l'Intervista
Meloni non si batte con ChatGPT. Parla Gentiloni
Dà la sveglia ai sonnambuli sull’Ucraina (e ai finti pacifisti del M5s). Chiede alla sinistra di essere più decisa su salari e sicurezza (niente scherzi sul Jobs Act). Denuncia le carenze di Meloni sull’innovazione. E poi il centro… Un dialogo con l’ex premier
I rischi del trumpismo, certo, il futuro dell’Europa, chiaro, la minaccia putiniana, ovvio, ma poi anche tutto il resto. Che sarà del Pd? Che sarà del centrosinistra? Che sarà del Movimento 5 stelle? Che sarà del centro? Che cosa sarà del governo? Che cosa promuovere di Meloni? Che cosa bocciare della maggioranza? Abbiamo passato un’ora con Paolo Gentiloni, settant’anni compiuti poco meno di un mese fa, ex commissario europeo, ex ministro degli Esteri, ex presidente del Consiglio, l’ultimo che ha portato a Palazzo Chigi i colori del Pd, e con lui abbiamo provato a ragionare sulle opportunità e i rischi di un nuovo mondo. Pessimismo, a volte. Ottimismo, ogni tanto. E molte battaglie trasversali che la politica, se solo riuscisse a vederle, potrebbe trasformare in oro.
Siamo a pochi giorni dall’inizio della stagione trumpiana. Le coordinate della politica sono destinate inevitabilmente a cambiare. C’è modo di essere ottimisti sul futuro dell’Europa, provando a concentrarsi più sulle opportunità che sui rischi?
“Mi dispiace dover deludere il vostro ottimismo proverbiale, ma siamo più o meno alla fine di un autunno terribile. Vedo l’inverarsi della profezia di dieci anni fa di Papa Francesco, la famosa guerra mondiale a pezzi, anche se poi molte delle guerre che abbiamo di fronte hanno punti di contatto e crisi in comune, e la Siria da questo punto di vista è uno scenario incredibile, da cui passano i fili di due conflitti simmetrici, quello in medio e vicino oriente e quello ai confini dell’Europa. C’è attorno a noi un panorama di instabilità enorme, incredibile, e questo quadro di instabilità è reso ancora più precario dalla presenza di alcuni grandi paesi che si trovano in condizioni di non stabilità. Penso alla Francia, penso alla Germania. A tutto questo, poi, occorre aggiungere che nei grandi consessi internazionali si fatica a prendere decisioni in grado di cambiare le nostre vite, penso per esempio ai risultati deludenti, fallimentari direi, dell’ultima Cop sul clima che si è svolta a Baku. E in questo quadro di estrema fragilità l’arrivo di Trump rende l’autunno ancora più freddo. Attenzione però. Quello che è in ballo, oggi, non riguarda solo un tema di carattere politico. E’ qualcosa di più. E’ una sfida storica al centro della quale vi è la competizione tra autocrazie e democrazie. Inutile girarci attorno: il punto è questo. Dopo di che, è ovvio, ci sono anche alcune incognite più immediate, più tangibili, che arrivano dalla vittoria di Trump, e l’incognita più immediata è quella che riguarda i dazi, tema non secondario per un paese come il nostro che vive anche di esportazioni. Ma assieme alle incognite abbiamo anche delle certezze. La prima è che vi sarà una sfiducia da parte dell’America verso l’ordine multilaterale. La seconda certezza è che in questa gigantesca sfida tra autocrazie e democrazie vi sarà un sostegno inferiore dell’America, semplicemente perché nell’impostazione che ha Trump la difesa dei valori occidentali non è così centrale. All’orizzonte poi, vi è un altro rischio, che metterei tra le certezze, e che è quello delle scorribande dei giganti tecnologici, che lasciati agire in un mondo con meno regole non penso possano aiutare la democrazia a essere più solida rispetto a come lo è oggi”.
C’è qualcosa di più autolesionista che essere trumpiani in Europa? C’è qualcosa di più autolesionista, in politica, che essere desiderosi che il trumpismo venga applicato in modo letterale, trasformando dunque l’Unione europea, e i suoi paesi membri, su molte partite, in una vittima economica, commerciale e militare dell’isolazionismo modello Trump?
“Nel caos in cui ci troviamo oggi, un’altra certezza c’è: in Europa è tempo delle scelte, per i paesi membri dell’Unione è tempo di scegliere come muoversi, restare immobili è pericoloso e non scegliere da che parte stare significa già aver fatto una scelta. E scegliere da che parte stare, oggi, scegliere cioè di stare dalla parte di chi vuole proteggersi dalle minacce esterne e non dalla parte di chi quelle minacce vuole renderle più concrete, più vicine, significa fare passi in avanti per avvicinarsi all’Europa, per provare a farla contare di più, per provare a farla essere più sovrana. Si può fare di più, si deve fare di più – continua Gentiloni – ma bisogna anche avere il coraggio di dire, e questo vale anche per i miei amici del centrosinistra, che dire che l’Europa è paralizzata, dire che l’Europa non è una potenza, dire che l’Europa non ha fatto passi in avanti in questi anni, dire che l’Europa è spacciata non è solo autolesionistico: è falso. Non è la storia degli ultimi anni e non sarà quella degli anni a venire. E se penso a cosa era l’Europa quando Trump ha finito il suo mandato, nel 2020, e cosa è l’Europa oggi, non ho dubbi: l’Europa, con tutti i suoi limiti, è diventata più grande”.
Ci sta dicendo che Trump può fare bene all’Europa, che può compattarla, che può rafforzare il sentimento e lo spirito di solidarietà, che può permettere alle istituzioni europee di ricevere dai paesi membri maggiori poteri per essere più sovrana?
"E’ chiaro che l’avvento di Trump è un appello all’Europa, un richiamo all’Europa. Ed è chiaro che l’indebolirsi della leadership americana crea un vuoto che l’Europa può, se riesce, se vuole, se ha l’ambizione per farlo, in parte riempire. Quindi secondo me invece di vedere soltanto l’Europa così divisa, così fragile, bisogna vedere un po’ i due aspetti della questione. Da una parte è vero che l’Europa non è mai stata così fragile, con governi così deboli, dall’altra però è anche vero che non ha mai avuto uno spazio geopolitico più grande di adesso. Perché è evidente che il ritirarsi almeno parziale degli Stati Uniti nei propri confini o lascia completamente via libera al gioco russo-cinese, anche se naturalmente è una forzatura individuare un asse perfetto tra quei due paesi, oppure apre uno spazio enorme per l’Europa. Quindi il punto è quello e lo dico ai molti sonnambuli che vedo in giro anche per l’Italia: c’è una domanda geopolitica globale enorme rivolta all’Europa, lo vogliamo capire o no?”.
Quali sono battaglie che questo governo dovrebbe fare per dimostrare di non essere un pericolo per l’Europa, nella stagione di Trump, cosa che finora onestamente non è stato?
“Io direi prima di tutto la consapevolezza – tutt’altro che presente – di voler fare questa scommessa e di voler essere protagonisti per gestire la partita europea in quella direzione, con al centro l’ambizione di diventare grandi. Vede, io direi che oggi i veri patrioti sono gli europeisti, e i nuovi disfattisti, se vogliamo usare una terminologia del secolo scorso, sono gli antieuropeisti. Perché alla fine il piccolo protezionismo e il piccolo nazionalismo saranno travolti dal mondo dei prossimi anni, e per il sovranismo del piccolo mondo antico, mi spiace, ma non c’è spazio, neanche per sbaglio”.
I veri nemici della sovranità nazionale sono i sovranisti perché non proteggono l’interesse nazionale?
“E’ così. Io sono un orgoglioso patriota italiano. Ma sei un vero patriota se sei europeista. Perché la dimensione per difendere il nostro spazio e la nostra identità non può che essere la dimensione europea. Ora, questo deve ovviamente essere contestualizzato, secondo me, partendo dalla consapevolezza dei ritardi, dell’inadeguatezza, dei limiti dell’Europa. Perché se uno fa finta di non vedere tutto questo si sbaglia. Ma negli ultimi anni, a mio avviso, è cambiato tutto. E l’invasione russa dell’Ucraina ha messo a nudo i limiti degli antieuropeisti e la forza dei veri patrioti. E’ in questi anni che, se ci pensate, si è concluso un percorso, che io definirei il percorso della grande illusione, durato molto a lungo. La grande illusione europea, i famosi tre pilastri del gas russo, del commercio con la Cina e della sicurezza americana, l’illusione maturata nell’ultimo decennio del secolo scorso, una specie di seconda Belle Époque. In quel decennio è maturata l’illusione che l’Europa potesse avere un modello definito, facile, eterno: energia a buon mercato, commercio con la Cina illimitato, sicurezza assicurata dagli americani. Tutto questo, anche grazie a eventi straordinari capitati in quel periodo, come la caduta del Muro, la riunificazione tedesca, la nascita dell’euro, è andato avanti fino a pochi giorni prima dell’invasione dell’Ucraina. C’è bisogno di dire che il progetto di Nord Stream 2, il famoso ulteriore gasdotto che si sarebbe dovuto realizzare per trasportare il gas proveniente dalla Russia in Europa occidentale, è stato annullato dai tedeschi solo due giorni prima dell’invasione dell’Ucraina? Per questo dico che la crisi ucraina è quella che ha concluso definitivamente questa illusione”.
Facciamo finta che il governo improvvisamente abbia chiara la portata di questa sfida. Quali dovrebbero essere le battaglie che il governo avrebbe il dovere di portare avanti per pesare di più e far pesare di più l’Europa rendendola meno vulnerabile alle minacce del trumpismo?
“La scommessa dovrebbe essere semplice anche se può apparire retorico: puntare su un’Europa come grande potenza geopolitica. Questo si traduce in tante cose, alcune sono più piccole, altre più grandi. Tra le più piccole, giusto per citare un tema che è abbastanza di attualità, c’è per esempio il fatto che l’Europa ha un’occasione importante di concludere un accordo commerciale con i paesi del Mercosur, con i paesi del Sudamerica, che porterebbe a creare un’area di quasi libero scambio di settecentocinquanta milioni di persone, e che sarebbe non solo un successo geopolitico enorme soprattutto nei confronti della Cina ma anche un’indicazione chiara sul futuro: ci si apre, non ci si chiude. E se l’Italia ha intenzione di far sua un’agenda diversa da quella dell’autolesionismo, dovrebbe evitare di pensarci due volte, su questo tema, e scommettere forte sull’apertura del mercato: siamo o non siamo una potenza esportatrice? Comportiamoci di conseguenza”.
L’Unione europea è favorevole, la Francia no, l’Italia nì. Servirebbe anche qui una svolta di pragmatismo: bisogna sperare che il governo ancora una volta sia incoerente rispetto al suo passato?
“Mi sembra un tema più spesso. Se si guarda al ruolo che l’Europa deve svolgere in termini di potenza, riuscire a ritagliarsi un ruolo fondamentale in un continente che ha radici culturali e linguistiche molto vicine all’Europa, evitando di dare maggiore spazio alla Cina anche in quel contesto, dovrebbe essere ovvio, scontato. Dopo di che se invece si sceglie di avere una visione protezionistica, e di conseguenza autolesionistica, e si sceglie di avere a cuore più le singole corporazioni che il famoso sistema paese, ne prenderemo atto. In ogni caso, se mi permette, questo è solo un tassello di un mosaico più grande. E il tassello ulteriore da mettere a fuoco quando si parla di Europa come potenza geopolitica riguarda ovviamente il tema della difesa. E badate bene: i dossier, per così dire, sono complementari. Ci si rafforza con il commercio, ci si protegge con la difesa. Ci si rafforza ampliando il mercato, ci si protegge investendo sull’industria della difesa. Dopo di che, suvvia, inutile girarci attorno: la vera prova di fuoco, per l’Europa, per tutti noi, è un’altra, ed è come si concluderà la guerra in Ucraina”.
Ci spieghi il bivio.
“Se la guerra si conclude male, avremo vent’anni almeno di minaccia alla stabilità dell’Europa, di vera minaccia alla nostra pace, e non capisco i molti sonnambuli che girano per l’Europa e che non capiscono questo punto. Perché il dato da considerare non è solo ciò che l’Ucraina rappresenta, cioè un paese sovrano, democratico, invaso, con violenza. Il dato da considerare – prosegue Gentiloni – è che i confini dell’Ucraina sono i confini delle nostre democrazie. E se finisce male in Ucraina, finisce male per tutti noi. E’ per questo che non mi stancherò mai di dire che l’Europa, dopo venticinque anni di chiacchiere sulla difesa europea, può fare un passo in avanti e quel passo in avanti è l’emissione di debito comune, di Eurobond per finanziare la difesa europea. Conosco le resistenze ma possiamo farlo, dobbiamo farlo. E farlo è importante non solo per spendere di più. Farlo significa spendere anche meglio: acquistare sistemi di difesa europei e in comune, cosa che purtroppo oggi non facciamo”.
Cosa vuol dire Gentiloni quando pensa all’opzione della guerra che potrebbe finire male?
“Lo scenario pericoloso a mio parere è uno scenario in cui l’invasore ha buoni argomenti per dire di aver avuto la meglio. Se la sostanza è una tregua purché sia, perché così finisce la guerra, e se la sostanza non è trovare un modo per dimostrare che chi ha invaso l’Ucraina è stato fermato e non può proseguire in queste azioni di aggressione, il rischio che episodi del genere si ripetano è notevole. Io ho pensato spesso in questi anni a come abbiamo reagito all’annessione della Crimea. Parliamo del 2014-2015, e onestamente, saranno gli storici a dirlo, può darsi che se noi grandi paesi europei – penso alla Germania, alla Francia, all’Italia – avessimo avuto una linea più risoluta nei confronti dell’annessione della Crimea, otto anni dopo un’invasione completa dell’Ucraina sarebbe stata meno probabile”.
L’Ucraina e la Siria non sono lì a dirci che i guai provocati dall’occidente si manifestano quando l’occidente arretra e non quando l’occidente avanza? Se l’occidente si immobilizza, negli scenari critici, si crea un vuoto. E se si crea un vuoto, qualcuno lo riempirà.
“Sì, non c’è dubbio. Se guardi la crisi siriana ti colpiscono mille cose, ma tra queste: uno, l’enorme ruolo di una media potenza come la Turchia; due, l’assenza completa degli Stati Uniti. Se guardi all’Ucraina, il fatto che il principale paese europeo fino a due giorni prima dell’invasione considerasse ancora attuale un progetto di collegamento con un gasdotto tra la Russia e il centro Europa attraverso il mare, il cui obiettivo era di scavalcare e tagliar fuori l’Ucraina medesima – lasciando poi perdere il fatto che una parte della classe dirigente tedesca era direttamente, personalmente coinvolta in questo progetto – questo ti dice tutto. Altro che sottovalutazione: è qualcosa di più. Ma anche in Italia negli anni in cui si preparava l’invasione dell’Ucraina troppe cose sono state ignorate. E lo stesso discorso si potrebbe fare ragionando sul tema del commercio con la Cina. Se sei troppo dipendente da uno stato di cui non puoi fidarti fino in fondo, qualcosa alla fine andrà storto, è inevitabile. Quindi, per tornare alla domanda, raccontare il contrario, cioè che i fatti ucraini nascono dall’espansionismo occidentale, è una barzelletta. Basta prendere sul serio quello che Putin ha sempre detto in questi anni e basta guardare la politica commerciale che pratica la Cina con la propria sovrapproduzione. Dopodiché, io non è che sono per un atteggiamento belligerante, ci mancherebbe, però a Bruxelles la consapevolezza sulla Cina è arrivata forse nel 2020/2021 e la consapevolezza sull’Ucraina è maturata nel corso degli ultimi anni. Molto tardi”.
Quanto è poco coraggioso un paese come l’Italia che, pur sostenendo l’Ucraina, ha deciso di non autorizzare ufficialmente Kyiv a usare in territorio russo le armi che inviamo per difendersi dall’esercito di Putin?
“E’ vero che noi ci siamo un po’ caratterizzati insieme all’Ungheria e alla Slovacchia per limitare questa possibilità. E’ anche vero che questo limite è ancora all’interno di un posizionamento positivo dell’Italia, cioè onestamente fin qui la posizione italiana – ripeto, con alcuni aspetti specifici come questo che io non condivido – in generale è stata molto buona, anche da parte del governo, e penso che abbia pure contribuito a far considerare l’esecutivo italiano e la presidenza del Consiglio del nostro paese come una componente di un occidente, di un’Europa occidentale, di un’Europa responsabile, e non ho problemi ad ammetterlo. Il problema è se questo orientamento reggerà alla prova dei prossimi mesi e delle scelte che potranno forse arrivare dall’amministrazione americana”.
Preoccupato che possa cambiare tutto anche in Italia?
“Non lo so. So che c’è una scelta da fare, che c’è un bivio nei prossimi mesi da considerare, perché ci saranno in Europa soggetti (a cominciare da Viktor Orbán) che si faranno portatori del verbo di Trump. E un paese come l’Italia deve scegliere. Nulla è scontato. Vedo che al Foglio vi piace l’idea che Meloni possa avere un ruolo da mediatrice, da tramite, anche con il mondo di Trump. Può darsi. Ma io, per esperienza, dico che è dura la vita dei tramiti in un contesto del genere. Perché se poi bisogna prendere delle posizioni e scegliere non c’è mediazione che tenga: o stai di qua o stai di là. E io penso che il governo italiano dovrà fare delle scelte, anche se nella coalizione di governo in Italia ci sono, come è ovvio e noto, posizioni diverse. Incrociamo le dita”.
La maggioranza di governo ha le sue criticità, non c’è dubbio, ma se ci fosse un’opposizione compatta nel sostenere, senza se e senza ma, la difesa dell’Ucraina, forse tutti questi problemi non ci sarebbero. D’altronde, ci si chiede: ma se il centrosinistra considera l’antifascismo l’elemento più importante della sua identità politica, come si può essere titubanti di fronte a quello che è oggi il più grande fascista che vi è in questo momento in giro per il mondo, e parlo ovviamente di Vladimir Putin?
“Personalmente non userei quel termine. E’ chiaro che è importante avere una posizione chiara sull’Ucraina come il Pd fin qui ha fatto. Per il resto, ovviamente, anche per il centrosinistra, come per tutti, si tratterà di fare delle scelte, e andranno fatte in un contesto che oggettivamente sta cambiando. Quando Bill Clinton vinse le elezioni negli anni Novanta, ci fu un’onda di ‘centrosinistra’ in Europa, in parte figlia di Clinton e in parte figlia di Blair. Ci dobbiamo aspettare che ci sia adesso un movimento contrario: il fatto che Trump abbia vinto per la seconda volta in modo così netto le elezioni americane difficilmente rimarrà senza conseguenze in Europa. Possono resistere le sinistre? Io penso di sì. Però possono resistere quelle sinistre che fanno delle scelte chiare, per esempio sull’Ucraina, e che si danno un profilo di governo ambizioso, un profilo capace di ispirare fiducia. Ma la partita da questo punto di vista è molto aperta: se ci guardiamo intorno nel mondo occidentale e anche in Europa quelli che stanno al governo perdono le elezioni. Ci sono state pochissime eccezioni. Diciamo che il centrosinistra ha buone possibilità per guardare alle prossime elezioni con ottimismo”.
L’Italia finora è stata un’eccezione però: da quando il centrodestra è al governo, il centrodestra ha vinto molto, a livello regionale soprattutto, e perso poco. Merito di una maggioranza forte o di un’opposizione molto debole?
“I conti si faranno più avanti, con le politiche. La statistica occidentale dice che è molto probabile che chi sta al governo perda le elezioni. E chi sta all’opposizione ha una chance di vincere. Vale anche per l’Italia”.
Davvero Gentiloni è convinto che l’opposizione italiana si stia organizzando nel modo migliore possibile e ordinato per arrivare a quell’appuntamento?
“Diciamo che la statistica aiuta”.
Statisticamente, in politica, la statistica non basta.
“La strada per avere un centrosinistra – io uso questo termine desueto ma che mi piace – con un profilo credibile rassicurante di governo resta molto lunga ma la strada non è impossibile e sono fiducioso”.
Cosa c’è che non va nel Pd di oggi?
“Penso che siano molte le cose che vanno bene nel Pd. Elly Schlein, per cominciare, ha sicuramente fatto molto per rianimare il Pd, la nostra comunità, e questo lo si è visto anche con alcuni risultati positivi ottenuti. Quello che manca non solo è la certezza di una coalizione, che è quello di cui si parla ampiamente tutti i giorni sui giornali, ed è sicuramente la metà del problema perché se si guarda qualsiasi sondaggio si vede che una potenziale coalizione che tenga insieme tutte le forze di opposizione è leggermente più forte della maggioranza già oggi, non tra due anni quando normalmente le forze di governo saranno ancora più deboli in termini di consenso, ma già oggi. Sappiamo però, ed è inutile nascondersi, che trasformare questo insieme di forze di opposizione in una coalizione non è banale. Bisognerà lavorarci, senza essere autolesionisti. Al di là di questo, che certamente è un problema, il punto politico vero è avere una credibilità che in gran parte è ancora da costruire. E non solo per le differenze tra le diverse forze e i partiti che stanno all’opposizione. E’ un tema che riguarda lo stesso Pd, che deve darsi un profilo più forte e più credibile in termini di alternativa di governo. E questo è un grande lavoro che si fa non tanto stilando un programma in senso compilativo perché altrimenti uno chiede a ChatGPT di farlo e il programma lo trova subito. Il punto è trovare un’identità, una visione, è essere alternativi mettendo in campo il coraggio che serve”.
Come si costruisce l’alternativa a una coalizione modello ChatGPT?
“Non ho ricette, bisogna mettersi d’accordo su alcune priorità e mettersi a discutere di alcuni nodi. Per esempio sui temi economico e sociali credo ci sia la necessità di mettere al centro una problematica che non sempre è centrale nelle opposizioni ed è quella che riguarda il livello degli stipendi e dei salari o il potere d’acquisto del ceto medio. E’ la priorità, assoluta”.
Non è una priorità, forse, perché per parlare di salari in modo non demagogico occorre parlare anche di temi non semplici da affrontare, come la contrattazione decentrata, come i deficit di produttività, tutti temi che se non ricordiamo male non sono esattamente patrimonio condiviso del sindacato, per dire.
“Nel centrosinistra si tende ad avere un’agenda molto vasta che comprende tutti temi sacrosanti, come la lotta al precariato, ma alla fine avere un’agenda troppo vasta non ti permette di inquadrare alcuni ritardi specifici. Ho parlato dei salari, ma ci sarebbe anche un altro tema troppo spesso sottovalutato che riguarda un altro grande ritardo del nostro paese: l’occupazione femminile. Noi da mesi, e ho visto che lo ha fatto anche l’Economist, celebriamo giustamente i dati positivi sull’occupazione, salvo il fatto che sono positivi in tutta Europa”.
Gentiloni consiglierebbe a Elly Schlein di ripensarci sul referendum sul Jobs Act?
“Per carità, io non devo dare consigli a Schlein, non ne ha bisogno. Dico solo che bisognerebbe occuparsi dei problemi che abbiamo e di non crearci problemi che non ci sono. Rimettere in discussione il Jobs Act mi sembra lunare. Il problema principale in questo momento, dal punto di vista sociale, è dettato dal fatto che, anche a causa dell’inflazione, il potere d’acquisto degli stipendi e dei salari del ceto medio non è cresciuto negli ultimi quindici anni. La responsabilità di questa battaglia è sulle spalle di tutti. Del governo, naturalmente, ma anche dell’opposizione: servono battaglie mirate, obiettivi concreti, conoscenza dei problemi strutturali del paese. E le dico anche un altro tema che dovrebbe e potrebbe rientrare in questa categoria, in una delle grandi priorità che un centrosinistra con ambizione di governo dovrebbe coltivare: la sicurezza”.
Il tema, come sa, non esiste nell’agenda del Pd.
“Non esageriamo. Certo, si fa fatica a entrare in questa ottica, nell’ottica di considerare la difesa della sicurezza come un tema non solo di destra. Ma il percorso è facile. Dobbiamo solo convincerci di un fatto che in fondo è molto banale e cioè che la domanda di sicurezza viene innanzitutto dal nostro elettorato o dal nostro elettorato potenziale, perché la privatizzazione della sicurezza, nel senso che i ricchi si fanno proteggere da questa o quell’agenzia e tutti gli altri che possono si comprano una pistola, che è il modello americano della sicurezza e che è un modello anche teorizzato da parti della destra in Italia, è completamente ostile alle classi popolari, alle persone anziane, alle persone sole. E quindi un partito di sinistra, una coalizione di centrosinistra dovrebbe avere questo come principale orizzonte e dirlo con chiarezza: i veri garanti della sicurezza siamo noi”.
Si parla di concretezza, bene, ma per restare sul tema, sul tema della concretezza, non è forse il momento di dare il giusto peso al Movimento 5 stelle e iniziare a trattare quel partito come se fosse non il faro da seguire per ottenere successo ma un partitino da considerare in modo non diverso da come Romano Prodi considerava l’Udeur ai tempi dell’Unione?
“Penso che questo tema sia giusto lasciarlo decidere alle leadership politiche che ci sono oggi, non è un compito mio dire che peso debba avere o non avere, anzi penso che l’atteggiamento unitario che sta avendo Schlein non sia un atteggiamento negativo: potrebbe essere anche alla fine un atteggiamento positivo, almeno come metodo. Il problema è che ovviamente ci sono alcune scelte discriminanti, quelle di cui abbiamo chiacchierato fin qui, e che è difficile pensare che possano essere unitarie, almeno per il momento. Non possiamo essere unitari se si pensa che sia l’occidente a dover chiedere scusa a Putin. Forse non lo pensa nessuno, ma se qualcuno lo pensa, certo è faticoso essere unitari: no? Con un atteggiamento di quel genere è difficile costruire. Quindi per me nessuno deve avere uno spazio minore, in una coalizione, però le coalizioni non possono essere ambigue sulle scelte di fondo e in particolare sulla politica internazionale. A volte non si può mediare, bisogna solo scegliere e anche non scegliere a suo modo è una scelta”.
Pensa che Ernesto Maria Ruffini, da poco dimessosi dall’Agenzia delle Entrate, possa essere, come si dice in questi casi, una risorsa utile, lui o magari anche il sindaco di Milano Beppe Sala, per costruire un soggetto di centro, una gamba da offrire al Pd per correre più velocemente alle prossime elezioni?
“Sono amico di entrambi. Ruffini l’ho anche nominato all’Agenzia delle Entrate nel 2017 affidandogli un compito non facile. Lui era stato responsabile di Equitalia e diventando nel 2017 responsabile dell’Agenzia delle Entrate aveva il compito di ristrutturare tutto il comparto e l’ha svolto egregiamente. Il primo governo Conte lo ha confermato. E posso parlare solo bene di Ernesto. C’è stima e amicizia e lo stesso posso dire di tutti gli altri soggetti che cercano di animare il centro, da Beppe Sala a Carlo Calenda a Matteo Renzi. Dopodiché che cosa si muoverà in quest’area dipende da loro. L’unica cosa che io posso dire, ma semplicemente per esperienze acquisite in precedenza, è che il contributo di quest’area è fondamentale. Non è facile pensare che si possa ripetere un’esperienza come quella che per alcuni anni facemmo e che si chiamava Margherita, ma resta fondamentale. Con un però: sbaglierebbe chi pensasse che il profilo riformista credibile di un’alleanza di centrosinistra possa essere affidato in outsourcing a una forza x e non coinvolgesse in modo fondamentale la forza principale: il primo garante del profilo rassicurante, credibile, riformista della coalizione che è il perno della medesima, cioè il Pd”.
Parlarne è ancora presto ma non possiamo non farlo. Rispetto alle prossime politiche, esiste o no il tema del federatore nel centrosinistra o semplicemente, come succede da anni nel centrodestra, il federatore sarà il leader che prenderà più voti alle politiche?
“Non ne ho più pallida idea, lo decideranno i leader politici nei prossimi anni. Non mi pare un tema per questi mesi. Anche se capisco l’interesse giornalistico”.
Gentiloni avrebbe scelto Giorgia Meloni come il leader più potente del 2024 in Europa, come ha fatto recentemente Politico?
“Sinceramente, io avrei scelto Ursula von der Leyen, ma capisco anche il loro ragionamento. Dicevo prima che non c’è mai stata una situazione in cui Francia e Germania hanno contemporaneamente un governo dimissionario e un governo che non ha una maggioranza in parlamento. Anche la Spagna non vive una fase semplice: Sánchez guida una maggioranza molto ma molto fragile. In questo momento le leadership più forti, in Europa, coincidono con il profilo di tre donne: von der Leyen alla Commissione europea. Christine Lagarde alla Bce, Giorgia Meloni in Italia. Ma chi ha più poteri per incidere e chi ha inciso di più nel 2024 per me è stata la prima”.
Su cos’è che Gentiloni promuove Meloni e su cosa invece la boccia?
“Parlo da libero cittadino che non ha incarichi di nessun tipo. Ma faccio parte del mondo del Pd e dell’opposizione, quindi certo non promuovo la presidenza del Consiglio e ci sono mille ragioni per bocciarla. Sicuramente è vero che in questi due anni nella politica internazionale e nella politica europea ha rassicurato le istituzioni e i partner internazionali che si aspettavano una posizione molto più eterodossa. E invece, per fortuna, ha sostanzialmente confermato le linee di fondo della politica europea e internazionale che l’Italia ha avuto negli ultimi ottant’anni. La cosa straordinaria del nostro paese è che pur avendo cambiato decine di governi ha sempre avuto la forza e il coraggio di mantenere le stesse linee di fondo. E non è poco. Se guardiamo in giro nel nostro continente, tra i paesi europei, dalla Francia, alla Polonia, alla Spagna, nessuno ha avuto una continuità sulle questioni internazionali come l’Italia, ed è veramente una medaglia per il nostro paese nonostante l’alternarsi di governi. C’era molta preoccupazione che un governo di destra e una Meloni comunque estranea alle famiglie politiche europee tradizionali rompesse questa tradizione e penso che la presidente del Consiglio abbia fatto bene a conservare la tradizionale politica estera italiana”.
E la cosa per la quale invece ha un giudizio maggiormente negativo qual è?
“Quasi tutto il resto!”.
Quando si dice che in Italia c’è una svolta autoritaria, Gentiloni è d’accordo?
“Sono d’accordo con chi dice che l’antifascismo è sacro, ma non mi sembra lo strumento principale di lotta al governo. Credo che la sinistra e l’opposizione facciano benissimo a combattere il governo, a denunciarne i limiti e fanno bene anche, quando lo fanno, a riconoscere le cose che invece vanno verso una giusta direzione. Il problema di un’opposizione matura non è di trattare il governo con i guanti bianchi, ma di essere credibile come alternativa, e la credibilità non viene dal fatto che usi buone maniere nei confronti del governo. La credibilità te la devi costruire nel paese con i diversi attori sociali, con le proposte che fai, con il profilo che ti dai, con una coalizione credibile. Se no, puoi usare tutte le buone maniere che vuoi, ma non funziona. D’altra parte la destra che oggi governa non ha mai usato buone maniere nei confronti dei governi precedenti incluso il mio: ha fatto quello che deve fare l’opposizione. Dobbiamo essere concreti, autorevoli, credibili, ambiziosi: ma teneri no, non serve, è sbagliato”.
Niente tenerezza, chiaro. Facciamo un primo test: si può essere teneri su come è stato gestito il Pnrr in questi anni?
“Qui si tratta di essere seri, non teneri. Ci sono due piani da analizzare. Il primo è quello del rispetto dei tempi e delle scadenze che vengono concordati e negoziati con la Commissione europea. Questo rispetto c’è stato, con dei limiti, ma sono limiti comparabili o addirittura minori di quelli di altri paesi. Poi c’è un’altra dimensione del problema: le scadenze e gli obiettivi della Commissione europea per definizione non misurano lo stato di avanzamento delle cose dal punto di vista degli investimenti e della spesa reale. Qui, in Italia, anche per rispettare le tempistiche concordate con Bruxelles, si è lavorato spostando un po’ in avanti rispetto agli ultimi due anni, 2025 e 2026, lo stato di avanzamento di diverse opere e interventi. E questo è stato fatto d’accordo con la Commissione, non è che sia una uno strappo italiano perché la Commissione è stata molto flessibile con tutti i paesi nel rimodularlo. Però poi i nodi vengono al pettine e ci ritroviamo adesso con il problema che negli ultimi due anni ci sarà un’immane concentrazione di investimenti, di opere e di riforme da completare”.
Ci sta dicendo che sarà impossibile farlo senza avere una deroga?
“Io penso che sia possibile. E penso che sia sbagliatissimo dare un segnale alle amministrazioni coinvolte dicendo: tranquilli, comunque vada ci sarà una proroga. Se poi la Commissione vorrà decidere una limitatissima flessibilità dei tempi, perché una flessibilità dal punto di vista giuridico è possibile solo in termini veramente limitati, stiamo parlando di mesi, lo stabilirà lei. Ma se io fossi nei panni del governo non alimenterei questa speranza, anzi. E qui penso che sia molto importante quello che succederà in queste settimane e nelle prossime settimane. Il presidente Sergio Mattarella ha usato l’espressione di De Gasperi per ragionare sul tema e ha detto: bisogna ‘mettere alla frusta’. E questo bisogna fare perché altrimenti noi rischiamo di trovarci con programmi non completati e se i programmi non sono completati che facciamo? Dobbiamo supplire con risorse nazionali? Oppure lasciamo opere incompiute? Insomma, è evidente: un problema ci può essere, è oggettivo. Infine, come ha ricordato di recente anche l’Ocse, è chiaro che la crescita in Italia, che è stata negli anni scorsi più alta della media europea, ultimamente invece si è di nuovo un po’ avvicinata alle parti più basse, e per questo penso che l’economia sia la prima battaglia su cui l’opposizione debba mostrare la sua non tenerezza”.
Che problema ha oggi la crescita italiana? Si tratta di problemi strutturali o di problemi legati all’azione o l’inazione di questo governo?
“Penso che una parte del problema sia questa: i numeri della nostra crescita erano in parte anche il frutto dei sussidi e del famoso Superbonus in una certa misura, ma questo penso che sia marginale e che non sia il cuore della risposta. Il tema principale è la difficoltà dell’industria: la produzione industriale in Italia va male da ventuno mesi, e non va molto meglio che in Germania. Quindi il quadro è questo: le due grandi manifatture europee soffrono in parallelo. E ogni paese avrebbe il dovere di pensare a soluzioni concrete”.
Per esempio?
“Bisogna innanzitutto mettere mano al rallentamento dell’industria. E come si fa? Io direi tre cose: innovazione, innovazione, innovazione. E non dare l’illusione al mondo delle imprese che le cose rallentano per i vincoli ambientali europei e che se noi riusciremo ad allentarli le cose riprenderanno. Non è così. E questa è una pia illusione. Secondo: l’impatto del Pnrr c’è stato. Non dimentichiamoci che abbiamo vissuto anni terribili senza turbolenze finanziarie: il paese con lo spread più alto d’Europa non ha problemi, al momento, di instabilità finanziaria e questo deriva in parte anche da questo enorme contributo europeo di risorse. Quindi l’impatto c’è stato eccome, perché l’impatto continui o addirittura cresca nei prossimi due anni bisogna che l’industria riprenda e che l’enorme lavoro in parte un po’ posticipato del Pnrr venga realizzato. Questo dovrebbe essere l’assillo fondamentale del nostro governo perché la prudenza nei conti pubblici, che va riconosciuta certamente al nostro ministro dell’Economia, non basta”.
In Italia si sta eccedendo con il diritto di sciopero o con il diritto a precettare gli scioperi? I numeri sono impressionanti: nel 2024, ci sono stati 48 scioperi, uno a settimana.
“Penso che ci sia molta propaganda su queste cose. Penso che il diritto di sciopero vada rispettato e che l’Italia sia un paese che ha delle norme che regolano lo sciopero piuttosto efficienti e delle commissioni di garanzia che sanno fare bene il loro lavoro. Lascerei a queste la regolazione del problema piuttosto che farne oggetto di prove di forza politiche. Detto questo se uno guarda il panorama europeo quando eravamo ragazzini nel secolo scorso l’Italia primeggiava in termini di quantità di scioperi, durata degli scioperi, impatto degli scioperi: non si può dire lo stesso adesso. Quindi è chiaro che ci vuole cautela nei servizi pubblici, però io non sono convinto dell’idea che qualcuno al governo possa farsi pubblicità perché interviene su una materia così delicata quando su una materia come questa ci sono già delle regole e degli organismi preposti a intervenire”.
Tra i tanti scioperi che vi sono in Italia, non se ne potrebbe aggiungere uno per chiedere al governo più coraggio su un tema tabù come la concorrenza?
“Penso che sarebbe fondamentale irrobustire e dare ruolo all’iniziativa sindacale per i contratti di categoria, per il recupero di potere d’acquisto. Sempre guardando comparativamente la situazione italiana, vedo che il lavoro dipendente ha perso potere d’acquisto in tutti i paesi negli ultimi tre anni, ovviamente dopo il picco di inflazione seguito dall’invasione russa dell’Ucraina. Però il recupero da noi è stato più lento perché ci sono ancora troppi contratti che non sono stati conclusi e penso che questo sia il tema centrale: la contrattazione delle categorie, la contrattazione articolata, questi vecchi arnesi della lotta sindacale, sono sempre più importanti. Penso che questo debba tornare a essere centrale anche nelle nostre dinamiche, perché lo spazio non manca. La concorrenza è un territorio che la Commissione europea presidia abbastanza bene, in Italia è sempre stato faticoso: io ho avuto una breve esperienza di guida del governo, mi vanto tra alcune cose di aver adempiuto all’obbligo, che ci sarebbe, di fare ogni anno una legge sulla concorrenza e di fare una legge sulla concorrenza che alimenti la concorrenza non il contrario. L’ora delle grandi scelte, per l’Italia, non è solo sui temi legati a ciò che l’Europa dovrebbe fare per noi. E’ legata anche a un tema non meno importante: cosa l’Italia potrebbe cominciare a fare per aiutare se stessa, senza capri espiatori”.