EDITORIALI
Segre definitiva su “genocidio” e verità
Una lezione di linguaggio contro le ambiguità della sinistra e cattoliche
Di tutti gli interventi di Liliana Segre per denunciare il ritorno dell’antisemitismo e per condannare (“rispetto sacrale”) tutte le violenze precedenti e successive al 7 ottobre quello apparso ieri sul Corriere, “Perché non si può parlare di genocidio a Gaza, ma di crimini di guerra e contro l’umanità”, è forse il più chiarificatore di concetti e parole. E definitivo, nel porgere evidenze che probabilmente sono risultate scomode ad almeno due categorie di attori. Ha scritto Segre che “le parole, a volte, diventano clave”. E la parola “malata” più grave è “genocidio”. Il suo uso distorto che ha colpito persino lei: “O ti adegui e ti unisci alla campagna che tende a imporre l’uso del termine ‘genocidio’ per descrivere l’operato di Israele o finisci subito nel mirino come ‘agente sionista’”. Denuncia: “Colpisce che alcuni tra i più infervorati nell’uso contundente della parola malata si trovino in ambienti solitamente dediti alla cura, talora maniacale, del politicamente corretto”. Una circostanziata critica alla sinistra che ha spesso tentato di farne una bandiera di parte. Spiega poi che a Gaza “non ricorre nessuno dei due caratteri tipici dei principali genocidi… mentre sono piuttosto evidenti crimini di guerra e crimini contro l’umanità, commessi sia da Hamas e dalla Jihad, sia dall’esercito israeliano”. E qui il bersaglio è il cattolicesimo pacifista ed equivicino ai nemici di Israele: dagli scivoloni del Papa alle disinvolte difese di vescovi e teologi. Si avverte il suo grande dolore quando scrive che “solo coprendosi occhi e orecchie si può evitare di percepire il compiacimento, la libidine con cui troppi sembrano cogliere un’opportunità per sbattere in faccia agli ebrei l’accusa di fare ad altri quello che è stato fatto a loro. Un complesso di colpa collettivo prodotto dalla storia si scioglie in un rabbioso sfregio liberatorio verso lo Stato ebraico di Israele”. Infine l’avvertimento per il quale non servono repliche: “L’abuso del termine genocidio significa produrre una crepa in un argine. E se crolla quell’argine, domani, potrà passare ben altro”.