Il caso

Lo stop all'Autonomia convince Meloni a tenere per sé la deleghe al Sud

Simone Canettieri

Non andrà a Foti. La leader di FdI sa che il suo partito è in difficoltà nel meridione e il prossimo anno si vota in Puglia e Campania. Sullo sfondo restano le liti continue fra Salvini e Tajani che si sono ritrovati sull'aereo più pazzo del mondo con Di Maio e Gelmini

Aeroporto di Linate, Milano, otto di mattina. Sul volo Ita per Roma salgono alla spicciolata due vicepremier, un ex ministro degli Esteri che fa ancora per poco l’inviato Ue nel Golfo e un’ex ministra. Eccoli tutti insieme divisi da pochi posti:  Matteo Salvini e Antonio Tajani, i tenori rissosi del governo; Luigi Di Maio, che fu leader del M5s ma anche ministro degli Esteri prima di Tajani nonché gemello diverso di Salvini ai tempi gialloverdi. E poi Mariastella Gelmini, ex big di Forza Italia, già draghiana, eletta con Azione e ora  in maggioranza via  Maurizio Lupi. L’aereo più pazzo del mondo, governi stratificati come la città di Troia. I quattro si sono salutati fra loro per cortesia, prima di rificcarsi con la testa sugli schermi dei cellulari. La giornata è iniziata così.  


Atterrati a Roma, Salvini e Tajani si dirigeranno, a bordo di auto diverse, all’Auditorium della Conciliazione per l’assemblea Generale di Alis  (associazione che riunisce e rappresenta oltre 2.300 imprese del mondo della logistica intermodale e sostenibile). Siccome i due in sala non si degneranno di uno sguardo le agenzie di stampa faranno notare la cosa. Dettaglio malizioso che non deve essere andato giù a Giorgia Meloni. La premier  in pubblico continua a sminuire i contrasti tra Lega e Forza Italia, in privato organizza a casa apericene di maggioranza, tuttavia sembra essere stanca – “me so’ scocciata” – di questo andazzo, seppur fisiologico. Sarà dunque abbastanza rivelatrice la nota congiunta dei vicepremier che per smentire “alcune ricostruzioni”    precisa che i due  “hanno viaggiato insieme sul volo Milano-Roma delle 8 di oggi e come sempre si sono salutati e parlati con cordialità”.

Peccato che subito ecco le motivazioni della Consulta sull’Autonomia, sulla legge che dovrà ritornare in Parlamento dopo essere stata fatta sostanzialmente a fettine. Ecco dunque Tajani esultante pronto a sottolineare il bisogno di correzioni, ma senza fretta perché c’è tempo fino al 2027 perché le priorità ora sono altre, a partire dalla giustizia. E l’altro, Salvini, che invece dà ragione al ministro leghista Roberto Calderoli sulla giusta strada intrapresa. Sullo sfondo c’è una forza, il Carroccio, che si è rattrappita e ritirata al nord e l’altra, Forza Italia, che nel meridione conta ancora un più che discreto bacino di voti e amministratori (Sicilia, Calabria, Molise, Basilicata). In questa disfida interviene Giorgia Meloni a modo suo: si scopre infatti che la premier ha tenuto per sé la delega per il Sud. E non l’ha data, al contrario di Pnrr, Coesione e Affari europei, a Tommaso Foti, il neo ministro (piacentino) che ha preso il posto del neo vicepresidente della commissione (salentino) Raffaele Fitto. Che Fratelli d’Italia abbia un problema al sud è abbastanza pacifico: basta ricordarsi i dati delle ultime elezioni europee.

Nella circoscrizione Italia meridionale il Pd è arrivato primo, d’un soffio, davanti al partito della premier: 24,34  contro 23,58 per cento, con il M5s al 16. Meglio è andata, per Meloni, nelle isole come piazzamento seppur con un non esaltante 21,29 (sette punti sotto la media nazionale). Ecco perché in vista delle elezioni regionali del prossimo anno in Puglia e in Campania, la carta del sud potrebbe rimanere nel portafogli di Meloni. Evitando di assegnarla a Nello Musumeci, titolare del Mare che dal giorno del giuramento briga per ottenerla. La delega comunque vada rientra nel mazzo di carte che la premier si tiene per sé in vista di un piccolo giro di sottogoverno. Deve scegliere un nuovo viceministro ai Trasporti al posto del neo capogruppo Galeazzo Bignami (come scritto c’è un derby Sasso-Rotelli, entrambi di FdI) e poi pensare cosa fare, o come giocarsi, le caselle rimaste vuote dopo le dimissioni di Augusta Montaruli (Università) e Vittorio Sgarbi (Cultura). In più adesso c’è il Sud. Al netto di Daniela Santanchè, la ministra del Turismo, a cui “Report” ha dedicato un’ora di puntata, continua a sentirsi nel mirino in attesa di un possibile rinvio a giudizio.
 

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  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.