virus e propaganda
La commissione d'inchiesta sul Covid è un circo
Tra i parlamentari di centrodestra che indagano sulla gestione della pandemia dominano pressappochismo e disinformazione. Ma gli esperti chiamati alle audizioni smontano le bufale
Si stanno svolgendo, nell’indifferenza quasi generale, verrebbe quasi da dire per fortuna e tra poco spiegheremo il perché, i lavori della commissione parlamentare d’inchiesta sulla gestione dell’emergenza Covid-19, fortemente voluta dal centrodestra. Il Partito democratico, Avs e Azione hanno deciso di non partecipare all’attività della commissione, mentre il Movimento 5 stelle, pur ritenendo l’iniziativa un tentativo della maggioranza di strumentalizzare politicamente la pandemia, è presente. Fra i suoi rappresentanti anche Giuseppe Conte, presidente del Consiglio durante la fase più acuta del Covid.
Le opposizioni hanno buone ragioni per ritenere l’istituzione della commissione d’inchiesta un atto di mera propaganda politica: nell’intento essa dovrebbe esaminare quanto avvenuto durante la pandemia, cosa è andato storto e cosa no, per capire come gestire meglio situazioni del genere in futuro, eppure dall’attività di inchiesta sono state escluse le regioni, cioè le istituzioni preposte a garantire che il servizio sanitario funzioni nel proprio territorio (evidentemente per evitare di mettere in luce le falle registrare in alcune regioni governate dal centrodestra, in primis la Lombardia).
Ma è sufficiente osservare l’attività svolta nelle prime settimana dalla commissione, insediatasi il 17 settembre e presieduta dal senatore di FdI Marco Lisei, per avere conferma del livello di pressappochismo e disinformazione che anima i commissari. Nelle prime audizioni la commissione ha voluto ascoltare i rappresentanti di alcune associazioni di famigliari delle vittime del Covid-19, che, andando ben oltre il tema oggetto di approfondimento (la prima fase di gestione della pandemia), hanno lanciato accuse generalizzate nei confronti dei medici, incolpandoli di aver abbandonato i malati a se stessi e di aver fatto morire i pazienti negli ospedali come delle bestie, e contro la politica, che avrebbe adottato decisioni impattanti (come il lockdown o l’introduzione del green pass) per interessi economici o di parte.
Superata questa fase surreale, la commissione non ha potuto far altro che cominciare ad ascoltare i rappresentanti delle principali società scientifiche italiane. E qui l’insieme dei pregiudizi e delle fake news antiscientifiche accarezzato dalla maggioranza (per dare una strizzatina d’occhio al mondo no vax) è andato in crisi.
Nell’ultima riunione, martedì scorso, il presidente della commissione Lisei ha tentato di far passare il dato che l’Italia sia stato uno dei paesi con il più alto numero di morti da Covid-19: “L’Italia è uno dei paesi che ha avuto il più ampio numero di decessi, anche in proporzione alla casistica. I numeri non sono positivi, questa è la statistica”. Un’affermazione senza alcun fondamento, come ben evidenziato dal deputato M5s Alfonso Colucci e confermato da Enrico Di Rosa, vicepresidente della Società italiana di igiene, medicina preventiva e sanità pubblica. Secondo i dati Istat, infatti, nel 2020 l’eccesso di mortalità in Italia è stato inferiore a quello di altri paesi europei come Spagna, Belgio e Polonia, mentre secondo Eurostat nel 2021 l’Italia è stato al 53esimo posto per numero di decessi da Covid-19 ogni 100 mila abitanti.
Un’altra bufala crollata miseramente in commissione riguarda il “protocollo paracetamolo e vigile attesa” che sarebbe stato imposto dal ministero della Salute durante la prima ondata della pandemia e che, secondo i critici, avrebbe contribuito a far aumentare i decessi per Covid. Dopo essere stato citata decine di volte dai commissari (incluso il presidente Lisei), anche questa falsa notizia è stata smentita: “Era una raccomandazione, non un protocollo”, ha spiegato Filippo Anelli, presidente della Fnomceo (Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri): “Non poteva esserci un protocollo perché non c’erano evidenze scientifiche chiare”. Di conseguenza, i medici se ne potevano anche discostare: “Nella nostra attività la risposta con terapia dipende dallo stato clinico del paziente e dall’esperienza del medico. Nessuno ha imposto di fare un trattamento piuttosto che un altro”, ha ribadito Alfredo Cuffari, consigliere della Fism (Federazione italiana delle società medico-scientifiche).
Gli esperti auditi hanno inoltre confermato l’utilità del ricorso al distanziamento sociale e dell’utilizzo delle mascherine, e hanno pure smontato l’altra grande accusa legata al mancato aggiornamento del piano pandemico. Questo, infatti, riguardava la pandemia influenzale. Per queste ragioni il ministero della Salute elaborò un proprio piano anti-Covid.
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