Medio oriente
L'uso disinvolto della parola “genocidio” è combustibile per il nuovo antisemitismo
Serviva l'intervento di Liliana Segre per rimettere al suo posto questo concetto abusato, diventato ormai criterio esclusivo di orientamento morale. Un rovesciamento in cui per stabilire chi ha ragione in una guerra sembra decisivo solo il numero delle vittime
Dovremmo ringraziare tutti Liliana Segre per l’equilibrio e la competenza con cui, in un articolo pubblicato venerdì dal Corriere della Sera ha decostruito la leggenda sul genocidio di Gaza che – grazie ahimè anche a una inopportuna frase di Papa Francesco – sta prendendo il sopravvento nel nostro discorso pubblico. Ha chiarito in cosa consiste un genocidio e come e perché esso si differenzia da una guerra, anche la più efferata.
E’ stato il modo migliore per rimettere questo concetto abusato al suo posto, e poteva farlo solo lei, sopravvissuta alla Shoah perché proprio a causa della Shoah – che è stata senza dubbio un genocidio – questo termine è diventato un elemento centrale della autocoscienza occidentale. Come ha scritto recentemente Pierre Manent, il genocidio è ormai diventato criterio esclusivo di orientamento morale, ogni crimine viene visto solo alla luce di questo crimine finale. Se per secoli – e per alcuni sistemi legislativi quale, tanto per fare un esempio, il diritto canonico ancora oggi – la giustizia si è interessata solo di punire i colpevoli, del tutto indifferente al destino delle vittime, oggi la giusta attenzione per il risarcimento delle vittime ha messo in atto un totale rovesciamento, se non addirittura una ossessione. Contano solo le vittime.
Per stabilire chi ha ragione in una contesa, in una guerra, sembra decisivo solo il numero delle vittime: chi ne fa di più è il colpevole. Naturalmente ciò sembra valere soprattutto, se non solamente, per le guerre in cui è coinvolto Israele, ragion per cui dei concetti giuridici elaborati da due giuristi ebrei sopravvissuti alla Shoah – genocidio e crimine contro l’umanità – proprio nella speranza di impedire altri orrori, oggi vengono impugnati contro gli ebrei israeliani. Insinuando che proprio costoro siano carichi di odio e di volontà di vendetta: un’illazione che nasce con tutta evidenza dalla cattiva coscienza occidentale nei confronti della Shoah.
Bene ha fatto quindi Liliana Segre a vedere quanto sia facile che l’accusa di genocidio che oggi risuona continuamente in occidente nasconda in realtà il riemergere dell’antisemitismo. Spesso con l’evidente appoggio di tutto il fronte islamico a cui non pare vero di cogliere una simile occasione E ristabilendo così la verità, e cioè che non è il comportamento in guerra di Israele – e tanto meno quello del suo odiato primo ministro – all’origine di questa rinascita purtroppo già in corso da tempo, bensì l’uso sconsiderato del termine genocidio. Giustamente Segre ha ricordato agli intellettuali ebrei e non ebrei (perfino ebrei!) che così facendo essi aprono “una crepa in un argine”. E cioè offrono combustibile al nuovo, crescente antisemitismo, invece di colpire – come invece essi s’illudono di fare – il, da loro odiatissimo, governo d’Israele.