L'editoriale del direttore
Difendere la libertà anche dai finti amici della pace. Per chi suona la campanella nel gran discorso di fine anno del capo dello stato
Per capire l'estremismo da combattere non bisogna guardare al passato, con pigrizia, ma bisogna guardare con forza al presente, tenendo gli occhi aperti e mettendo da parte l'agenda delle fregnacce
Contro i finti amici della pace, contro i finti nemici della democrazia, contro i finti amici dello stato di diritto. Ci sono i paletti, ci sono le allusioni, ci sono i messaggi in codice, ma c’è soprattutto una parola che ritorna con insistenza nel formidabile discorso di fine anno del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, e quella parola riguarda un tema che è stato centrale nell’anno appena trascorso e che continuerà a essere centrale nell’anno che arriverà: libertà. Mattarella ha toccato molti aspetti, ha parlato anche della nostra Cecilia Sala, con il tono di chi sembra sapere che la situazione potrebbe sbloccarsi presto, e il suo discorso ha avuto il merito di mettere a nudo alcune verità necessarie da considerare per capire cosa vuol dire oggi essere, senza fronzoli, a difesa della libertà.
Non è stato il discorso del “ma anche”, del tutto e il contrario di tutto, dell’ecumenismo buono per tutti e per ogni stagione. E’ stato, invece, il discorso dei doveri, oltre che dei diritti, e in modo astuto e deciso il capo dello stato ha scelto di mettere al centro della sua agenda una serie di questioni cruciali, non scontate, con le quali ha provato a fissare sul terreno di gioco alcuni paletti da non superare per provare a tenere lontano dal nostro paese alcuni estremismi che fanno spesso capolino trasversalmente all’interno della nostra cultura politica. In questo senso, la campanella del capo dello stato suona per tutti, non suona solo per una parte, non suona solo per il governo, non suona solo per l’opposizione, ma suona per tutti coloro che si trovano a disagio di fronte ai temi che il capo dello stato, martedì sera, ha scelto di mettere al centro dell’agenda pubblica del nostro paese. Si parla e si è parlato di libertà, dunque, ma si è parlato anche e soprattutto di difesa della democrazia, di giustizia, di stato di diritto e anche di pace, ed è forse su quest’ultimo punto che il capo dello stato ha deluso coloro che si aspettavano, dal Quirinale, qualche concessione alla possibile stagione dei negoziati. Mattarella lo ha detto in modo chiaro e inequivocabile e le sue parole suonano ancora con più forza se pesate con quelle di segno opposto che arrivano da Donald Trump, ma anche da Papa Francesco, e anche da tutti coloro che vedono nel proseguire della guerra in Ucraina una testardaggine, una cocciutaggine e un capriccio incomprensibile del presidente ucraino Volodymyr Zelensky. Non si può parlare della guerra in Ucraina, ha detto Mattarella, da uomo di stato, ma anche da uomo che proviene da una cultura cattolica e progressista, senza ricordare chi è l’aggredito e l’aggressore. Non si può parlare di pace senza parlare del diritto di un popolo a difendere la sua libertà e la sua dignità, perché pace non vuol dire “sottomettersi alla prepotenza di chi aggredisce altri paesi con le armi”. Non si può parlare di pace, ancora, senza ricordare che la pace deve essere giusta, anche per evitare che un domani “vengano aggrediti altri paesi europei”. E ancora, non si può parlare di corsa agli armamenti senza ricordare che, di fronte alle minacce esterne, le democrazie devono difendersi, e questo vale anche per l’Italia. Mattarella ha dedicato qualche passaggio del suo discorso anche ad altri scenari di guerra, come quello in Medio Oriente, e il capo dello stato ha detto, giustamente, che non si può parlare dei morti di Gaza senza parlare degli ostaggi di Hamas. Ma i populismi da combattere, il capo dello stato, non li ha individuati solo parlando di pace e di guerra. Li ha mostrati e denunciati anche in altri campi.
Non si può parlare di problemi legati ai salari, veri, e problemi legati alla disoccupazione giovanile, veri, senza ricordare che l’Italia ha un’occupazione da record, che l’Italia registra da mesi tassi positivi sull’export e che l’Italia è un paese che “esercita una forza di attrazione che va al di là delle sue bellezze naturali”, e non si può dunque ragionare sull’Italia del futuro senza combattere una forma di populismo subdolo, pericoloso, che è quello dei catastrofisti, dei pessimisti, dei professionisti dell’allarmismo, che non si limitano a denunciare i singoli problemi, che ovviamente ci sono, ma cercano di descrivere l’Italia per quello che non è, ovvero un paese da incubo. E ancora, passaggio successivo, cruciale, non si può parlare di giustizia in Italia senza ricordarsi che il termometro per misurare il buon funzionamento dello stato di diritto, oggi, sono le carceri, perché “rispetto e dignità per la persona, dei suoi diritti vale anche per chi si trova in carcere” (peccato, unica nota forse stonata dell’intervento di martedì sera, non aver dedicato neppure un secondo a un’altra emergenza italiana, che è quella che riguarda la giustizia ingiusta, le detenzioni ingiuste e il giustizialismo forsennato che, attraverso l’abuso della detenzione preventiva, contribuisce a rendere più affollate del dovuto le celle italiane). I populismi da combattere, come è evidente, sono trasversali, attraversano tutti gli schieramenti e tutti i partiti, e al di là dei discorsi gustosi fatti da Mattarella su cosa vuol dire essere dei vari difensori della patria oggi, filo conduttore interessante utilizzato dal capo dello stato già in altre occasioni in questi mesi, filo conduttore con cui il presidente della Repubblica, negli ultimi tempi, ha ripetutamente trollato i sovranisti italiani, piuttosto distratti quando a minare l’interesse nazionale sono alcuni amici nazionalisti, come la Musk Associati e i Trumpiani.
Ma il senso di quel che dovrà essere il prossimo anno, a proposito di difesa della libertà, lo si trova nella parte finale del messaggio del capo dello stato, quando Mattarella spiega che non ci si può preparare a un anniversario importante, come quello della liberazione, che quest’anno tocca quota ottant’anni, senza ricordare tutto quello che significa tutelare i valori non negoziabili di quella Liberazione: libertà, democrazia, dedizione all’Italia, dignità di ciascuno, lavoro, giustizia. E dunque, messaggio sottointeso: per essere dei veri antifascisti oggi bisogna, per capire qual è l’estremismo da combattere, non guardare al passato con pigrizia, ma guardare con forza al presente, tenendo gli occhi aperti su quelli che sono gli estremisti di oggi, più pericolosi forse di qualche rievocazione del passato, e mettendo da parte l’agenda delle fregnacce. Buon anno, slava Ukraini, e auguri da tutto il Foglio, con l’augurio che dietro a quel tono sobrio utilizzato da Sergio Mattarella sulla nostra Cecilia Sala, l’Iran non è stato neppure nominato, vi sia la consapevolezza che tutto possa risolversi al più presto e che Cecilia possa tornare presto a casa.
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