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Candide di nome e di fatto

Stefano Candiani, il leghista battutaro che esportava la Lega al Sud

Marianna Rizzini

Sindaco per dieci anni, commissario in Umbria, sottosegretario all'Interno nel governo Conte I, il senatore leghista è stato a lungo l’uomo scelto da Salvini per esportare il modello salviniano nel meridione

Candiani, dunque. Stefano Candiani, senatore leghista, 53 anni, nativo di Busto Arsizio, ex sottosegretario all’Interno nel governo Conte I. Si parla di lui. Intanto perché è lui che, due giorni fa, ha buttato lì la frase da Candide (letteralmente, di nome e di fatto) che ha spopolato per una giornata sui siti dei quotidiani. Antefatto: i leghisti sono in massa assenti dall’Aula durante la relazione della premier Giorgia Meloni, martedì 17 dicembre. Perché? chiedono i cronisti a un Candiani che si aggira in Parlamento. “Perché non frega un cazzo a nessuno”, risponde lui. E se Candiani, all’indirizzo di Meloni, ha detto quel che ha detto, non è andata meglio al suo capo, Matteo Salvini, ché il senatore, alla domanda “perché i leghisti sono assenti?”, ha dato la colpa non soltanto alle ore piccole fatte dai colleghi sulla manovra la sera prima, ma anche ai ritardi dei treni che impediscono la discesa dal Nord in tempi utili. I treni: la materia di fuoco del leader della Lega e ministro dei Trasporti.

 

Ma anche il giorno dopo, cioè ieri, si parlava ancora di lui, Candiani, nel senso che ieri il senatore si faceva eroe dei piccoli mondi (leggi: comuni di frontiera) nonché del nuovo segretario della Lega Lombarda Massimiliano Romeo: “Grazie all’azione politica del centrodestra e della Lega, appoggiando il sub emendamento dei colleghi Pellicini e Mascaretti e del nostro parlamentare Stefano Candiani”, diceva Romeo, “diversi comuni di tutte le province lombarde di confine, con meno di 15 mila abitanti, che contano almeno il 3 per cento di frontalieri, potranno rientrare tra gli enti beneficiari; potranno ricevere una parte delle risorse generate dalle tasse dei lavoratori frontalieri”. Candiani gongola, almeno quanto, ai tempi in cui era sottosegretario all’Interno, prendeva in mano per conto dell’allora ministro Salvini le deleghe al soccorso pubblico e alla difesa civile e agli affari interni e territoriali, mentre il collega Nicola Molteni, l’altro sottosegretario all’Interno, assumeva quelle per la pubblica sicurezza, le libertà civili e l’immigrazione. Erano giorni in cui i due posavano con Salvini sorridenti, tenendo in mano una copia di Panorama con il leader allora in massima ascesa. Lui, Candiani, aveva la faccia di chi corona un sogno lungo già quasi trent’anni: si era infatti nel 2018, ma il sottosegretario aveva cominciato a fare politica con la Lega dalla fine degli anni Novanta, con Umberto Bossi arrembante nelle pianure del Nord.

 

Dopo dieci anni da sindaco (nel comune di Tradate, tra il 2002 e il 2012), il senatore entrava una prima volta in Parlamento nel 2013, per tornarci nel 2018 e nel 2022. Veterano del pendolarismo di cui ora evidenzia le fatiche (vedi i suddetti ritardi), già segretario della Lega Nord per la provincia di Varese, occhiali trasparenti e sorriso “orientale”, così lo descrive un parlamentare d’opposizione, per via dell’espressione sorniona, Candiani è stato anche, nel 2014, anno in cui Matteo Renzi diventava premier, primo firmatario di un emendamento al ddl Boschi sulla Riforma del Senato che attribuiva al nuovo Senato competenze paritarie con la Camera dei Deputati in materia di famiglia e libertà di cura, approvato a scrutinio segreto con una maggioranza di 154 sì su 147 no e 2 astenuti (e il parere contrario del governo). Già mister preferenze in Lombardia, con un remoto passato di imprenditore nel packaging per l’industria cosmetica, Candiani è stato a lungo l’uomo scelto da Salvini per esportare il modello salviniano in Umbria, dove il senatore è stato commissario per la Lega dal 2013, contribuendo al raggiungimento del 20,2 per cento di voti, e poi nel 2018 in Sicilia, quando la Lega puntava al sorpasso su Forza Italia in varie città dell’isola. Il resto è storia d’oggi, e di qualche frase colorita buttata lì dal senatore alla buvette, gongolando anzichenò.

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.