L'intervista

Gasparri: "Amo la fiamma come amo il Colosseo, ma nel simbolo se ne può fare anche a meno"

Ginevra Leganza

Secondo l'ex missino, oggi capogruppo al Senato di Forza Italia, il dibattito sulla fiamma nel simbolo di FdI sposta l'attenzione dai temi politici. "Piuttosto bisognerebbe discutere – dice – del perché Giorgia Meloni non abbia votato in Europa per Ursula von der Leyen"

Non è il fascio, non è la tomba di Mussolini… È la fiamma. Un simbolo di purezza al quale guardo con affetto perché penso non al fascismo ma al fuoco perenne sull’Altare della Patria e alla fiaccola olimpica”, dice. Dopodiché aggiunge: “Non c’è l’obbligo di cancellarla, né l’obbligo di tenerla a vita. La questione è sovradimensionata. Voglio dire: si può anche levare, quella fiamma, e nessuno ne soffrirà”. A parlare al Foglio è il capogruppo dei senatori di Forza Italia Maurizio Gasparri, ex missino del Fronte della Gioventù cresciuto all’ombra del fuoco della discordia. Con Alleanza Nazionale ministro delle Comunicazioni per il governo Berlusconi II, confluito poi nel Pdl e infine nel partito del Cav. – FI – ricostituitosi nel 2013. 


Gasparri è raggiunto dal Foglio per commentare l’opportunità di espungere dal simbolo di Fratelli d’Italia la fiamma tricolore. Evenienza già adombrata su questo giornale, nei giorni scorsi, dal ministro per i Rapporti con il Parlamento Luca Ciriani, e dal ministro dell’agricoltura Francesco Lollobrigida. Così, dopo la battuta del presidente del Senato Ignazio La Russa (“Togliere la fiamma? Anche il mondo finirà prima o poi) e la noncuranza della figlia di Giorgio Almirante, Giuliana (“Bene che la tolgano, così almeno finisce questa presa in giro”), pure Maurizio Gasparri – ancorché legato a quel simbolo – opta per un accorto disinteresse (temperato dall’affezione). “Le ragioni di quella fiamma – dice – sono soprattutto estetiche, per me. La amo come amo il Colosseo o la Nona Sinfonia di Beethoven. È un simbolo che non collego al fascismo, ma a radici più antiche. Altrimenti non dovrebbe stupirmi se qualcuno domani si presentasse con un secchio d’acqua al Vittoriano. In ogni caso, i simboli devono essere subordinati ai contenuti politici. E in questo caso, per mancanza di maturità politica, mi pare stia avvenendo il contrario: si parla di fiamme, vanamente, per evitare il resto”. 

 

E quali sono, senatore Gasparri, i contenuti politici? “A livello europeo, per esempio, il fatto che Giorgia Meloni non abbia votato per Ursula von der Leyen dopo averla portata a Lampedusa e in Emilia-Romagna per l’alluvione”. Un errore? “Altroché. Un errore di posizionamento soppiantato da un dibattito inutile sul fascismo”. 

 

Dibattito che – fiamma o non fiamma – non finirà mai. È così? “Gli esami, come diceva Eduardo De Filippo, non finiscono mai. Si evocherà sempre il fascismo a prescindere dal fatto che in FdI (come prima ancora An) spicchino personalità provenienti da altri mondi: l'ambasciatore Giulio Terzi,  Guido Crosetto, Raffaele Fitto”. 


Lei ridimensiona l’importanza della fiamma, d’accordo. Dice che più che una questione è una quisquilia. E tuttavia il partito di cui è capogruppo, Forza Italia, dopo la morte del suo fondatore, decise di mantenere il nome nel simbolo: “Berlusconi presidente”. Curioso. Non sarà che i simboli, e le parole nei simboli, morettianamente sono importanti? “Nel caso di Fi, il discorso cambia”. Perché cambia? “Perché come il primo ministro francese, Michel Barnier, si definisce gollista oltre cinquant’anni dopo la morte di De Gaulle, così noi, che siamo a ridosso dell’esperienza berlusconiana, abbiamo bisogno della denominazione patronimica. Del nome del fondatore che non ha certo lo stesso peso di un fungibile segretario del Pd”.

 

Non c’è dubbio. I simboli a volte contano di più a volte meno. “In generale contano poco. Le risposte politiche della destra furono date a Fiuggi; furono date quando io, con Salvatore Tatarella e Antonio Mazzocchi, volemmo entrare nel Ppe e lo facemmo in seguito tramite il Pdl. E furono risposte, quelle, di cui Meloni è consapevole e sincera interprete. Quanto ai simboli dei partiti, io sarei per il bipartitismo…”. Dunque? “Dunque per il modello americano fallito in Italia: partito repubblicano e partito democratico ovvero elefante e asinello… Lo vede?”. Cosa? “La questione dei simboli, in un grande paese, l'hanno risolta allo zoo”. 

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