Perché il ministro del Lavoro Calderone non pubblica i dati sull'Assegno di inclusione?

Luciano Capone

Il Rdc era da riformare, ma il governo ha abolito anche la trasparenza. Prima l'Inps pubblicava un report mensile, ora i dati sull'Adi e il Sfl sono fermi a giugno: il ministro del Lavoro non vuole che vengano pubblicati 

Il Reddito di cittadinanza (Rdc), come argomentato a lungo sul Foglio, aveva tanti difetti e necessitava una riforma che il governo Draghi non è riuscito a fare (per opposizione del M5s e opportunismo del Pd). Ma aveva un aspetto positivo: ogni mese l’Inps, attraverso il suo Osservatorio sul Rdc, pubblicava i dati sul numero dei beneficiari (nuclei familiari e persone), la loro distribuzione territoriale, la loro cittadinanza, l’entità dell’importo medio, etc.

La riforma voluta dal governo Meloni, che dal 1° gennaio 2024 ha sostituito il Rdc con l’Assegno di inclusione (Adi) per i “non occupabili” e il Supporto per la formazione e il lavoro (Sfl) per gli “occupabili”, ha eliminato anche questo importante elemento del Rdc: la trasparenza. La ministra del Lavoro Marina Calderone non vuole diffondere i numeri dell’Adi e del Sfl. Gli ultimi dati pubblici, diffusi dal governo attraverso l’Inps, risalgono a giugno e sono quelli del report semestrale che indicava 697 mila nuclei familiari percettori di Adi (per quasi 1,7 milioni di persone coinvolte) e 96 mila individui beneficiari di Sfl. Da allora, ormai si è chiuso anche il secondo semestre del 2024, non è stato possibile sapere più nulla e non se ne capisce bene la ragione.

L’ipotesi che non ci sia la disponibilità dei dati è certamente da escludere. L’Adi si basa su dati amministrativi, che le istituzioni competenti come l’Inps gestiscono quotidianamente, e che possono quindi pubblicare quasi in tempo reale, certamente su base mensile, a limite con un ritardo temporale di un mese (a febbraio quelli di gennaio, a marzo quelli di febbraio, etc.). D’altronde era esattamente ciò che accadeva con il Rdc, che aveva criteri d’accesso diversi, ma i cui dati venivano raccolti sulla base della medesima procedura amministrativa.

La controprova che questi dati esistono (se mani ne servisse una) è data dalla legge di Bilancio. Il governo, con un emendamento alla manovra, ha modificato i criteri di accesso all’Adi e al Sfl alzando il tetto Isee da 9.360 euro (la soglia indicata nel 2019 per il Rdc) a 10.140 euro, e aumentando l’importo massimo per l’Adi da 6.000 a 6.500 euro all’anno (da moltiplicare per la scala di equivalenza) e per il Sfl da 350 a 500 euro al mese. Queste modifiche hanno ampliato la platea dei beneficiari di circa 100 mila nuclei familiari per un costo di circa 600 milioni, derivanti dai risparmi del fondo già stanziato per le misure.

Per stimare i costi di questa riforma, è evidente che il ministero e la Rgs hanno dovuto fare delle valutazioni sui dati più recenti di adesione e non su quelli di giugno. Nella relazione tecnica del provvedimento, infatti, c’è scritto che le adesioni per l’Adi previste nella norma originaria dovevano essere nel 2025 pari a circa 760 mila mentre nella revisione “sulla base delle evidenze empiriche” saranno 660 mila. Pertanto, con la modifica, saliranno a circa 750 mila. Per il Sfl si prevedevano nel 2025 284 mila adesioni, ne sono 85 mila e con le modifiche saliranno a 110 mila.

Il paradosso è quindi che sappiamo quanti saranno i percettori di Adi nel 2025, ma non sappiamo quanti ne sono ora. E non lo sappiamo perché il governo non vuole che si sappia. È infatti difficile ipotizzare che sia una scelta dell’Inps, dato che il nuovo presidente Gabriele Fava ha parlato spesso dell’importanza della trasparenza e, in effetti, il rapporto annuale dell’Inps pubblicato a settembre è ricco di dati e analisi, inclusa una sui primi mesi dell’Adi.

È chiaro che l’indicazione di non pubblicare i dati arriva dal ministero del Lavoro, che probabilmente ritiene sconveniente che l’opinione pubblica e i partiti siano informati sull’andamento dell’Adi, probabilmente per il numero di adesioni inferiore alle previsioni iniziali. Un problema chiaro e noto per il Sfl, ma che evidentemente riguarda anche l’Adi. Questo, in realtà, potrebbe derivare da diversi fattori: il miglioramento del mercato del lavoro, l’instabilità del primo anno della nuova policy o l’inflazione che ha spinto oltre soglia molte famiglie. Le interpretazioni possono essere varie, ma per poter fare un’analisi è necessario che vengano resi pubblici i dati. E non c’è alcuna ragione per tenerli nascosti se non quella di voler silenziare il dibattito pubblico e politico. Se è questa la ragione del ministro Calderone è una pessima ragione.
 

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali