sindacati a palazzo chigi

Landini e Bombardieri le regalano la calcolatrice, Meloni gli mostra i conti del Superbonus

Luciano Capone

Cgil e Uil confermano lo sciopero generale dopo l'incontro con il governo. La premier li accusa di "pregiudizio" politico e ricorda i debiti dei bonus edilizi: 38 miliardi nel 2025. "Con le stesse risorse, qualsiasi provvedimento di questa manovra avrebbe potuto essere più che raddoppiato"

Giorgia Meloni ha giocato d’anticipo. “Allora cosa mi avete portato?”, ha chiesto ai leader di Cgil, Cisl e Uil, manco fossero i Re Magi. Come preannunciato, Pierpaolo Bombardieri ha portato in dono una calcolatrice, dopo che la premier si è impappinata sui conti durante l’intervista da Bruno Vespa. Mentre Maurizio Landini una copia de “L’uomo in rivolta” di Albert Camus, per rievocare il suo invito alla “rivolta sociale”. “E lei?”, ha chiesto a Luigi Sbarra. “Non ho portato gadget, ma le nostre proposte”, ha risposto il leader della Cisl distanziandosi ulteriormente da Cgil e Uil che hanno scelto l’opzione della piazza.

L’incontro tra governo e sindacati non poteva finire diversamente: sciopero generale confermato. “Confermiamo il nostro giudizio, è una pessima legge di Bilancio”, commenta Landini. “Sulla sanità questo governo ha messo più soldi, ma il rapporto con il pil è sempre quello. Ecco perché abbiamo regalato una calcolatrice”, dice Bombardieri. Per la Cisl, che invece non aderisce allo sciopero, “l’incontro è positivo” anche se, dice Sbarra, la manovra può essere “migliorata”. Meloni, dal canto suo, non ha giocato sulla difensiva né ha provato a negoziare, ben sapendo che il terreno dello scontro con Cgil e Uil è tutto politico. All’incontro erano presenti i ministri più importanti (con l’eccezione di Matteo Salvini): dal vicepremier Antonio Tajani al ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, passando per i ministri Urso, Calderone, Valditara, Schillaci, Zangrillo e il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Mantovano. Ma al vertice la premier ha invitato anche tanti sindacati, dodici in tutto, cosa che ha non poco infastidito Landini che ritiene buona parte delle altre sigle poco rappresentative: in questo modo, il tavolo ha mostrato tre sindacati contrari alla manovra con Cgil e Uil insieme al più estremista Usb e nove favorevoli, o comunque disponibili al dialogo, e contrari allo sciopero (Cisl, Ugl, Cida, Cisal, Confedir, Confintesa, Confsal, Ciu e Cse).

La premier ha accusato la Cgil e la Uil di avere un “pregiudizio” contro di lei, dato che dal 2015 al 2021 i due sindacati non hanno mai fatto uno sciopero generale, mentre a partire da quello contro la manovra del governo Draghi ne sono stati proclamati quattro di fila (questo è il terzo contro il governo Meloni), nonostante il buon andamento dell’occupazione e la scelta del governo di concentrare le risorse sul taglio del cuneo fiscale, proprio come chiedevano da tempo i sindacati. Cgil e Uil hanno ovviamente respinto l’accusa di essere prevenuti, sciorinando l’elenco delle mancanze del governo e quindi delle richieste: aumenti salariali, aumento della spesa sanitaria, eliminazione del blocco del turnover nel pubblico impiego, stabilizzazione di tutti i precari della Pubblica amministrazione, revisione della legge Fornero sulle pensioni, ripristino dei fondi per l’automotive e via di seguito... Rispetto ad alcune richieste, comuni trasversalmente anche alle altre sigle sindacali, il governo si è detto disponibile ad aprire tavoli per trovare soluzioni, ad esempio sull’automotive e la scuola, ma il ministro Giorgetti ha rimarcato che le modifiche vanno fatte all’interno del perimetro della legge di Bilancio impostato dal governo e dei vincoli europei.

Nel suo intervento introduttivo, però, la premier ci ha tenuto a ricordare il contesto economico in cui si trova il paese e “la grave eredità di debiti” che pesa sul bilancio pubblico. “Citerò due numeri per far capire di cosa parlo: 30 e 38 – ha detto Meloni ai sindacati –. 30 miliardi è il valore complessivo di questa manovra di bilancio; 38 sono i miliardi che, solo nel 2025, costerà alle casse pubbliche il Superbonus varato dal governo Conte 2 per ristrutturare meno del 4% degli immobili residenziali italiani, prevalentemente seconde e terze case. La più grande operazione di redistribuzione regressiva del reddito nella storia d’Italia. Con le stesse risorse, qualsiasi provvedimento di questa legge di Bilancio avrebbe potuto essere più che raddoppiato. Vale per la sanità, per i contratti pubblici, per la scuola, per l’aumento dei salari, etc.”.

L’affermazione della premier si riferisce al fatto che nel prossimo triennio si scaricherà sul fabbisogno, e quindi sul debito pubblico, la grandissima parte dei crediti fiscali emessi dal 2021 al 2023 per finanziare i bonus edilizi. Ogni anno, oltre a quella ufficiale, c’è una legge di Bilancio ombra che ingessa i conti e si riflette su un debito pubblico che nei prossimi anni continuerà a crescere nonostante la costante riduzione del deficit. “So che anche su questo alcuni di voi non sono d’accordo avendo difeso la misura del Superbonus e contestato le nostre correzioni al provvedimento – ha aggiunto Meloni con una punta di veleno – ma lo dico per chiarire il quadro nel quale operiamo”.

Sul Superbonus, in realtà anche Meloni e FdI sono stati a lungo favorevoli, ai tempi dell’opposizione, ma è vero che i sindacati lo sono stati fino alla fine e hanno sempre contestato i vari decreti voluti dal ministro Giorgetti (prima a febbraio 2023 e poi nel 2024) che puntavano ad arrestare l’emorragia fiscale del Superbonus. Durante il Covid, la retorica del governo dell’epoca era che bisognava investire nelle fragilità del sistema pubblico: scuola e sanità. In realtà, c’è stato il rifiuto di usare il Mes sanitario (Pandemic Crisis Support) che avrebbe consentito di investire 37 miliardi nella sanità, peraltro a tassi agevolati. La scelta strategica è stata quella di spendere 220 miliardi per rifare le (seconde) case a pochi fortunati. Così ora ci sono i debiti da pagare e mancano i soldi per la scuola e la sanità. Forse, invece di invocare la “rivolta sociale” oggi, sarebbe stato più utile fare attenzione allo sperpero di denaro pubblico ieri. Magari usando quella calcolatrice portata in dono alla premier.

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali