Il caso

Meloni: "Perdere ci fa stare con i piedi per terra". Dentro FdI processo a Donzelli

Simone Canettieri

La premier davanti al ko delle regionali. Nel partito critiche al dirigente di Via della Scrofa per la gestione dell'Umbria a partire dall'alleanza con Bandecchi 

Se lo dice lei è Vangelo: “Non vincere sempre può aiutare a mantenere i piedi per terra”.  A Rio de Janeiro ci sono il Cristo redentore ma anche Giorgia Meloni. La premier – reduce dal G20 e prima di partire per l’Argentina per incontrare il presidente Milei – entra ed esce dalle cose italiane.  Difende il ministro Giuseppe Valditara e il sottosegretario Andrea Delmastro e poi plana sulle regionali. Tiene banco la sconfitta in Umbria, visto che per l’Emilia-Romagna sarebbe servito un miracolo. Il richiamo alle scoppole formative rimbalza a Roma, tra il Parlamento e Via della Scrofa, e apre un piccolo processo interno. Alla maniera, certo, di Fratelli d’Italia.  


Va fatta una premessa: trattandosi di un partito “leninista” dove non esistono voci fuori dal coro, soprattutto dopo che ha parlato la “capa”, il brusio di fondo va preso con le pinze. E però sono in diversi a dire, a diversi livelli, che in un contesto complicato, con una candidata di un partito (Donatella Tesei della Lega) in caduta libera anche FdI ha sbagliato visto che è il perno della coalizione. E in particolare si fa il nome di Giovanni Donzelli, capo dell’organizzazione, alter ego (molto sulla carta) di Arianna Meloni, e responsabile delle trattative sui territori, dalle liste alle alleanze. Come sempre è tutto un pissi pissi e come sempre, dentro Fratelli d’Italia, va trovato un piccolo o grande capro espiatorio. Sapendo poi che anche Donzelli alla fine potrà sempre dire di aver concordato tutto “con Giorgia”. Altro che passo, è il solito gioco dell’oca. 


E comunque parlamentari e senatori gli rimproverano per esempio l’accordo con Stefano Bandecchi, pittoresco sindaco di Terni, un po’ troppo sopra le righe, che in consiglio comunale un annetto fa ha minacciato di “far saltare via tutti i denti dalla bocca” a  Orlando Masselli, candidato sindaco meloniano alle ultime elezioni dopo una quasi rissa con un altro consigliere di FdI, Celestino Cecconi. Con il senno di poi raccontano sempre diversi parlamentari del partito della nazione, dietro la promessa dell’anonimato per non finire nei guai, “i nostri, saputo che c’era Bandecchi, non si sono mobilitati con una astensione che a Terni è stata superiore di ben tre punti rispetto a quella di Perugia”.

Tre fonti dicono al Foglio che tra i contrari all’accordo con Bandecchi ci fosse anche Francesco Lollobrigida. Il ministro, contattato dal Foglio, fa un ragionamento molto più ampio e si tiene fuori dalle polemiche, impegnato com’è, in questi giorni, con la cucina italiana: “Non è questione di singoli, quando si perde, con così pochi cittadini che vanno alle urne, occorre interrogarsi su altro. E ricordare anche la storia dell’Umbria e come vinse il centrodestra cinque anni fa, ovvero sulla scia delle dimissioni della governatrice Marini del Pd. Il giorno dopo siamo capaci tutti di dare la colpa a qualcuno. Donzelli? Ottimo organizzatore, non scherziamo. Ho capito che avremmo perso quando la sera delle elezioni ho visto la bassa affluenza nei comuni dove governiamo”.   Il ko umbro apre comunque la botola dei piccoli rancori e delle sottili gelosie. “Questa sconfitta ridimensiona Donzelli”, ci sussurrano in un orecchio.  Viene in mente l’altra  débâcle che ringalluzzì la sinistra: quella in Sardegna, con la scelta errata di Paolo Truzzu, sindaco di Cagliari non proprio popolarissimo, scelta anche quella attribuita a Donzelli e ovviamente proposta per l’ultimo sì a Giorgia Meloni. Dopo la Sardegna il tavolo della coalizione,  dove siede anche Donze,  diede il via libera alle ricandidature dei governatori uscenti Vito Bardi (Basilicata), Alberto Cirio (Piemonte) e Donatella Tesei (Umbria). Il responsabile dell’organizzazione di FdI non se ne fa un problema.  E i suoi amici aggiungono: “Purtroppo è così, che si vinca o si perda, è naturale che lui finisca in mezzo, fa parte del suo lavoro”. 
   

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  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.