In libreria
Cercasi autonomia senza retorica. Spunti per il futuro dal libro di Zaia
Opinione pubblica da allargare, un referendum “controrivoluzionario” da tenere a bada, e lo stop della Consulta degli ultimi giorni. Questioni intrecciate a cui il governatore del Veneto risponde cercando di risolvere i dubbi connessi a una legge simbolo della Lega
Scripta manent. E allora quest’anno, con l’agognata approvazione della legge sull’autonomia differenziata, andava suggellato su carta. A firma del Doge, ideatore, paciere. E’ uscito il quarto libro di Luca Zaia – il sesto, contando le prime due pubblicazioni sotto il ministero dell’Agricoltura. Poteva chiamarsi “la madre di tutte le battaglie”, slogan ad ampio uso leghista. Il presidente del Veneto ha scelto invece un titolo altrettanto pugnace, inesorabile: “Autonomia. La rivoluzione necessaria” (Marsilio, 176 pp., 18 euro). E sempre in copertina: “La grande riforma dello stato spiegata per la prima volta ai cittadini”.
Sa che il momento è topico, Zaia. Opinione pubblica da allargare, un referendum “controrivoluzionario” da tenere a bada. E il consenso istituzionale che, proprio sul più bello, non può venire meno: nelle stesse ore in cui il saggio esordiva nelle librerie, la Corte costituzionale ha ammesso l’intervento ad opponendum delle regioni – Piemonte, Lombardia e Veneto – che avevano già avviato l’iter per la devoluzione delle prime materie – contro i ricorsi di Campagna, Puglia, Sardegna e Toscana. Un assist a cui il doge si è fatto trovare pronto. In bella vista sugli scaffali. “Sogno un paese efficiente e responsabile”, dice Zaia in versione Martin Luther King, “dove il cittadino diventi protagonista della propria vita e non la comparsa di altri, come oggi avviene”. Secondo il governatore più amato d’Italia, queste pagine nascono dalla necessità di “parlare ai lettori, per far capire in che cosa consiste davvero l’autonomia e come potrà andare a beneficio di tutte le regioni”.
Una paziente opera di debunking (persuasione?) contro gli scettici del federalismo. Zaia racconta che la sua prima reazione al via libera della legge Calderoli, lo scorso giugno, è stata “aprire il cassetto in cui custodisco ancora la ricevuta che attesta il mio voto al referendum del 22 ottobre 2017”. E da lì parte l’excursus. L’importanza dei numeri, “prova di un’esigenza avvertita sia a destra sia a sinistra”. La convinzione che “l’autonomia non è divisiva, non ha un’impronta classista. […] Si è sviluppata tra i cittadini in quanto tali ed è nata con la prospettiva di un salto di qualità a vantaggio di tutti. Ed è la rivoluzione pacifica in grado di rilanciare la crescita”. All’interno del libro, seguendo il format domanda-risposta, vengono analizzati con ampie sfaccettature tutti i dubbi dei variegato fronte centralista. Soprattutto il mondo cattolico, che negli ultimi mesi si era espresso a più riprese a sfavore della riforma. Zaia allega anche il testo integrale della lettera inviata al cardinale Zuppi, esortando a rivedere “il concetto di peccato autonomista”. E’ un saggio, ma è pure campagna elettorale permanente.
Capitolo dopo capitolo, emerge così un susseguirsi di retroscena, spiegazioni tecniche, esperienze personali lungo l’annoso percorso che ha portato alla legge. Fino all’idolatria: da Umberto Bossi al Leone di San Marco. “Mi sono chiesto – scrive il governatore – come mai una simile impronta autonomista sia tanto radicata nei veneti. Le ragioni vanno ricercate nel sentimento profondo e diffuso dell’eredità lasciata dalla Serenissima Repubblica di Venezia, espressione di buon governo e distribuzione di competenze alle realtà locali sotto la sapiente regia veneziana, che ha costituito un modello mondiale per l’epoca. Da quella memoria discende per i veneti lo spirito dell’autonomia di cui hanno fatto una bandiera. Non certo perché siano dei sovversivi. Piuttosto perché hanno maturato un’insofferenza nei confronti di un potere decisionale vissuto come distante e quindi estraneo. A lungo mi sono chiesto perché questo non sia avvenuto anche in altre comunità, soprattutto del Sud, dove la stessa collocazione geografica rende complessi i rapporti con il potere centrale, generando malcontento”. Quest’ultima resta una domanda aperta. E sempre numeri alla mano, non potrebbe essere altrimenti.