Il caso
Umbria verde speranza per Schlein, Salvini in crisi pronto alle barricate per il Veneto
La leader del Pd conferma l'Emilia Romagna e conquista soprattutto l'Umbria, fortino della Lega. Anatomia di una sconfitta per il Carroccio che ormai non governa più nel centro sud
Questione di armocromia. In cinque anni l’Umbria passa dal “verde Lega” (quello del Sole delle Alpi e in quel caso degli Appennini) al “verde speranza Schlein”, che in serata reduce dalla sbornia in Emilia-Romagna, si precipita a Perugia per il bis. Le sconfitte sono sempre orfane e afone. E così in questo lunedì di euforia del campo largo, nel centrodestra si cercano commenti con il lanternino. Giorgia Meloni la scorsa settimana, grazie alla riunione con i sindacati, non si era presentata di persona alla chiusura della candidata governatrice (civica) Elena Ugolini. Legittimo e (saggio) impedimento visto com’è finita: 56 a 40 (con FdI primo partito quasi al 24 e il Pd al 42 per cento). La premier, al contrario, credeva nel miracolo umbro, nonostante Donatella Tesei, governatrice leghista uscente, “non favoritissima”, come ammette il coordinatore locale di Fratelli d’Italia Emanuele Prisco.
Due vittorie così, una scontata e l’altra affatto, accendono gli entusiasmi del campo largo: una “cosa” a trazione Pd, con tanti cespugli intorno a partire dal M5s che senza veti e unito per forza d’inerzia può localmente essere competitivo e vincente. “Una vittoria bellissima”, dice Elly Schlein che dopo Bologna va a festeggiare a Perugia nel comitato di Stefania Proietti, situato per ironia della sorte davanti alla sede di Fratelli d’Italia. Doveva finire 3-0 per il centrosinistra, ma l’arbitro ha mandato tutti negli spogliatoi sul 2-1, vista la sconfitta abbastanza clamorosa, per come è maturata, di Andrea Orlando in Liguria. Senza prosecco nei bicchieri restano quelli di centrodestra, a partire da Fratelli d’Italia che cresce nelle due regioni perse rispetto a cinque anni fa, ma registra una notevole flessione se si fa il paragone con le ultime europee. In Umbria, per esempio, è passato dal 32,62 per cento di giugno a poco meno del 20. Paragoni suggestivi ma poco attendibili visto che alle regionali sono in campo anche le liste civiche e si tratta comunque di competizioni diverse. Lo stesso parallelo si può fare, senza credere troppo a criteri scientifici, per l’Emilia-Romagna, data per persa fin dall’inizio davvero da tutti. Meloni da Rio de Janeiro telefona a Ugolini e poi su X fa i complimenti ai due nuovi governatori auspicando “una collaborazione costruttiva per affrontare le sfide comuni e lavorare per il benessere e il futuro delle nostre comunità”. Un modo, forse, per superare le polemiche dei giorni scorsi con il sindaco di Bologna Matteo Lepore. Chi almeno fino alle 20 scompare davvero dai radar è Matteo Salvini, lo sconfitto di questo fine settimana. Lo dicono i numeri, in primis. In Emilia-Romagna rispetto alle europee perde più di un punto (da 7,7 a 6,4) e nel confronto con cinque anni fa cala in maniera drastica. Superato da Forza Italia si ritrova al 5,3 a distanza siderale dal 31 e rotti percento del 2020. Ma se Bologna (e il resto della regione) è una regola per la sinistra, i grattacapi per il vicepremier arrivano proprio dall’Umbria per la quale si è tanto speso in un tour durato giorni, su e giù, fra Terni e Perugia, lungo l’accidentata superstrada E45. Anche qui è terzo, sorpassato dagli azzurri di Antonio Tajani, con un patrimonio dilapidato al vento davvero considerevole: elezione su elezione ed esprimendo la candidata governatrice si ritrova al 7,6, lontanissimo parente di quel 36,9 della volta precedente. Un vuoto pneumatico di preferenze che lo consola so se paragonato con l’esito deludentissimo delle europee (6,8) e a questo punto, si può dire, preso davvero sotto gamba. Dentro Fratelli d’Italia, dove cercano di vedere il bicchiere mezzo pieno con la Liguria e con il trend generale di 11 vittorie contro tre sconfitte da quando Meloni è a Palazzo Chigi, gli occhi sono puntati proprio su Salvini. I successi del centrosinistra segnano la fine del progetto di espansione leghista al centro sud. Prima cadde la Sardegna, con il cambio di candidato in corsa, e poi ora l’Umbria. Ecco perché nel partito di Via della Scrofa si interrogano sulle reazioni che potrebbe avere Salvini in versione ormai ristretta solo al nord. Il Veneto torna a essere, Zaia o non Zaia, un fortino da preservare per il capo leghista affatto intenzionato a cederlo a Giorgia Meloni dopo quindici anni. La sconfitta in Umbria è dunque come la tipica torta al testo: la crosta è il melonismo, ma il condimento quello sporge ed è in bella vista è fatto di salvinismo. E comunque Schlein se l’è mangiata in un sol boccone, quando ieri sera è arrivata a Perugia, in compagnia di Bonelli & Fratoianni, ma senza Giuseppe Conte, rimasto a Roma. Segno che nel campo largo ogni famiglia è infelice a modo suo, anche quando vince.