Il caso

Rebus sottosegretari per Meloni: tante pedine vuote e qualche "assenteista"

Simone Canettieri

Dopo la manovra è atteso un rimpastino di deleghe. Malumori in maggioranza per chi non segue i provvedimenti. Nel mirino D'Eramo, Silli e Tripodi

Dietro al record di fiducie parlamentari – 73 finora, con un ritmo di tre al mese – si nascondono scricchiolii funesti. Malumori, piccoli meccanismi che non funzionano nella macchina del governo, e del sottogoverno, di Giorgia Meloni. Nonostante la pazienza di Giobbe del ministro per i Rapporti con il Parlamento Luca Ciriani – che prova a farsi ubiquo – dopo due anni e passa ci sono consuetudini che iniziano a pesare. Riguardano la scarsa presenza di alcuni membri dell'esecutivo nel seguire i provvedimenti dei loro ministri in commissione come in Aula. E così a volte capita che al volo si chiami un esponente di governo, un sottosegretario a caso, per seguire la legge che riguarda un altro ministro, assente così come i suoi eventuali vice o sottosegretari. Un clima rilassato che non piace a Palazzo Chigi e che potrebbe cambiare.  
Come si sa la premier Giorgia Meloni ha in mano una serie di fiche  da giocarsi al tavolo del prossimo rimpastino di deleghe e poltroncine di sottogoverno. Non ha fretta, ma sa che prima o poi la faccenda dovrà affrontarla. Con ogni probabilità ci penserà agli inizi del 2025 quando la manovra sarà diventata legge dello stato. Resta vacante la posizione di viceministro dei Trasporti (dopo la nomina di Galeazzo Bignami al posto di Tommaso Foti, diventato ministro succedendo al commissario Ue Raffaele Fitto). All’Università, manca un sottosegretario dal febbraio 2023 quando Augusta Montaruli, sempre di FdI, si dovette dimettere dopo la condanna definitiva per l’uso improprio dei fondi dei gruppi consiliari del Piemonte negli anni dal 2010 al 2014. Vuota, e non sarà riempita, nemmeno la casella che fu, al ministero della Cultura, di Vittorio Sgarbi nel febbraio di quest’anno a seguito del pronunciamento dell’Antitrust su alcuni incarichi non compatibili con il ruolo di governo del critico d’arte. E poi c’è la delega al Sud, che Fitto ha lasciato a Roma, a Palazzo Chigi direttamente nelle mani di Meloni, togliendola dal pacchetto affidato a Foti. Fin qui lo scenario noto. Poi ci sono i malumori della maggioranza nei confronti di alcuni sottosegretari poco inclini a seguire l’iter dei lavori parlamentari che in teoria dovrebbero interessarli. Esiste anche una sorta di pagella che gli uffici di Palazzo Chigi hanno tra le mani. Ci sono i nomi (e i cognomi) dei più presenti e di quelli meno presenti, appunto. Fra questi spiccano i casi, numeri alla mano, di tre persone. Il primo è in quota Lega, è il sottosegretario all’Agricoltura, Luigi D’Eramo, salviniano dell’Aquila, e non proprio considerato uno stakanovista. Quando non c’è il ministro Francesco Lollobrigida viene impiegato a seguire leggi e leggine l’altro sottosegretario, di FdI, Patrizio Giacomo La Pietra. Se per qualsiasi motivo non c’è nemmeno quest’ultimo, ecco che scatta l’allarme. E quindi tocca al ministero di Ciriani tappare la falla. Una dinamica che accade con frequenza anche quando ci sono di mezzo gli Affari esteri, il ministero di Antonio Tajani, il quale per lavoro, com’è facile capire, si trova in giro per il mondo. Tuttavia anche i suoi sottosegretari sembrano non essere molto reattivi. A partire da Giorgio Silli, ex deputato, arrivato alla Farnesina su spinta di “Noi moderati” di Maurizio Lupi. Sul suo attivismo si addensano diversi mugugni. Non riguardano la qualità del lavoro, bensì la presenza, siamo sempre lì, nel seguire l’iter dei provvedimenti. Stesso discorso per  Maria Tripodi, altra sottosegretaria agli Esteri, questa volta proveniente dalla filiera politica del titolare del dicastero: Forza Italia. In maggioranza c’è chi si è lamentato anche di lei. Tanto che alla fine della fiera, quando Tajani è fuori dall’Italia, l’unico che si fa trovare in maniera assidua è il viceministro, di FdI, Edmondo Cirielli. Sembrano dettagli, certo. Che però combinati con il taglio dei parlamentari rendono complicata la vita legislativa del governo. L’abuso delle fiducie, tanto stigmatizzate da Meloni quando era all’opposizione, è una conseguenza, seppur collaterale, di una squadra che dopo due anni appare avere bisogno di una messa a punto. La lista dei presenti è nelle mani del dipartimento che si occupa del programma, delega in capo al sottosegretario Giovanbattista Fazzolari. Meloni, che dice di lavorare dalla mattina alla sera, la prende malissimo quando le raccontano di membri del sottogoverno poco puntuali nello sbrigare gli affari correnti. E allora forse ecco che la finestra del 2025 sarà quella giusta: con la scusa di fa ruotare le presidenze delle commissioni parlamentari è probabile che si andrà cambiare anche qualche pedina coprendo con i nomi quelle finora vuote.

 

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  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.