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L'intevista del direttore

Tabù sul Pnrr, vizi sul sud, europeismo possibile. Parla il ministro Foti

Claudio Cerasa

I risultati che ci sono, i conti che non tornano: “Sul Pnrr, ancor prima delle regioni, il ruolo dei comuni sarà determinante". Proroghe oltre il 2026? Non ne chiediamo. Il Ppe? Giusto avvicinarsi

E’ la croce e la delizia del governo Meloni. E’ il suo punto di forza e il suo punto di debolezza. E’ la sua finestra sulle opportunità e la sua finestra sui peccati. E’ il riflesso dell’europeismo ma anche il riflesso dei vizi di una maggioranza che continua a chiedere soldi all’Europa mentre non riesce a spendere quelli che l’Europa già le offre. Tommaso Foti ha 64 anni, è l’ultimo ministro in ordine di apparizione del governo Meloni, ha preso il posto di Raffaele Fitto, ora commissario europeo, e da ministro per gli Affari europei, le Politiche di coesione e il Pnrr accetta di dialogare a trecentosessanta gradi con il Foglio intorno a un tema importante: quanto può aiutare il Pnrr a non far perdere la rotta europeista al governo di cui fa parte? Tanto, dice Foti.

 

La prima domanda per il ministro riguarda un problema importante maturato negli ultimi giorni, evidenziato dalla Corte dei conti, che pochi giorni fa ha detto quanto segue: sul Pnrr manca all’appello un terzo esatto delle spese previste, pari a 29 miliardi. Viene dunque naturale chiedersi che cosa non funziona ancora nel meccanismo del Pnrr e cos’è che impedisce al governo di usare in modo efficiente le notevoli risorse europee. “Concentrarsi troppo sulla spesa – dice Foti – finisce per mettere in ombra il vero valore aggiunto del Pnrr, che è un programma per obiettivi e non un programma di spesa. Ciò detto, i dati consolidati riferiti al settembre scorso evidenziano una spesa di circa 58 miliardi di euro, circa un terzo delle risorse assegnate. Va considerato inoltre che l’ultimo trimestre dell’anno è, per prassi, un periodo di chiusura della rendicontazione per tutte le pubbliche amministrazioni. Pertanto, sono fiducioso che l’anno si chiuderà con un’ulteriore accelerazione della spesa. Del resto, con il nuovo metodo di lavoro introdotto dal governo Meloni è già stata spesa la metà delle sovvenzioni assicurate dal Pnrr. Infine, proprio per accelerare la spesa, il ministro dell’Economia ha appena varato un provvedimento di sostanziale rendicontazione alla Commissione europea di interventi che sono stati effettivamente realizzati, obiettivi e traguardi concordati a livello europeo raggiunti nei tempi e nei modi previsti dal nostro paese. Non a caso, l’Italia è prima in Europa, come certificato dalla stessa Commissione europea: siamo i primi ad aver ricevuto le prime cinque rate del Piano, nonché ad aver ricevuto l’approvazione per il pagamento della sesta rata, e a fine dicembre saremo i primi in Europa a presentare richiesta per il pagamento della settima rata, avendo positivamente raggiunto gli obiettivi a essa connessi. Per questo, per la sua capacità di raggiungere gli obiettivi nei tempi concordati, l’Italia ha già ricevuto 113,5 miliardi di euro nell’ambito del Pnrr”.

 

Facciamo notare al ministro che i numeri della Corte dei conti, purtroppo, non sono però smentibili e la difficoltà del governo a trasformare in oro il tesoro del Pnrr la si deduce anche da altri dati. L’ufficio parlamentare di Bilancio, per esempio, ha stimato all’inizio dell’anno che il contributo che il Pnrr avrebbe dato alla crescita nel 2024 sarebbe stato pari allo 0,9 per cento del pil. La capacità di spendere i soldi del Pnrr, come è evidente, incide sulla crescita e negli ultimi mesi, a causa dei rallentamenti, ha inciso in negativo, non aiutando il pil a crescere come sarebbe stato lecito attendersi. L’ex ministro Fitto aveva pensato di spostare i centri di spesa dalle regioni ai comuni, per rendere più efficiente il Piano. E’ una direzione che il governo intende seguire? “Il governo Meloni, in particolare l’ottimo ministro Raffaele Fitto, ha promosso un proficuo dialogo istituzionale fra tutti i soggetti coinvolti nella realizzazione degli interventi previsti dal Pnrr, linea che intendo perseguire nell’ambito del mio mandato. La capacità di spendere le risorse finanziarie è un tema molto complesso che chiama in causa tutti i soggetti coinvolti, dai comuni ai ministeri, passando per le regioni. Il metodo di gestione del Pnrr promosso dal governo Meloni fin dal suo insediamento è stato quello di restituire centralità alla cabina di regia del Pnrr, che rappresenta il luogo istituzionale in cui tutti questi soggetti si confrontano sullo stato di attuazione delle misure del Pnrr, individuando soluzioni condivise. In linea con questa impostazione sono state istituite anche le cabine di coordinamento presso ciascuna prefettura, per assicurare un presidio territoriale sempre più prossimo alla gestione concreta delle misure. Proprio perché soggetti attuatori di migliaia di interventi, il ruolo dei comuni sarà nei prossimi mesi sempre più determinante e strategico – tenuto anche conto che ci sono ben pochi centri di spesa Pnrr nelle regioni – sia per la conclusione sia per le rendicontazioni degli stessi”.

 

Facciamo notare a Foti che da ottobre 2024 a giugno 2026, per essere in linea con la chiusura alla scadenza prevista, il Piano italiano dovrebbe tenere una spesa media monstre di oltre 6 miliardi al mese. Davvero il ministro è ottimista sulla possibilità che la nuova Commissione possa aumentare di almeno un anno i tempi necessari per il conseguimento del Piano?  “Il Pnrr è un’opportunità che l’Italia non si può far scappare, dunque per noi rimane ferma la scadenza del 2026 e la determinazione a raggiungere nei tempi previsti tutti gli obiettivi concordati con la Commissione europea”. Dal punto di vista culturale, cosa ha insegnato il meccanismo del Pnrr ai partiti e ai politici scettici sull’Europa? Possiamo dire, chiediamo ancora a Foti, che il meccanismo del Pnrr è stato la dimostrazione plastica del fatto che avere più sovranità dell’Europa significa avere più solidarietà dall’Europa e che avere più sovranità europea non è incompatibile con la difesa dell’interesse nazionale? “La tragedia del Covid, che ha colpito l’Italia più di ogni altro stato europeo, ha fatalmente determinato il ritorno a una politica di equa solidarietà di cui da anni non si avvertiva traccia. Mai come oggi l’Europa deve perseguire una politica che, senza prevaricare i singoli interessi nazionali, forte di una coesione non di facciata, sia in grado di affrontare le sfide che vengono, in ogni ambito, dagli altri continenti. Si può dire, alla luce dell’esperienza Pnrr, che promuovendo la solidarietà di territorio l’Europa assorbe i singoli interessi nazionali proiettandoli in una prospettiva più vasta”. 

 

Sul Pnrr, però, c’è un problema ulteriore, che non si può nascondere. Su 206 indagini avviate dalla procura europea, 179 riguardano il nostro paese. E molte di queste riguardano i progetti legati al Pnrr. E’ un problema. Come lo si può risolvere? “Vede, il numero significativo di indagini condotte dalla procura europea in Italia è merito principalmente dello straordinario lavoro delle nostre forze di polizia e della loro capacità di analisi, in particolare del corpo della Guardia di Finanza. Tale merito è stato riconosciuto anche dal procuratore capo europeo, Laura Kövesi, in audizione in commissione Libertà civili al Parlamento europeo, per la quale l’Italia è vittima del suo successo, nel senso che l’elevato numero di indagini deve leggersi come sintomo del corretto funzionamento del sistema di sorveglianza, e non di una patologica tendenza all’illegalità. Personalmente sono pienamente d’accordo con quella lettura. Non va dimenticato, inoltre, che l’Italia è il maggior beneficiario dei fondi europei del programma Next Generation Eu, risultando, dunque, tra gli stati membri con un maggior impegno nell’indagare e perseguire i reati e le frodi ai danni del bilancio europeo. Il governo Meloni si è fortemente impegnato in tal senso: con il decreto legge n. 19 del 2024, è stata rafforzata la strategia unitaria delle attività di prevenzione e contrasto delle frodi e degli altri illeciti sui finanziamenti connessi al Pnrr, alle politiche di coesione e ai fondi nazionali correlati. E’ stata anche rafforzata la competenza del Comitato per la lotta contro le frodi nei confronti dell’Unione europea, il Colaf, estendendola al Pnrr. Insomma, per il governo Meloni ogni euro del Pnrr deve andare a cittadini e imprese – con maggiori e migliori servizi – non essere intercettato dalla criminalità”.

 

Il ministro Foti sarebbe favorevole a trasformare il meccanismo del Pnrr in un elemento strutturale dell’Unione europea? Per esempio, nella creazione di debito comune per finanziare progetti. Per esempio, sulla Difesa. Per esempio, sull’ambiente. Potrebbe essere questa la chiave per far crescere l’Europa e tenerla più unita? “Il Pnrr nasce come uno strumento temporaneo utile ad affrontare gli effetti della crisi pandemica. Solo alla scadenza della sua operatività si potranno analizzare luci e ombre di questo strumento e verificare se, anche con opportune modifiche, possa essere riproposto per affrontare emergenze non occasionali. Per quanto riguarda l’Italia,  in questi anni, il governo ha agito per assicurare la massima sinergia tra questo strumento temporaneo e i fondi ordinari dell’Unione europea, quelli destinati alla Politica di coesione, nella convinzione che la complementarietà tra questi strumenti rappresenti, come più volte sottolineato dal presidente Meloni, un nuovo metodo di gestione delle risorse europee. Tale impegno si è anche concretizzato, recentemente, con l’approvazione della riforma delle Politiche di coesione prevista dal Pnrr, un modello virtuoso italiano per tutti i paesi europei. Con questa riforma il governo ha introdotto nella gestione dei Fondi per la coesione un modello orientato ai risultati, tipico del Pnrr, attraverso l’individuazione dei settori prioritari strategici degli interventi e un sistema di cronoprogrammi e di verifiche periodiche. In precedenza, il governo aveva introdotto gli Accordi per la coesione nella gestione dei Fondi nazionali per le politiche di coesione: tali Accordi, già sottoscritti da tutte le regioni e province autonome, assicurano una maggiore efficienza nella gestione dei Fondi nazionali per la coesione, superando i ritardi che nel passato hanno ostacolato l’azione di riduzione dei divari territoriali. In conclusione, caro direttore: lo strumento in sé, il Pnrr, è temporaneo, ma i suoi princìpi, il metodo per obiettivi e tempi certi, possono essere applicati alle Politiche di coesione e, dunque, divenire strutturali”.

 

Uno dei problemi del Pnrr, oggi, è che i cittadini capiscono di cosa si parla ma poi faticano a vedere nel concreto quali sono gli effetti pratici del lavoro. Il Foglio giorni fa ha suggerito una strada: raccontare il Pnrr per quello che sta davvero producendo, staccandosi dalla politica seguita finora dei silenzi o della concentrazione del dibattito sugli aspetti tecnici. Vogliamo cominciare ora, facendo tre o quattro esempi visibili di ciò che il Pnrr, e il connubio Italia-Europa, stanno significando per l’Italia? “Il Pnrr è ormai parte delle nostre vite, anche se magari non ce ne rendiamo direttamente conto, ha un impatto concreto e tangibile, e continuerà ad averlo per molto tempo. Parliamo della settima rata. Tra i 67 obiettivi della settima rata, oggetto fra l’altro dell’ultima cabina di regia Pnrr, sono presenti interventi per il rafforzamento della flotta di autobus e di treni a emissioni zero per il trasporto regionale, dei nodi metropolitani e dei principali collegamenti nazionali, la riqualificazione di molte stazioni ferroviarie, gli interventi per la cybersicurezza, la modernizzazione e l’implementazione delle infrastrutture di trasmissione dell’energia elettrica, gli investimenti per una migliore gestione delle risorse idriche, il conferimento di 55.000 borse di studio agli studenti meritevoli meno abbienti e di circa 7.000 borse di dottorato, l’attivazione di 480 centrali operative territoriali in materia di salute pubblica. Tra le riforme strategiche, di particolare rilevanza, la legge sulla Concorrenza, il completamento delle misure per velocizzare i pagamenti della Pubblica amministrazione, la revisione del servizio civile universale per agevolare la partecipazione dei giovani e il provvedimento sulle rinnovabili, approvato recentemente dal Consiglio dei ministri, con l’obiettivo di semplificare i procedimenti per la produzione di energia da fonti rinnovabili e in coerenza con gli obiettivi della nuova missione REPowerEu del Pnrr dell’Italia. La comunicazione del Pnrr è dunque un elemento determinante per rendere partecipi i cittadini di questi importanti risultati per il nostro paese”. 

 

In una recente relazione, il governatore di Bankitalia Fabio Panetta ha detto che l’improvvisa e sorprendente crescita del sud è dipesa in buona parte dalla capacità del tessuto produttivo di modernizzarsi, di fare i conti con il fatto che non sempre nel mondo delle imprese “piccolo è uguale a bello” e di costruire un futuro investendo su innovazione, tecnologia e produttività. Per crescere, al sud e non solo al sud, l’Italia non dovrebbe seguire sempre di più questo principio, iniziando a chiedere cosa può fare l’Italia per se stessa e fuggendo così dalla ricerca di capri espiatori? “Come già detto, un elemento centrale della strategia di governo è rappresentato dalla riforma delle Politiche di coesione. I 21 accordi per la coesione firmati con tutte le regioni e le province autonome sono una testimonianza dello straordinario impegno messo in campo per offrire nuove risorse utili allo sviluppo dei territori, specialmente per quelli rimasti indietro. Con gli accordi, il governo ha reso disponibili 30 miliardi di euro per progetti strategici per i territori, attivando oltre 45 miliardi di euro di investimenti se si considerano gli altri cofinanziamenti nazionali, dei comuni, delle regioni e dei privati. Questo lavoro si integra con quanto fatto con il Pnrr. L’Italia si sta concentrando sulle infrastrutture, particolarmente su quelle energetiche, sulla salute, sulle famiglie, sul diritto allo studio. Quanto alla crescita del sud, vorrei ricordare che è stato il governo Meloni che ha scelto di destinare almeno il 40 per cento dei fondi infrastrutturali alle regioni del Mezzogiorno. Il sud, in cui vive circa il 34-36 per cento della popolazione, è stato penalizzato infatti anche dallo spopolamento, fenomeno causato pure dalla carenza di opportunità e di infrastrutture. Per le regioni del sud è stato previsto l’esonero contributivo del 100 per cento per due anni per le imprese che assumono persone con meno di 35 anni di età che non abbiano mai avuto contratti a tempo indeterminato, e donne con più di 35 anni di età disoccupate da almeno due anni, a condizione che il contratto sia a tempo indeterminato. E’ stata rafforzata la misura ‘Resto al Sud’, con un contributo fino a 200 mila euro per chi avvia una nuova attività. Le riforme e gli investimenti Pnrr puntano a modernizzare il tessuto produttivo e i mercati dei beni e dei servizi, creando un sistema più competitivo dove le imprese possono crescere e proiettarsi sui mercati internazionali, da sud a nord anche grazie all’intuizione politica della Zes unica del Mezzogiorno. Tutto questo porta l’Italia su un percorso di crescita basato su investimenti e innovazione, superando di fatto il tradizionale modello di sviluppo incentrato sulla piccola impresa famigliare a vocazione territoriale. C’è ancora molto da fare, ma credo che si stia andando nella direzione giusta, senza scuse o capri espiatori”. 

 

E quali sono i principali tabù che le classi dirigenti politiche che governano il sud devono superare per poter dare maggiore slancio alle proprie regioni e al paese? “Non credo che si possa parlare di tabù, tanto più se consideriamo che questo slancio è già in atto. L’ultimo rapporto Svimez ci racconta che nel 2023 il prodotto interno lordo del sud è cresciuto di circa mezzo punto in più rispetto alla media nazionale. Un fenomeno che non accadeva dal 2015. I nuovi occupati sono cresciuti, nel Mezzogiorno, del 2,6 per cento a fronte di un tasso medio nazionale pari all’1,8 per cento. Ma il dato che fa più riflettere è quello relativo agli investimenti in opere pubbliche e in infrastrutture strategiche, che sono aumentati da 8,7 miliardi nel 2022 a 13 miliardi nel 2023. Un aumento di circa il 50 per cento. Come ricordavo poco fa, il governo ha previsto un pacchetto di interventi e di riforme per il sud e su questa base il presidente Meloni ha annunciato, in occasione della mia nomina a ministro, una ricognizione per rafforzare ulteriormente l’azione del governo in tal senso. Tuttavia, mi sembra evidente che gli sforzi per dare maggiore slancio al sud siano già in atto. Per quanto riguarda le deleghe conferitemi, sia le risorse del Pnrr che le risorse delle Politiche di coesione, così come il metodo di lavoro introdotto dal governo, contribuiranno certamente a questo obiettivo”. 

 

A livello generale, il percorso europeista del partito di cui anche lei fa parte, Fratelli d’Italia, percorso dimostrato anche dall’attenzione dedicata al Pnrr, sembra ormai segnato. Due giorni fa, Mario Anzil, il vicepresidente del Friuli Venezia Giulia, ha detto al nostro giornale che questo percorso deve andare avanti e ha sostenuto che dopo il voto a favore di Ursula von der Leyen “sia necessario avere un rapporto sempre più stretto con il Partito popolare europeo, perché con Giorgia Meloni possiamo spostarci verso il centro e occupare quelle posizioni. Perché adesso i voti arrivano, ma bisogna essere consapevoli che non possiamo restare fermi”. E’ d’accordo? “Fratelli d’Italia, anche nella recente campagna elettorale europea, ha sostenuto l’importanza di esportare il modello del centrodestra italiano in Europa. E’ evidente che questa aspirazione, confortata dal successo elettorale conseguito, implica in primo luogo la necessità di instaurare un fattivo rapporto di confronto con il Partito popolare europeo, in particolare rispetto a quei temi e a quei dossier sui quali la sensibilità è comune”. Claudio Cerasa

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.