Risorse per riqualificare le case popolari, il Piano Fanfani 2.0 voluto da Fitto

Luciano Capone

Con un emendamento in extremis, il governo inserisce in legge di Bilancio circa 1,4 miliardi del RepowerEu per l'efficientamento energetico dell'edilizia residenziale pubblica. L'idea è dell'attuale commissario Ue, la logica è l'opposto del Superbonus

In Italia non si fanno investimenti nazionali sulle case popolari da qualche decennio, più o meno da quando a inizio anni Novanta, con la crisi politica e finanziaria della Prima Repubblica, venne chiusa la Gescal, il fondo per la costruzione delle case per i lavoratori istituito nel Dopoguerra con il Piano Fanfani. Ma qualcosa cambia con questa legge di Bilancio. O meglio, con un emendamento inserito all’ultimo minuto, che rappresenta l’eredità del lavoro sul Pnrr dell’ex ministro e attuale vicepresidente della Commissione europea Raffaele Fitto.

È l’art. 79-bis: “Disposizioni in materia di efficientamento dell’edilizia residenziale pubblica”. L’emendamento stanzia circa 1,4 miliardi (1.381 milioni di euro) per riqualificare gli alloggi sociali e pubblici e delle famiglie a basso reddito, con un miglioramento dell’efficienza energetica di almeno il 30 per cento. Il finanziamento deriva dalla revisione del Pnrr a cui Fitto aveva lavorato da ministro e, più precisamente, dai fondi del capitolo RepowerEu dedicato all’efficientamento energetico del patrimonio pubblico. Nello specifico, si tratta dell’Investimento 17 “Strumento finanziario per l’efficientamento dell’edilizia residenziale pubblica (Erp)” della Missione 7.

La norma rimanda all’adozione di un decreto ministeriale, che dovrà indicare le regole per l’attuazione della misura, definendo le tipologie di investimenti ammissibili, i criteri dei progetti e le procedure di erogazione e controllo. Nell’attuazione saranno coinvolti il Gestore dei servizi energetici (Gse) con il compito di effettuare i controlli per verificare i requisiti tecnici dei progetti; Cassa depositi e prestiti (Cdp) che attraverso le banche convenzionate dovrà valutare il merito creditizio; e Sace che offrirà garanzie finanziarie. Bisognerà conoscere nel dettaglio i contenuti del decreto attuativo, ma è già stato abbozzato uno schema.

La tipologia di lavori ammissibili dovrebbe essere la stessa del Superbonus, ma la logica economica sarà molto diversa. Lo schema prevede un finanziamento pubblico a fondo perduto di circa il 65 per cento, mentre per il restatnte 35 per cento di soldi privati verranno coinvolte le Esco (le società che finanziano gli interventi di efficientamento energetico): il risparmio energetico verrà incamerato in parte dagli inquilini e in parte andrà a ripagare l’investimento delle Esco (che dovrebbero avere anche la garanzia di Sace). Lo stanziamento pubblico pari a 1,4 miliardi, che copre i due terzi della spesa, mobiliterà un terzo di risorse private per un totale di circa 2 miliardi di euro. Per l’affidamento dei lavori, naturalmente, ci saranno delle gare pubbliche per contenere i costi dei singoli interventi.

L’approvazione della misura non è stata semplice, perché dopo l’esperienza disastrosa del Superbonus la scelta istintiva e comprensibile era quella di dire basta ai soldi per l’edilizia residenziale. Ma, a ben guardare, questo tipo di intervento è l’esatto opposto della logica del Superbonus. I beneficiari sono i nuclei familiari più poveri (e non i proprietari indistinti, anche di seconde case), il finanziamento è inferiore al 110 per cento, la compartecipazione dei privati e le gare sono un elemento di contenimento dei costi e di efficienza economica. Anche il target energetico è ben individuato, visto che circa il 60 per cento delle case popolari è stato costruito prima del 1978, e quindi con una bassa classe energetica (F-G).

Ma è anche una misura sociale, perché migliora la qualità delle abitazioni dei nuclei più poveri, oltre che il loro reddito disponibile. Il costo, poi, è tutto sommato contenuto: 1,4 miliardi sono pari a circa una settimana di Superbonus nei suoi mesi di gloriosa spesa sfrenata. La logica, insomma, è più simile al Piano Fanfani che al Piano Conte. L’edilizia sociale, come già raccontato dal Foglio, è stata particolarmente penalizzata dal Superbonus: solo il 2 per cento dei 160 miliardi spesi è andato alle case popolari. Sarebbe bastato dedicare una decina di miliardi per rimettere a nuovo tutto il patrimonio di Erp, magari ristrutturando anche i 60 mila alloggi sfitti perché inagibili.

Ora ci sono a disposizione 1,4 miliardi che, secondo i calcoli di Federcasa – la federazione che rappresenta 84 enti e circa 770 mila alloggi popolari –, consentiranno di fare circa 100 progetti da 20 milioni di euro. “Bisogna sollecitare e coinvolgere gli enti anche nei piccoli comuni formando lotti ampi, altrimenti gli interventi si concentreranno sullo sulle grandi città – dice al Foglio il presidente di Federcasa, Marco Buttieri –. È un’occasione importante per tornare a investire, dopo decenni, sull’edilizia popolare e contro la povertà energetica. Ma è anche una sfida: adesso tocca a noi spendere bene le risorse a favore delle famiglie più bisognose”.

 

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali