Il caso
Da "io so' Giorgia" all'aplomb internazionale: il doppio registro di Meloni, inseguita dalle rogne romane. Tensione col Colle
Toni accesi e da comizi in Italia, successi all'estero senza sbavature: la doppia faccia della premier, costretta in casa a parare i colpi dei suoi. L'ultimo è l'attacco della meloniana Lucaselli a Mattarella, costretta poi a una nota riparatrice
Piaciona all’estero e furibonda in Italia, come sostiene Pier Luigi Bersani? Oppure, come dice Francesco Lollobrigida, capodelegazione di Fratelli d’Italia, “è sempre se stessa, a seconda dei contesti, e comunque resta vincente”? Il doppio registro di Giorgia Meloni, fra Atreju e vertici internazionali, inizia a essere un elemento fosforescente. Spicca. C’è la leader che parla alla sua gente, alzando i decibel fino a perdere la voce cantandole agli avversari senza sconti e la capa di governo che si muove come un’anguilla fra i grandi della Terra. Ci sono le faccine, i versetti, le urla e i colpi di teatro in Aula, ma anche l’aplomb istituzionale-compassato da tecnocrate durante i vertici. I comunicatori di Via della Scrofa tagliano corta: “Avete visto l’ultimo sondaggio di Noto? Siamo stabili al 29,5 per cento”.
E’ scontato che in questo sdoppiamento che la fa essere concava e convessa a seconda della situazione, Meloni si trovi a suo agio. Un abito, inverno-estate, che indossa senza problemi. Senza snaturare la sua natura iper politica, quella che le fa dire, nei contesti privati, che le manca “il rapporto con la piazza” a scapito del Palazzo che come quasi tutti i suoi predecessori subisce per non dire che non ama. Insomma alla fine prevale la natura “io sono Giorgia”, tuttavia fa pensare come certe performance e una vita tra palco e guida rossa inizino anche a segnalarla: dopo il comizio di Atreju di domenica scorsa è rimasta afona, dopo lo show di ieri l’altro in Senato è arrivata a Bruxelles con la febbre, al punto di tornare all’hotel Amigo nel pomeriggio per riposarsi. Nel primo pomeriggio di ieri la premier dopo i due momenti di confronto più importanti – la riunione informale sul fenomeno migratorio e la prima sessione del Consiglio sull’Ucraina – ha poi accolto la proposta degli altri leader di concedersi qualche ora di riposo in albergo. Meloni ha delegato il primo ministro greco, Kyriakos Mitsotakis, in quanto membro del Med5, a rappresentare l’Italia nel prosieguo dei lavori. In generale è l’aria dell’estero, parafrasando Marx, a renderla più libera. E’ in questi contesti che sembra muoversi senza sbavature né polemiche. Al contrario del cortile di casa dove la polemica è servita, lo scontro fa parte del racconto, le propagande si scontrano perdendo il merito. Soprattutto non ci sono tutti questi fastidi continui come gocce cinesi che provengono per primi proprio dal suo partito: Fratelli d’Italia. I ministri della real casa che si fanno la guerra tra loro, i parlamentari a cui ogni tanto parte la frizione, il sottosegretario che la spara grossa. Un presepe di personaggi che Meloni deve tollerare in pubblico e di cui spesso si lamenta in privato. “Io lavoro tutto il giorno, ho rinunciato a tutto e gli altri che fanno?”. Anche perché, e qui si torna al doppio registro, non può permettersi di avere nemici a destra: quello spazio va presidiato da Fratelli d’Italia. Non ci sono Vannacci o Salvini che tengano. Nei palazzi che contano c’è chi dice che la vera opposizione a Meloni provenga dal suo partito. E la realtà, appena la premier scende dalla scaletta dell’aereo in Italia, torna a ricordarglielo. L’ansia del controllo e della perfezione la porta a occuparsi di tutto: dal consigliere comunale di Roma alle beghe di un presidente di Commissione farfallone. “Giorgia che dice?”. “Questo lo dico a Giorgia”. C’è poi nella dinamica italiana così diversa da quella estera la componente non banale del Quirinale. I rapporti con il presidente Sergio Mattarella sono cordiali, anche se il capo dello stato esercita il suo ruolo senza sconti. E da qui forse nasce l’affermazione di ieri di Ylenja Lucaselli, parlamentare del giro stretto di FdI nonché relatrice della manovra, che ieri senza pensarci troppo su in tv, a Tagadà su La7, ha detto che “Sergio Mattarella utilizza comunque molto spesso il riferimento alla Costituzione per esprimere la propria posizione rispetto ai provvedimenti del governo, atteso che non esiste una sinistra, un’opposizione capace”. E che a volte il capo dello stato “va un po’ oltre il suo potere”. Un pensiero che dalle parti di Palazzo Chigi coltivano sottovoce, facendo buon viso a cattivo gioco, come è normale che sia. Alla fine Lucaselli ieri sera è stata strigliata da Palazzo Chigi e costretta a una nota riparatrice. Chissà cosa avrà pensato Meloni di questo scivolone così evitabile.
La premier è attesa oggi da un vertice in Finlandia – influenza permettendo – ma soprattutto dalla sentenza di Matteo Salvini, difeso da Elon Musk, nel processo Open Arms. Per il leader della Lega la condanna sarebbe politicamente un motivo di rilancio nella battaglia politica. Per Meloni una grana da gestire soprattutto se Salvini dovesse essere condannato per sequestro di persona, più che per rifiuto d’atti d’ufficio. Il Quirinale aspetta in silenzio. Meloni sa che anche questa rogna l’attende, sotto il cartello “benvenuta in Italia”.