(foto Ansa)

l'editoriale del direttore

Prove tecniche di a-trumpismo italiano

Claudio Cerasa

La scommessa su Fitto, il voto europeista sulla Commissione, la linea salda sull’Ucraina e su Putin. Perché i primi passetti della premier nella nuova stagione trumpiana sono un colpo al cuore per i follower del trumpismo

Trumpiana, antitrumpiana, non trumpiana o atrumpiana? Per Giorgia Meloni, i primi giorni di allineamento con la nuova stagione politica dominata dall’ingombrante verbo trumpiano non sono andati esattamente come auspicato dalla festante internazionale sovranista. A dieci giorni dalla vittoria di Donald Trump, la presidente del Consiglio italiano, deludendo tanto i follower del nazionalismo quanto i follower dell’antisovranismo, ha già lasciato sul terreno di gioco alcuni sassolini interessanti, capaci di indicare una direzione di marcia distante anni luce da quella suggerita dal prossimo presidente degli Stati Uniti d’America. Il caso più eclatante e suggestivo registrato finora è quello che si è andato a manifestare nelle ultime ore a Bruxelles, nel corso delle audizioni di conferma dei commissari europei, durante le quali sono emerse alcune notizie che, al netto del caos per la formazione della nuova Commissione, non possono che aver gettato nello sconforto, almeno per un attimo, l’internazionale sovranista.

 

La prima notizia è la certificazione, se mai ci fossero ancora dubbi, del profilo scelto da Giorgia Meloni per permettere all’Italia di avere un peso nella prossima Commissione europea. E l’audizione di Raffaele Fitto – uno sfoggio di impeccabile europeismo, pragmatismo, moderatismo, democristianesimo e antiputinismo filoucraino, “i cittadini di quei territori hanno bisogno di sentire l’Europa vicina e dopo la grave invasione da parte della Russia in Ucraina la risposta dell’Europa deve essere ancora più forte”, ha detto Fitto – se fosse stata ascoltata da Elon Musk sarebbe stata probabilmente accompagnata da una frase simile a quella riservata dal capo di Tesla per la magistratura italiana: “These politicians need to go”. Lo stesso post, forse, Musk avrebbe potuto farlo dopo aver ascoltato i contenuti di un’altra audizione politicamente importante tenutasi martedì scorso a Bruxelles. E se il braccio destro di Trump, il capo di X, sapesse che la persona scelta dalla Commissione europea per guidare la politica estera dell’Unione, la grande Kaja Kallas, dice che “un accordo che porta una pace a breve termine non è duraturo e porta più guerre” e dice che “la guerra finirà quando la Russia si renderà conto di aver fatto un errore come in Afghanistan, quando ritirerà le truppe e si renderà conto di non poter vincere in Ucraina” difficilmente potrebbe resistere alla tentazione di suggerire alla signora Kallas, partner in crime del signor Fitto, di seguire la stessa via indicata ai giudici italiani:  andatevene a quel paese, these politicians need to go.

 

Ancora più grande, per l’internazionale sovranista, deve essere il dolore nel dover ammettere che non soltanto l’impostazione scelta da Meloni per rappresentare l’Italia in Europa è tutto tranne che sovranista ma che il presidente del Consiglio ha deciso di trollare i trumpiani europei arrivando a fare quello che i trumpiani italiani non possono che considerare come un affronto al verbo sovranista: votare a favore della Commissione europea guidata dall’anti trumpiana Ursula von der Leyen (Kallas compresa) facendo la stessa scelta che faranno in Europa tutti o quasi i partiti più anti trumpiani del nostro continente. I primi giorni di allineamento con la nuova stagione politica dominata dall’ingombrante verbo trumpiano hanno dunque generato sofferenza nell’internazionale sovranista ma se vogliamo hanno generato sofferenza anche nell’internazionale anti sovranista. Che al netto della scazzottata politica di Bologna si trova in una situazione difficile da gestire che potremmo provare a sintetizzare così: nell’attesa che Meloni possa diventare finalmente trumpiana, nell’attesa che Meloni possa dimostrare finalmente di essere fascista, nell’attesa che Meloni possa dar vita alla sua deriva orbaniana, deriva che al momento riguarda più un alleato del Pd, il M5s, che il principale avversario del Pd, ovvero FdI, nell’attesa, si diceva, in cui succeda tutto questo, agli avversari di Meloni non resta che rimproverare Meloni per essere poco trumpianamente incoerente con le sue promesse trumpiane. Succede così che il più importante sindacato italiano, la Cgil, convochi uno sciopero generale, il 29 novembre, rimproverando al governo Meloni di essere diventato sulle pensioni una copia del governo Monti-Fornero (e in effetti la manovra, ora in discussione in Parlamento, prevede non degli incentivi ad andare in pensione prima, storica battaglia del trumpiano Salvini, ma degli incentivi ad andare in pensione il più tardi possibile). Succede così che il più importante partito dell’opposizione, il Pd, contesti il governo rimproverando al presidente del Consiglio di aver tradito le promesse fatte agli elettori sulle pensioni minime e sugli extraprofitti (“Rispetto alle promesse, non stanno dando risposte”, è la linea utilizzata da qualche settimana da Elly Schlein per incalzare ferocemente il governo). Il trumpismo di Meloni, per la disperazione di alcuni alleati di Meloni e di buona parte dei nemici di Meloni, al momento resta un orizzonte molto lontano su un numero eccezionale di temi (il Wall Street Journal sostiene che Meloni potrebbe diventare, per Trump, un utile e gradito contrappeso per limitare l’egemonia tedesca in Europa, il Point sostiene che la presidente del Consiglio potrebbe essere l’àncora di stabilità, nei rapporti con Trump, all’interno di un’Europa divisa). E il fatto che il partito del presidente del Consiglio sia pronto a votare la fiducia alla anti trumpiana Commissione europea potrebbe essere un incentivo ulteriore a tenere lo tsunami trumpiano ancora lontano dal nostro paese.

 

L’unico punto vero su cui  il presidente del Consiglio italiano, il presidente eletto degli Stati Uniti e il suo social media manager in chief potrebbero andare d’accordo è il tema da cui siamo partiti, l’immigrazione, ma anche qui si tratta di un’illusione ottica. A parole, tutti uniti contro l’invasione dei migranti, tutti uniti contro l’immigrazione illegale, tutti uniti contro i trafficanti di esseri umani, tutti uniti contro le esondazioni dei giudici che cercano metodi creativi per poter definire il perimetro dei paesi sicuri. Ma nei fatti anche qui l’approccio sull’immigrazione di Meloni, per il momento, ha poco a che fare con l’approccio sull’immigrazione di Trump. Niente muri, niente deportazioni, molto pragmatismo, una spruzzata di europeismo e molti decreti Flussi per favorire l’ingresso di migranti legali in Italia. L’immigrazione, come ha ricordato il Monde a settembre mettendo a confronto l’approccio meloniano con quello lepeniano, è per il governo italiano una questione esterna di geografia umana che deve essere controllata, le cui normative offrono opportunità di politica estera, mentre per l’internazionale nazionalista l’immigrazione serve a “cementare una serie di ansie nazionali, collegando il terrorismo islamista, le rivolte suburbane, la frode sociale, la criminalità e, dal 7 ottobre 2023, l’antisemitismo, alla figura di un migrante immaginario”. Tempo per far cambiare idea sul trumpismo Meloni lo avrà, naturalmente, ma i primi passi della premier nella nuova stagione trumpiana offrono qualche elemento per sospettare che la svolta trumpiana di Meloni resti un sogno più dei nemici e degli alleati di Meloni che della stessa Meloni. Trumpiana o antitrumpiana? Per il momento, per fortuna, semplicemente a-trumpiana. Durerà?

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.