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l'intervista

“Migliorare le norme sugli scioperi si può, ma serve consenso non il cipiglio di Salvini”, ci dice Treu

Maria Carla Sicilia

Le regole che il vice premier vuole cambiare funzionano bene, ma ci sono delle criticità soprattutto nei trasporti, dice l'ex ministro del Lavoro. “Sigle molto piccole possono creare disagi enormi. Una soluzione? Introdurre un referendum per far decidere i lavoratori"

Da ministro dell’Interno Matteo Salvini difendeva gli italiani dai migranti, da ministro dei Trasporti vuole difenderli dagli scioperi. Ma non potendo sempre precettare, la sua proposta è quella di cambiare direttamente le norme. “Ci sono sicuramente margini per migliorare le regole, ma queste modifiche vanno fatte con un approccio equilibrato, non certo con il tono e il cipiglio che ha assunto Salvini”, dice al Foglio Tiziano Treu, ex ministro del Lavoro ed ex presidente del Cnel, oltre che membro della prima Commissione di garanzia istituita nel 1990. La premessa è una: “Serve consenso. E voi immaginate la Cgil che tratta con questo ministro”. Le regole introdotte negli anni ‘90, dice il professore, funzionano bene, anche se ci sono delle criticità. “Soprattutto nei trasporti: in questo settore, spesso gli scioperi sono indetti da piccole sigle che creano disagi senza una reale adesione”.

Lo sciopero di ieri è riuscito a mandare in tilt le città pur essendo organizzato da un sindacato, l’Usb, che tra gli autoferrotranvieri in Italia conta una rappresentanza ben inferiore all’8 per cento. Secondo i dati diffusi dall’Agenzia per la mobilità, a Roma l’adesione è stata pari al 26 per cento. Eppure per molte ore sono state chiuse due delle tre linee metro, oltre ad essere stato fortemente rallentato e in alcuni casi bloccato anche il trasporto di superficie. Il traffico in città è esploso. “Nei trasporti basta un piccolo gruppo ben organizzato in punti nevralgici, come le stazioni centrali, o con ruoli cruciali per il funzionamento della rete, per causare enormi disagi”, continua Treu. Uno dei problemi collaterali, poi, è l’effetto che si crea quando viene data notizia della mobilitazione. “Molti scioperi vengono annunciati da piccoli gruppi, ma non vengono mai realizzati, o se lo sono, hanno pochissime adesioni. Il danno però è già stato fatto. Questo è un punto debole della normativa”. Per mitigare il panico degli utenti, alcuni giuslavoristi propongono di guardare al modello francese che impone di comunicare l’adesione allo sciopero nei servizi pubblici essenziali almeno 48 ore prima, così da avere contezza dell’effettivo impatto. Ma si tratta di una soluzione molto dibattuta. “Serve prudenza – dice Treu – perché un intervento del genere potrebbe essere poco accettato dai lavoratori”. Più plausibile, invece, è l’ipotesi di chiedere agli stessi lavoratori di esprimersi sull’utilità di uno sciopero.

“Una possibile soluzione, che ho già proposto in passato, è quella di introdurre un referendum tra i lavoratori per decidere se un’azione di sciopero sia effettivamente necessaria. Se la maggioranza dei lavoratori è contraria, lo sciopero non dovrebbe avere luogo”. Il vantaggio sarebbe quello di coinvolgere le parti e creare un dibattito anche sulle incredibili motivazioni che spesso sono alla base degli scioperi. Quello di ieri, per esempio, oltre alla politica economica del governo e alla richiesta di un salario minimo, era anche contro il “genocidio di Israele” e per “l’autodeterminazione di Crimea e Donbass”. “Un referendum tra i lavoratori – sostiene Treu – è la soluzione più democratica. Se si rispettano le regole, e se la maggioranza dei lavoratori non è d’accordo con lo sciopero, allora non ha senso che un piccolo gruppo lo imponga. Il referendum è già utilizzato per approvare contratti collettivi e, a maggior ragione, dovrebbe essere utilizzato per decidere se danneggiare gli utenti”. Misurare il consenso servirebbe anche per smorzare un altro vulnus della nostra normativa: quella della rappresentanza delle sigle sindacali. Un problema, ricorda l’ex ministro, di cui si discute da decenni senza trovare una soluzione. “La realtà è che siamo l’unico paese dove non si dà peso alla rappresentatività del sindacato con cui si negozia un contratto o si discute uno sciopero”.

C’è poi il nodo del Comitato di garanzia, un organo cruciale per il corretto funzionamento dell’esercizio di sciopero. “Certamente il Comitato potrebbe essere rafforzato, con i poteri che ha non è che può fare più di quello che già fa. La mia proposta, che feci da parlamentare, era quella di prendere esempio da sistemi come quello britannico, dove un organismo simile, l’Acas, non solo interviene per mediare i conflitti, ma ha anche il potere di conciliare o addirittura arbitrare le controversie. Poi si potrebbe migliorare la sua composizione, magari includendo più operatori e meno giuristi, per rendere le decisioni più consapevoli e concrete”. Riabilitare l’immagine del Comitato sottrarrebbe anche pretesti alla polemica politica. “Salvini ha cercato di usare la precettazione, ma la realtà è che il Tar del Lazio, notoriamente conservatore, ha bocciato due volte la sua richiesta. La legge attuale è chiara: basta che i sindacati rispettino le fasce orarie e i minimi essenziali, e la precettazione non è applicabile. In questo caso la decisione del Tar è stata coerente con la legge, perché non è stato violato alcun diritto, e non c’era dunque motivo di applicare misure straordinarie”. Un assist perfetto per dire: cambiamo la legge.
 

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  • Maria Carla Sicilia
  • Nata a Cosenza nel 1988, vive a Roma da più di dieci anni. Ogni anno pensa che andrà via dalla città delle buche e del Colosseo, ma finora ha sempre trovato buoni motivi per restare. Uno di questi è il Foglio, dove ha iniziato a lavorare nel 2017. Oggi si occupa del coordinamento del Foglio.it.