la riflessione
Urlare contro il patriarcato adottandone i tratti culturali e l'aggressività. Che peccato
Il patriarcato esiste, certo. Ma chi lo contrasta non tenendo conto del lungo elenco di nuovi abusi compie una grande contraddizione. Ci scrive la ministra per la Famiglia, la Natalità e le Pari opportunità
Improvvisamente, tutti a chiedersi se il patriarcato esiste. Rivendicarne l’esistenza sembra, a una sinistra in crisi di idee e di identità, una insperata via d’uscita. Ecco cosa davvero separa destra e sinistra, altro che le vecchie categorie di Bobbio, o la questione morale di Berlinguer: la destra è patriarcale, e quindi oppressiva, repressiva, antifemminista, e il fatto che sia guidata da una biondina capace di rompere schemi e tetti di cristallo, è un puro accidente. Bene, dunque, che in piazza, nella manifestazione per la Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, si bruci l’immagine del ministro Valditara, si sbandierino cartelli con il volto della premier (ma anche il mio) sporco di rosso, si urlino slogan di questo tenore: “Le sedi di Pro vita si chiudono col fuoco, ma con i pro vita dentro, sennò è troppo poco”.
Ricordare con nostalgia il passato è un rischio da cui guardarsi, ci vuole niente a diventare malmostosi cantori dei “bei tempi”, filtrati da una memoria selettiva. E’ impossibile, però, per me che il femminismo degli anni Settanta l’ho attraversato, guidato, vissuto con profonda e totale adesione, non fare confronti, misurando la distanza.
Il patriarcato esiste, certo. ma darne una lettura piatta, banalizzante, attaccandosi alla sua versione vintage e ormai sbiadita, è un’operazione vuota, spicciola furbizia ideologica. Il femminismo della “second wave” è stato una galassia ricca di diversità anche radicali. Ma si potevano riconoscere alcuni tratti unificanti, in primo luogo la sorellanza e il rifiuto della violenza. Adottare metodi di lotta nonviolenti, in anni in cui le piazze erano teatro di scontri duri, e il fascino cupo della lotta armata incombeva, non era facile, eppure è una scelta che non è mai venuta meno. Proporre la sorellanza non era un’opzione buonista, ma la consapevolezza che qualunque donna era, in quanto donna, priva di reale e piena cittadinanza, che fosse ricca, povera, ebrea, bianca, nera, di destra o di sinistra. Oggi di sorellanza non vedo più traccia, e le manifestazioni contro la violenza sono cariche di una paradossale aggressività.
Il patriarcato, intanto, prospera indisturbato. Sopravvive nelle sue forme più arcaiche e feroci in tante parti del mondo, e l’immigrazione introduce, qua e là, nelle nostre democrazie liberali, isole di oppressione antica, che viene troppo spesso accettata in silenzio. Sopravvive anche trovando forme più sofisticate, adeguate alle nuove tecnologie e alle nuove filosofie dei diritti. Le maschere con cui la storica asimmetria di potere tra maschi e femmine oggi si presenta, sono facili da individuare, perché accomunate dalla negazione della differenza: del corpo sessuato, delle desinenze, delle specifiche forme di potere esercitate sulle donne. Si cancella la parola donna e ogni termine riconducibile alla differenza sessuale, come tutto quello che ha a che fare con la maternità. Vanno bene la schwa e l’asterisco, vanno bene l’utero in affitto, l’allattamento al petto per i maschi, la vendita sul mercato degli ovociti, la possibilità di identificarsi come donna indipendentemente dal sesso biologico, e quindi entrare nelle prigioni, nelle piscine, nei bagni riservati alle donne, e infine di partecipare alle gare sportive femminili (e vincere).
Si può fare un lungo elenco di nuovi abusi, ed è stato fatto più volte. Quello che non si è ancora fatto è riconoscere questa negazione e insieme invasione del femminile come una subdola forma di patriarcato, di un potere maschile che, di fronte alla libertà e alla ribellione delle donne usa l’arma più potente, la bomba atomica della cancellazione. Le giovani donne che manifestano dovranno prima o poi accorgersi che mentre urlano slogan contro il patriarcato ne adottano i tratti culturali, i metodi di lotta, gli schemi interpretativi. Che peccato.
Eugenia Roccella
ministra per la Famiglia, la Natalità e le Pari opportunità