L'editoriale del direttore
La deriva del governo è più draghiana che trumpiana. Tre storie
L’operazione su Mps, con i capitali coraggiosi, e poi la chiusura del cerchio su Ita e Tim, dove anche Draghi aveva fallito. Più mercato, meno politica. Piccolo elogio del metodo Giorgetti, spiegato con il paradosso dei “buzzurri”
Nell’attesa che arrivi in Italia una fantomatica deriva trumpiana, ancora tutta da verificare, vale la pena continuare a godersi uno spettacolo decisamente opposto, che coincide con una deriva del tutto diversa, per così dire, che sta nuovamente coinvolgendo il governo Meloni: quella draghiana. Nell’attesa che qui sia tutto trumpismo, nell’attesa cioè che l’Italia si trasformi in una repubblica non democratica teleguidata da Donald Trump ed eterodiretta da Elon Musk, vale la pena fare i conti con una realtà di segno opposto, all’interno della quale il governo, nel giro di poche settimane, è riuscito ad arrivare laddove neppure il governo Draghi era riuscito a operare. Erano tre grandi tabù dell’Italia, tre tabù economici che anche il governo Draghi ha provato a maneggiare, e quei tabù ora si sono trasformati da problemi irrisolvibili in soluzioni possibili. L’ultimo tabù, quello più fresco, riguarda l’uscita quasi totale dello stato da una delle banche più maltrattate d’Italia, Mps, dove il Mef, mercoledì sera, ha comunicato di essere sceso dal 26,7 per cento all’11,7.
Venduto a chi? Non a capitani coraggiosi, chiamati in passato a buttare soldi per salvare aziende decotte, ma a capitali coraggiosi, che hanno scelto di rispondere al richiamo del Mef per dare un futuro a Mps e per provare a staccare nuovi dividendi. Risultato: il 3,5 per cento è stato acquistato da Francesco Gaetano Caltagirone, il 3,5 per cento dalla Delfin, la holding della famiglia Del Vecchio, il 5 per cento da Banco Bpm, il 3 per cento da Anima (su cui Banco Bpm ha lanciato un’offerta pubblica di acquisto) che aveva già in pancia l’uno per cento di Mps. Nel 2021, ricorderete, il Mef, nella stagione di Draghi, provò a vendere Mps a Unicredit e l’affare non si concluse. Tre anni dopo, Unicredit si muove in Europa, alla conquista di Commerzbank, e Mps ha trovato un futuro, con una mossa coraggiosa, apprezzata trasversalmente sia dalla politica che dai mercati (ieri il titolo di Mps è salito in Borsa del 23 per cento).
A chi gli chiede il senso dell’operazione, Giorgetti offre due risposte. La prima riguarda il presente: con un solo colpo, dice il ministro, abbiamo messo in sicurezza Bpm, tutelandolo da possibili acquisizioni estere, abbiamo dato un futuro a Mps, abbiamo evitato che un colosso del risparmio come Anima potesse fare la fine di Pioneer, venduta nel 2016 da Unicredit, uscendo fuori dal perimetro del mercato italiano. La seconda risposta riguarda il futuro e a chi glielo chiede il ministro dell’Economia non fatica ad ammettere che nel futuro di Mps c’è un matrimonio strutturale con Bpm. Pochi giorni prima, sempre con la regia del ministro dell’Economia, altra operazione e altro colpo per così dire draghiani. Durante il governo Draghi, si provò in tutti i modi a trovare un partner per Ita. Il Mef, all’epoca, fece però un altro errore, simile a quello fatto su Unicredit, e sbagliò partner anche in quel caso, provando a piazzare Ita ad Air France. Il governo Meloni ha cambiato partner e dopo una lunga trattativa anche Ita è stata sistemata con un partner finalmente solido: Lufthansa. La terza partita, anch’essa lasciata a metà dal governo Draghi, riguarda la vendita della rete di Tim a Kkr. In quel caso, il governo Draghi trovò il partner giusto ma i tentennamenti del Mef fecero perdere l’occasione. Vendita rinviata, sospesa, lasciata a metà dal governo Draghi. Vendita invece finalizzata, lo scorso luglio, a Kkr, dal governo Meloni.
Tre partite importanti, che lasciano sul terreno di gioco più impronte draghiane che trumpiane, e che indicano anche una discontinuità notevole del governo Meloni rispetto al suo stesso passato. Meloni era contraria alle privatizzazioni e con una privatizzazione invece si sta risolvendo la partita di Mps. Meloni era contraria a vendere Ita, e a venderla soprattutto ai tedeschi, e con una vendita proprio ai tedeschi si è invece conclusa la partita di Ita. Meloni era contraria a vendere ai fondi così detti speculativi asset strategici del paese, come la rete, e invece ha scelto di vendere un asset strategico, come la rete di Tim, dove il governo è presente indirettamente attraverso una forte partecipazione di Cdp, proprio a quello che un tempo avrebbe definito fondo speculativo. A chi glielo chiede, per Giorgetti, il prossimo obiettivo si chiama Open Fiber, il cui matrimonio con Fibercop è inevitabile, secondo il Mef, e che prima di essere venduta deve essere però risanata e per evitare che venga svenduta. Confida Giorgetti: questo governo di cialtroni e buzzurri ha fatto in due anni quello che in trent’anni non sono riusciti a fare molti governi. Meno politica, più mercato. Meno stato, più imprese. Meno capitani coraggiosi, più capitali coraggiosi. Nell’attesa che arrivi in Italia una fantomatica deriva trumpiana, vale la pena continuare a godersi, sulle partite che contano, l’inconfessabile deriva draghiana del governo Meloni. Slurp.