Fitto day

L'eredità di Fitto che si triplica. Al suo posto ipotesi Fazzolari e Ferro. Il veto di FdI a Siniscalchi

Carmelo Caruso

Esaminato in Europa, sarà il ministro del Pnrr in dad, a distanza. Restano le difficoltà: progetti che non si riescono a monitorare, le proteste dei sindaci. E il Pd ha dimenticato il suo Recovery

Auguri a Fitto, auguri Pnrr. C’era una volta il Recovery Plan. Se va bene avremo un commissario Ue, un vicepresidente della Commissione, ma anche un ministro in dad, a distanza. Un Fitto è tre. Oggi il candidato del governo viene esaminato dal Parlamento europeo, ma chi esamina, in Italia, il Pnrr? Nel 2026 scade il piano e l’obiettivo è “forza proroga”. Il ministro lascia ma è come se restasse. Le sue deleghe dovrebbero essere spartite tra Fazzolari, Mantovano, Musumeci o  Wanda Ferro, sottosegretaria all’Interno ma la verità è che il Pnrr lo ha riscritto lui e l’unica soluzione per portarlo a casa è che Fitto proroghi Fitto. Il denaro complessivo è 208 miliardi, ma al momento, la spesa effettiva è di 51,3 miliardi, il 26 per cento. La sola che potrebbe sostituirlo è Ermenegilda Siniscalchi, la sua capo di gabinetto, ma FdI non la vuole. Fa tutto Fitto, trafitto da un raggio di Meloni e von der Leyen, ed è subito settima rata. Si spera.


Le rate Pnrr? Dieci in tutto. L’ultima? Il 30 giugno 2026. Il 31 dicembre 2024? Ci tocca la settima. Per averla dobbiamo raggiungere 46 target che sono diversi dalle milestone in scadenza (8). Per le milestone bastano i decreti, per i target, no. Non bastano. Sono obiettivi da raggiungere e devono essere misurabili. Significa infrastrutture, scuole realizzate, ospedali digitalizzati (leggete Santilli sul Foglio!). Un partito di opposizione, rigorosa, seria, avrebbe già costituto un pool di parlamentari, setacciato il portale Italiadomani.gov.it E’ la finestra sul Pnrr che dovrebbe raccontare lo stato di avanzamento del Pnrr e non serve neppure dire che è più oscuro dell’Azzeccagarbugli del Manzoni. Il Pd naturalmente neppure si è accorto che il portale trasparenza è opaco e che, oggi, chi vuole monitorare il Pnrr si serve del sito Open Polis, piattaforma gratuita, chiara e se permettete anche infuriata, perché, scrive sul sito: “Persiste la mancanza di trasparenza da parte del governo”. I progetti finanziati dal Pnrr sono 262 mila e i soldi sono arrivati. Ma sono stati spesi? Il Pnrr in Italia è sempre scambiato per un regalo, un dono, anziché prenderlo per quello che è: un prestito. Il denaro realmente speso è pari al 26 per cento e va bene che von der Leyen, è amica di Meloni, che Meloni parla con Trump, ma l’Europa non è Babbo Natale. Sapere chi ha speso, come e quanto, sul serio, è impossibile. Sul sito istituzionale, la sezione è catalogo open data che vi rimanda a un foglio excel, file che usava il nonno con il suo Windows 98. Perfino l’Ufficio parlamentare di bilancio, preciso, rigoroso, nel suo dossier è costretto a precisare “che le informazioni inserite, come misure attuative, non costituiscono un giudizio sulla idoneità o meno delle iniziative attuative intraprese dalle Amministrazioni titolari”. Il Mef, ricordiamo, è stato tagliato fuori da quando Fitto ha deciso di spostare a Palazzo Chigi la “cassa”. Prima di Fitto, la signora Pnrr, con Draghi, era Chiara Goretti, con Fitto quel ruolo è stato interpretato dal capo di gabinetto, Ermenegilda Siniscalchi, un’altra eccellenza della burocrazia. Fitto, prima di lasciare, avrebbe indicato lei come naturale sostituta, se solo FdI non si fosse messo di traverso e detto: “Eh, no. Il Pnrr a noi, a uno di noi”. Da settimane si parla dello spacchettamento. Fitto, oltre al Pnrr, ha le deleghe per il Sud, e le politiche di Coesione. Queste ultime due dovrebbero andare a Nello Musumeci, le altre finire a Fazzolari. La novità è Wanda Ferro, sottosegretaria all’Interno. Il 3 e 4 novembre avrebbe fatto le prove generali. Ha presieduto il G7 Sviluppo Urbano e sostenibile, G7 preparato dal gruppo di lavoro del Dipartimento per le Politiche di Coesione e per il Sud di Fitto. Perché farlo presiedere a lei? Ferro potrebbe prendere due delle deleghe, quelle che, sulla carta, passerebbero a Musumeci che è già impegnato, e tanto, con la Protezione Civile. Staffetta a parte, la domanda è: chi? Come? Quanto? Il ministero più lento, sarebbe quello più interessato dai temi Pnrr, quello di Pichetto Fratin, nonno Pichetto. Chi è avanti è invece Butti, il sottosegretario per l’Innovazione, malgrado le schermaglie con il ministro Urso. Le opere le devono realizzare i sindaci che però sono senza testa. L’Anci ha perso la sua guida, Antonio Decaro, che è stato eletto a Bruxelles. L’ultima lettera dell’associazione per lamentare la farraginosità del sistema sapete chi l’ha scritta? Un sindaco di destra, e deputato. E’ Roberto Pella di Forza Italia, sindaco di Valdengo e presidente Anci facente funzioni. La lettera è scritta con garbo anche perché è vero che Pella fa gli interessi dei sindaci ma non può certo dimenticare che il governo a cui si rivolge è il suo. Il grande assente è il Pd che saluta Fitto ministro, un ministro che ha risposto solo al 23,2 per cento degli atti di sindacato ispettivo. Quale migliore argomento se non il Pnrr ha il Pd per inseguire il governo? E invece no. La disputa è sul nome Fitto in Europa e non sulle opere realmente realizzate, e vigilate, da Fitto in Italia. L’interesse di Elly Schlein è poi tale da aver lasciato che a occuparsi di Pnrr, un argomento centrale, sia l’esponente di Base riformista, la corrente opposta alla sua. Per il Pd è più facile parlare di manovra. Il governo ha presentato 1.200 emendamenti e l’opposizione 3.300. Grafomane della pecetta, il Pd ha dimenticato che il Pnrr è stato ottenuto dal governo Conte II il governo giallorosso (lo ha negoziato con Conte, il dem Enzo Amendola) sviluppato da Draghi (erano del Pd ben tre ministri di Draghi) e da domani gestito con la didattica a distanza da Fitto, il Cipputi di Meloni, l’operaio che non si scoraggia e che al collega che gli chiede, “a Cippù! Che si fa?”, risponde: “Abbi fede, siamo inseriti in un contesto internazionale”.

 

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  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio