Il caso
Il senso di Matteo Salvini per la legalizzazione della prostituzione
Il vicepremier ha rilanciato sui social un vecchio cavallo di battaglia della destra italica, ma il leghista non è il conduttore di una trasmissione virtuale: per dare corpo al suo pensiero può ricorrere alla proposta di legge parlamentare oppure a quella di iniziativa governativa
Accade che durante una diretta su TikTok, ormai autentico e forse unico epicentro del policy-making, Matteo Salvini rispondendo alle domande di una platea di aficionados, simpatizzanti, antipatizzanti e troll si rilanci in un vecchio e storico, ma mai ovviamente realizzato, cavallo di battaglia della destra italica, la legalizzazione della prostituzione. Dato che la politica contemporanea nei fatti è la prosecuzione di un podcast con gli stessi, identici mezzi, le argomentazioni a sostegno sono, per quanto giuste, schematiche e adattate alla velocità e alla viralità del simposio digitale: igiene, sicurezza, introiezione delle tasse.
Tutto, lo ribadisco, giusto, tutto esatto. Ma Matteo Salvini non è Fedez. Non conduce una trasmissione virtuale per intrattenere. È senatore, leader di una formazione politica che esprime un gruppo parlamentare di maggioranza, Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e, last but not least, vicepremier; ha quindi due strade maestre per dare corpo al suo pensiero, la proposta di legge parlamentare, ed essendo senatore potrebbe dar seguito lui stesso, oppure quella di iniziativa governativa, sedendosi al tavolo con Giorgia Meloni e Antonio Tajani per ragionarci un po' su. Dovrebbe però tener presente, il senatore Ministro Vicepremier Salvini, che il nostro Parlamento ha, nei suoi polverosi cassetti, già custodito molti testi che oscillavano tra la proposta di pura e organica regolazione/legalizzazione e la più blanda depenalizzazione di alcune fattispecie specifiche di reato, come l’ormai sempre più surreale e grottesco ‘favoreggiamento’.
Troverebbe così proposte di legge di Alessandra Mussolini, di Teodoro Buontempo, di Franco Grillini, di Livia Turco e da ultimo, una delle più recenti risalendo al 2019, di Andrea Ruggieri, di cui personalmente gli suggerisco la lettura, coinvolgendo essa in maniera sussidiaria e proattiva i Comuni nella costruzione di un framework multilivello di legalizzazione. Certo, ne troverebbe anche di draconiane, devolute all’inasprimento delle pene, a un giro di vite ulteriormente repressivo. Destra e sinistra, estrema sinistra e estrema destra, centro, uniti e opposti, spesso al loro stesso interno, su un medesimo tema, da sempre considerato scabroso e disdicevole.
Insegnava un maestro del diritto, come Carlo Arturo Jemolo, che la famiglia è simile a una isola che il mare del diritto può solo lambire; riprendendolo e parafrasandolo, potremmo dire che la sfera sessuale legata a logiche di mercato, dalla prostituzione alla pornografia, rappresenta le Bermuda del diritto. Una terra oscura e coperta da coltre di nebbie, rifluita nel paradosso di un ordinamento giuridico indifferente che criminalizza le attività ancillari e collegate ma non l’attività-presupposto: e così, sin dai tempi della mai troppo biasimata legge Merlin, noi abbiamo un sistema, basato anche se non soprattutto sulla spada della legge penale, che vede figurare una attività, la prostituzione, né legale né illegale e altre attività, che alla prima sono connesse, che invece vengono criminalizzate. E se nessun dubbio può e deve sussistere in merito ai casi di utilizzo di violenza o di coercizione, tanto fisica quanto psicologica, puniti dalla fattispecie dello sfruttamento, viene da chiedersi quale senso abbia punire il favoreggiamento, ad esempio, che è nei fatti, come illustrava Walter Block nel suo fondamentale ‘Difendere l’indifendibile’, un inespresso contratto di agenzia che può intercorrere tra soggetti del tutto consapevoli e liberi al fine di aumentare la rete dei potenziali clienti.
Le contorsioni logico-argomentative di questa matassa sono ben rappresentate da una recente sentenza della Corte costituzionale, la n. 141/2019, proprio sul favoreggiamento: nella sentenza, pur commendevolmente dando essa atto di tutti i potenziali indirizzi ricostruttivi e anche quindi di un approccio volontaristico che vede nella prostituzione una attività potenzialmente libera e consapevole, la Corte poi giunge a ritenere che essa sia sempre lesiva della dignità. Una posizione inaccettabile perché contraddittoria, non per caso, con la sua stessa premessa e del pari profondamente paternalistica, perché sostituisce una inespressa volontà di Stato alla volontà del singolo soggetto che decida, per motivazioni sue, di prostituirsi.
L’ipocrisia dell’ordinamento e della politica è di quelle tipiche quando di mezzo ci sono il sesso e il denaro, ancor più oggi in questa grama epoca di moralismo di Stato e di demagogia anti-politica. Sosteneva una rigorosa intellettuale come Roberta Tatafiore, la quale a prostituzione e pornografia ha dedicato lucidissime e pionieristiche riflessioni, che tutte queste attività sono semplicemente tollerate: ma la tolleranza, la mera indifferenza, sono terreni scivolosi, perché al volgere e al mutare della sensibilità politico-morale di un dato tempo, ecco che il tallone d’acciaio potrebbe travolgere e schiacciare tutto e tutti. Non per caso abbiamo avuto una stagione di sindaci-sceriffi che tra il 2008 e il 2011, fino al provvidenziale intervento della Corte costituzionale, si erano messi in testa loro di debellare un fenomeno vecchio come il mondo e che né governi, né organizzazioni sovranazionali hanno mai potuto o voluto debellare.
D’altronde che il moralismo, autentica perversione che porta molti a nascondere i propri scheletri negli armadi altrui, non sia esattamente ottimale stella polare per legiferare ci è testimoniato dal fatto che Stato e politica si schiferanno pure di pornografia e prostituzione ma quando si tratta di incassare denaro tendono la mano eccome; è il caso della ‘tassa etica’, addizionale IRES al 25% introdotta sin dal lontano 2008 e che riguarda esattamente la realizzazione di materiali sessualmente espliciti. Per non parlare poi della questione codici ATECO; dal primo gennaio 2025 ne entra in vigore uno, 73.11.03, nuovo di zecca pensato appositamente per i content creator e gli influencer. E chissà mai chi se ne servirà, in questo nostro mondo trasformato in epitome di OnlyFans. Magari la prossima diretta Salvini potrebbe farla da lì.