provvedimento svuotato
Tajani ne vince una: dal decreto Giustizia rimosse le norme sulla cybersicurezza
Il Consiglio dei ministri ha approvato il decreto Giustizia, ma Forza Italia ha fatto eliminare le norme sul rafforzamento della procura nazionale antimafia sui reati di accesso abusivo ai sistemi informatici. Accantonato anche il nuovo illecito disciplinare dei magistrati
Il Consiglio dei ministri ha approvato ieri l’atteso decreto Giustizia. Le due novità che erano state inizialmente annunciate, però, sono sparite dal testo finale. Si tratta del rafforzamento dei poteri della procura nazionale antimafia sui reati in materia di cybersicurezza e dell’introduzione di un illecito disciplinare per i magistrati che non si astengono in caso di “gravi ragioni di convenienza”. Lo svuotamento del testo è frutto delle proteste di Forza Italia, sulla prima misura, e delle toghe sulla seconda, definita un “bavaglio” imposto dal governo ai giudici.
Stavolta la rottura fra gli alleati di governo non si è consumata in modo palese, come accaduto in settimana col voto contrario di Forza Italia sull’emendamento della Lega riguardante il canone Rai. Il risultato finale, cioè l’eliminazione dal decreto della parte che attribuiva maggiori poteri di coordinamento alla procura nazionale antimafia contro i reati di accesso abusivo ai sistemi informatici di interesse nazionale e pubblico, è però comunque frutto di una dura presa di posizione del partito guidato da Tajani contro gli iniziali intendimenti di Meloni e Fratelli d’Italia.
Le nuove norme “sono state accantonate in attesa di ulteriori approfondimenti tecnici”, è stata la spiegazione formale data ieri da Palazzo Chigi. In sostanza, però, si è confermata la divisione fra gli alleati già emersa lunedì, quando era stata fissata l’approvazione del decreto, poi slittata a ieri. A prevalere è stata la linea gasparriana interna agli azzurri.
Era stato il presidente dei senatori di FI, Maurizio Gasparri, a far intendere che sulla procura nazionale antimafia il partito si sarebbe opposto senza mezzi termini: “Dopo il caso Striano, non mi sembra proprio il caso di potenziare nemmeno il potere di impulso di questa procura, sulla quale stiamo indagando nella commissione Antimafia. Che da Via Giulia si pretenda un aumento di poteri, quando ancora si deve rendere conto dei poteri in mano esercitati negli anni passati, in particolare durante la gestione De Raho, mi sembra stupefacente”. “La bozza del decreto inerente a questo tema non può passare senza un esame approfondito dell’intero Cdm”, aveva ribadito Gasparri poche ore prima del Consiglio dei ministri di lunedì e del rinvio dell’intera questione.
A nulla sono servite le osservazioni di chi, anche dentro FI, faceva notare che gli accessi abusivi al centro del caso Striano si riferiscono al periodo 2019-2022, e che in seguito la procura nazionale antimafia è stata rinnovata profondamente sul piano sia organizzativo che dell’infrastruttura tecnologica. “Non so chi abbia scritto il decreto Giustizia, ma una cosa è certa: non l’ho scritto io, né la maggioranza. Lo hanno scritto dei magistrati che controllano il ministero, non so se ispirati da qualcuno, magari proprio da quella procura nazionale antimafia che è sotto inchiesta per gli accessi abusivi di Pasquale Striano”, aveva detto Gasparri al Foglio, confermando il suo “no” al provvedimento. Un “no” che è diventato la posizione, irremovibile, del partito.
A far saltare l’altra grande novità annunciata nel decreto Giustizia sono state le proteste della magistratura associata. La norma prevedeva l’introduzione dell’illecito disciplinare per i magistrati in caso di mancata astensione di fronte a “gravi ragioni di convenienza”. Un modo per reintrodurre dalla finestra l’obbligo del pm di astenersi “in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto”, previsto dal reato di abuso d’ufficio, nel frattempo abrogato. La vaghezza della norma contenuta del decreto, unita alle dichiarazioni del Guardasigilli Nordio (“Se un magistrato si è espresso in un determinato settore poi non si pronunci sul medesimo oggetto”), ha fatto gridare l’Associazione nazionale magistrati al “bavaglio” contro le toghe. Alla fine il governo ha deciso di eliminare anche questa norma, anche per non aggravare ulteriormente le tensioni con i magistrati alla vigilia dell’approdo in Aula della Camera del ddl costituzionale sulla separazione delle carriere, il 9 dicembre.
Il decreto approvato ieri risulta, dunque, svuotato. Restano poche misure marginali, come la definizione delle procedure di verifica del corretto funzionamento dei braccialetti elettronici e la proroga del termine per le elezioni dei consigli giudiziari e del consiglio direttivo della Corte di cassazione.