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Divergenze parallele

Il codice della strada di Salvini tra aumento delle sanzioni e l'effetto deterrenza

Lorenzo Borga

Dal 14 dicembre entra in vigore la nuova normativa fortemente voluta dal ministro dei Trasporti. Le opinioni di Geronimo La Russa e Stefano Guarnieri

Questa è “Divergenze Parallele”, la rubrica curata da Lorenzo Borga. Ogni settimana ospitiamo due opinioni opposte, ma informate, su un tema chiave per capire la quotidianità. Perché – fuori dal mondo dei talk show e dei social – sugli argomenti di scontro si possono confrontare ragioni diverse, legittime e immuni da bufale.  


 

C’è un argomento che fa discutere gli italiani. Al bancone del bar, a cena dai parenti come nei salotti televisivi non si fa altro che parlare del nuovo codice della strada in vigore dal 14 dicembre. Perché riguarda tutti, automobilisti o meno. Riguarda il nostro modo di muoverci, e di vivere i luoghi in cui viviamo. Ne parliamo a Divergenze Parallele con Geronimo La Russa, presidente di Aci Milano, e con Stefano Guarnieri, fondatore dell'Associazione Lorenzo Guarnieri, nata in memoria di suo figlio Lorenzo, morto a causa di un incidente stradale a Firenze, nel 2010.

 

Sabato 14 dicembre entra in vigore il nuovo codice della strada. Qual è la sua valutazione?


Geronimo La Russa - Il precedente codice della strada era stato redatto nel 1992 quando, per intenderci, i monopattini neanche si immaginava potessero esistere e le stesse biciclette erano meno diffuse. La prima causa di morte non era la distrazione al volante, come è invece oggi, per il semplice motivo che gli smartphone non esistevano. Era assolutamente necessario adeguare il codice della strada ai nostri giorni, rendendo il testo omogeneo tra le tante modifiche che negli anni sono state decise. E a dimostrare che intervenire era essenziale sono i dati Istat sull’incidentalità, che hanno visto un ritorno della curva verso l'alto, spinta dalle distrazioni alla guida.

 

Stefano Guarnieri - Non vedo sinceramente queste grandi novità nel nuovo codice della strada, che rimane auto-centrico. E i pochi cambiamenti tolgono protezioni ai deboli della strada – pedoni e ciclisti – per tutelare i forti, cioè i mezzi a motore. Pensiamo ai limiti introdotti per la creazione di nuove zone a traffico limitato o all’eliminazione di alcuni elementi di ciclabilità introdotti in precedenza. E il nuovo codice è pieno di occasioni mancate. Per esempio in Italia usiamo le telecamere per misurare la velocità, ma non le utilizziamo per verificare le assicurazioni dei veicoli. La tecnologia esisterebbe, ma la legge non permette di contestare a distanza la violazione e non lo permetterà neanche in futuro. È come se in Serie A il Var venisse chiamato in causa solo e soltanto per i falli di mano, e non per tutti gli altri.

 

Le nuove sanzioni per chi guida con lo smartphone in mano – con l’aumento delle multe fino a 1.400€ e la sospensione della patente per almeno una settimana – potranno essere veramente efficaci e invertire la tendenza?

 

GLR – Credo proprio di sì. Ovviamente servirà un periodo di transizione e di monitoraggio. Per i vigili basterà affiancare gli automobilisti, e osservare quanti guidano con il cellulare in mano. A me stesso capita di vederne moltissimi. Per queste situazioni serve il pugno duro, con anche il mini-ritiro della patente, per una settimana o 15 giorni, come previsto dal nuovo codice. Così che chi sbaglia abbia modo di riflettere: forse quel messaggino poteva aspettare un minuto in più.

 

SG - Contestare la guida al telefono per le forze dell’ordine è un’attività complessa, perché servirebbe sostanzialmente affiancare gli automobilisti. Quindi purtroppo non cambierà praticamente nulla da questo punto di vista, dal momento che non vengono stanziati nuovi fondi per incrementare i controlli.

 

Molto si è discusso dell’inasprimento delle sanzioni per chi guida in stato di ebbrezza. Le nuove misure potranno davvero fare da deterrente a mettersi alla guida dopo aver bevuto oltre i limiti?

 

GLR – Ecco, questo è il tema su cui sto ricevendo più domande da parte di molte persone. La realtà è che in Europa altri Paesi non permettono di mettersi alla guida se bevi, a prescindere dalla quantità di alcol assunta. Per quanto in Italia esista la cultura del bicchiere di vino a tavola, è provato scientificamente che l’alcol altera le condizioni psicofisiche. Quindi è giusto porre un limite. Tra le principali cause di morte sulla strada, dopo la distrazione di cui abbiamo già detto, viene proprio l’alterazione da sostanze alcoliche o stupefacenti.


SG - Il principio è ovviamente giusto. Ma non bisogna guardare solo all’entità della sanzione, ma anche al rischio di subire il controllo. Dal momento che le verifiche in Italia sono troppo rare – solo 1 milione di controlli alcolemici l’anno su 40 milioni di patentati – le nuove sanzioni rischiano di rimanere senza effetto.

 

Parliamo allora anche degli stupefacenti: con il nuovo codice della strada la sanzione arriverà con la positività al test, e non più per l’alterazione psico-fisica dovuta dalla sostanza. Ciò potrebbe significare, per esempio, che chi ha assunto cannabis due o tre giorni prima rischia il ritiro della patente anche se al momento del controllo è sano e abile alla guida. È un paradosso?

 

GLR – Molti aspetti del nuovo codice andranno chiariti con alcuni decreti, su questo e altri punti. Chiariamoci: per guidare devi stare bene. Se così non è, non guidare. Usa i mezzi pubblici, il taxi, o fatti accompagnare dagli amici. Su questo punto specifico serve però un’applicazione ragionata della legge.

 

SG - Anche sulla droga il principio è corretto, ma il nuovo codice della strada non indica quali saranno i valori soglia, né il tipo di test salivare che verrà utilizzato, né le modalità con cui verranno effettuate le contestazioni. Seppur al testo si sia lavorato per due anni, non si è stati capaci di chiarire fin da subito questi aspetti. I dettagli dovrebbero arrivare in circolari applicative, senza valore di legge, il che pone dei dubbi sulla tutela dei diritti degli imputati.

 

Una delle novità introdotte è l’obbligo di casco e targa per i monopattini elettrici. Questo porterà probabilmente all’abbandono delle grandi città italiane da parte delle compagnie di sharing mobility. È un rischio calcolato?

 

GLR – Penso proprio di sì. Prendiamo l’esempio di Parigi, che sui monopattini elettrici ha fatto un passo indietro. Il problema è come vengono utilizzati questi mezzi. Io vivo Milano, frequento Roma come tante altre grandi città italiane. I monopattini sono spesso e volentieri abbandonati sui marciapiedi, viaggiano in contromano, perfino con due persone a bordo. È un atteggiamento pericolosissimo. Ecco perché servono le luci, le frecce, la targa, e anche il casco. Come è obbligatorio per il mio vecchio cinquantino Piaggio Sì, che non penso vada più veloce dei moderni monopattini. Mi spiace per le aziende, ma seguiremo l’esempio di altre città europee.

 

SG - Qui i discorsi sono due. Primo, il casco è utile. Secondo, questo obbligo rischia di togliere dalla strada dei mezzi comunque utili a ridurre il traffico automobilistico. Ecco perché sostengo che il tempo non era probabilmente maturo per tale obbligo. Il nuovo codice va a limitare la circolazione dei monopattini, che assieme alle biciclette causano solo il 2% degli incidenti mortali sulle strade rispetto al 98% provocati dai mezzi a motore. I cui limiti di velocità invece non vengono ridotti, anzi con le nuove norme sugli autovelox i controlli diventeranno ancora più difficili.

 

Il nuovo codice della strada prevede che i comuni per istituire nuove Ztl, zone 30 e ciclabili debbano fornire motivazioni specifiche, seguendo le indicazioni del Ministero dei Trasporti. Si rischia così di rallentare l’azione dei comuni?


GLR – Prendiamo l’esempio di Milano, dove già oggi esistono diverse zone 30, e ben vengano. Ma certo questo limite di velocità non può essere esteso all’intera città, come fatto a Bologna. Serve un Ministero che garantisca omogeneità. D’altronde il codice della strada dura decenni, mentre i Governi vanno e vengono. Quindi trovo strumentale l’accusa che questa norma serva per imporre la visione dell’attuale maggioranza politica. Milano in particolare è una città in cui va tutelata la libertà di muoversi liberamente e in sicurezza. Non possiamo abbandonarla alla decrescita felice, tutti a 30 all’ora per tutelare i monopattini in contromano. Non è neanche nel Dna della città, come di tante altre.


SG - Tutti gli studi scientifici indicano che la città a 30 all’ora sono meno pericolose. Se un impatto avviene a 30 km all’ora il pedone ha 9 possibilità su 10 di sopravvivere, se la velocità sale a 50 all’ora le probabilità si invertono e il pedone ha 1 possibilità su 10 di salvarsi. Ridurre le aree a lento scorrimento significa dare ancora più spazio alle automobili. È il contrario di quanto accaduto nel Regno Unito, che nel 2022 ha introdotto una riforma per dare sempre la priorità ai più deboli della strada – pedoni e ciclisti – rispetto agli altri utenti. In mare funziona così da secoli: la piccola barca a motore ha la precedenza sulla grande nave da crociera, perché è l’elemento in quel momento più vulnerabile. Lo stesso deve accadere sulle strade. Soprattutto in quelle urbane, dove la mortalità sta purtroppo aumentando a differenza di quanto si verifica nelle autostrade.

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