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il colloquio

"Prodi è il vero avversario. Meloni lo attacca per coprirsi al centro”. Parla Rotondi

Ruggiero Montenegro

Il democristiano di FdI: "Prodi è il vero leader del centrosinistra. Schlein e Landini sono deboli e transitori. La premier ha già chiaro che la prossima partita per lei non sarà facile. Con o senza Ruffini, qualcosa di centro sta nascendo nel campo avversario. FdI nel Ppe? In futuro non è escluso"

Roma. “Qualcosa di centro, nel campo avverso, sta nascendo. E Giorgia Meloni ha una marcia in più nel prevedere gli scenari”, dice al Foglio Gianfranco Rotondi. Ed è (anche) per questo, ci spiega, che dal palco di Atreju la premier è andata all’attacco di Romano Prodi. E' davvero lui l’uomo politicamente più temibile nel centrosinistra? “Se parliamo di un avversario capace di vincere, lo dice la storia: Prodi ci ha battuto due volte, e lo ha fatto contro un Berlusconi che era forte, giovane e in forma. Romano – ricorda Rotondi, uno degli ultimi eredi della Democrazia Cristiana e oggi in Parlamento con Fratelli d’Italia – è forte perché è il fondatore dell’Ulivo, l’ideatore di una sinistra basata su cattolici e comunisti, secondo l’antica suggestione dossettiana”. Una prospettiva che in molti hanno provato a replicare negli anni successivi, sempre con scarsi risultati. “Il centrosinistra ha avuto molti gestori, un solo leader: Prodi”, ribadisce l’ex ministro per l’Attuazione del programma con Berlusconi. 

Nel suo intervento la premier ha usato toni forti anche contro Elly Schlein e Maurizio Landini, che dovrebbero essere i due principali leader della sinistra attuale. Onorevole Rotondi, ma se Prodi è il vero avversario, i segretari di Pd e Cgil cosa rappresentano? “Sono solo gestori, appunto: deboli e transitori. Non espressivi di una idea di coalizione né di un pensiero di sistema, a differenza di Romano”. 

Le parole di Meloni, inoltre, sembrano arrivare con un tempismo non casuale, proprio mentre quel mondo cattolico e riformista, legato alla sinistra, sta provando con fatica a darsi un nuovo perimetro e una nuova guida, anche a costo di bruciare un nome al giorno. Era questo il reale obiettivo della presidente del Consiglio? “Giorgia – risponde Rotondi – è espertissima, ha già chiaro che la prossima partita per lei non sarà facile”. Che intende? “Contro la prima premier di destra si unirà l’impossibile, e il terreno decisivo di cimento sarà il voto del generone un tempo democristiano e poi diviso tra Berlusconi e Prodi. Con o senza Ernesto Maria Ruffini, qualcosa di centro sta nascendo nel campo avversario, e noi Dc del centrodestra ancora fatichiamo a trovare la sintesi per porgere agli elettori una proposta competitiva”. 

Eppure, lo ha sostenuto anche il dem Goffredo Bettini proprio ad Atreju, una parte del consenso che fu democristiano ha già premiato FdI. “La Dc si componeva di un voto moderato, anche di destra, con tratti conservatori. C’era anche una componente di sinistra, facilmente transitata nel Pd. Ma – continua Rotondi nel suo ragionamento – non c’è dubbio sul fatto che il voto prevalente della Dc nella seconda repubblica sia passato al centrodestra. Questo è avvenuto sia nella versione a guida berlusconiana che in quella meloniana di oggi”. 

Anche così probabilmente si spiega come FdI, con il passare del tempo, abbia un po’ ammorbidito le posizioni di un tempo su alcuni temi. Ci sono segnali in Europa e in Italia: è questa la strada verso il partito della nazione spesso evocato negli ambienti meloniani? “Io sono un fautore del partito della nazione. Tale doveva essere il Pdl, che invece fu smantellato dalla lite tra Berlusconi e Fini. Meloni – ne è convinto Rotondi – ha le potenzialità di costruirlo, ma esistono resistenze interne non sottovalutabili”. Quali? “FdI è un partito democratico, con dinamiche interne che Giorgia rispetta. La classe dirigente di FdI preferisce costruire un partito di destra, ‘esternalizzando’ l’offerta di centro. A ciò corrisponde la proposta di Maurizio Lupi. E anche i due partiti democristiani dell’alleanza, guidati da me e da Lorenzo Cesa, presto si adegueranno a questo schema”.

Con il voto favorevole a Ursula von der Leyen, Meloni ha compiuto un altro passo verso i Popolari europei. Qualche giorno fa anche il neo ministro Tommaso Foti (e non solo lui, per la verità) ha confermato che con il Ppe ci sono valori in comune e che conservatori e popolari potranno ritrovarsi su vari temi. E’ questo l’orizzonte di FdI? “Non è un tema nazionale”, preferisce non sbilanciarsi Rotondi. Ma, conclude l’ex ministro, “i conservatori europei provengono proprio dal Ppe. Non è escluso che una nuova sintesi si possa trovare”.

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