’agosto del 2018, con la mediazione di due parlamentari ora fuori dai giochi, Massimo Corsaro e Antonio Distaso, si trovò a pranzo con Ignazio La Russa e Giorgia Meloni che cercava di allargare la comunità di Fdi per superare lo sbarramento alle europee. Fitto sperava nella nascita di una seconda Alleanza nazionale con un timbro più catto-centrista. La leader della Garbatella non ne volle sapere, offrendogli un ingresso nel partito. Alle europee del 2019 la Fiamma superò lo sbarramento e Fitto fu eletto a Bruxelles con quasi 90 mila voti, dando alla Meloni la possibilità di entrare nella famiglia dei conservatori, marchio di presentabilità che la distingueva dalle destre radicali lepeniste.
Le ultime puntate sono presto dette: la candidatura perdente alle regionali del 2020 contro il dem Michele Emiliano (i sondaggi erano per la destra ma il Covid capovolse ogni previsione), l’elezione in Parlamento nel 2022, l’indicazione come ministro per il Pnrr, l’amicizia con i popolari Manfred Weber e Roberta Metsola. Ora l’indicazione come commissario e vicepresidente della commissione Ursula bis. L’audizione davanti alle furie rosse e il sostegno di Ppe, conservatori e patrioti.
Suo figlio Gabriele è attaccante professionista scuola Lazio (ora a Monopoli in Lega pro), ma il titolo di “bomber” Raffaele lo ha cucito sul petto in questi trentaquattro anni di pane, politica, istituzioni e intuizioni (spesso) vincenti.