Compie tre anni la relazione speciale tra Meloni e von der Leyen
L’intesa tra la premier italiana e la presidente della Commissione Ue, tra alleanza e tempesta politica, distanze e interessi comuni. Storia di un patto che pareva impossibile
Bruxelles. Meloni – Von der Leyen: una special relationship ai vertici dell’Europa, un’amicizia politica vissuta a fasi alterne ma con incontri continui, e resa via via sempre più salda da interessi comuni e crisi altrui. Mentre l’instabilità politica spazza via presidenti e cancellieri, la strana coppia tra l’underdog della Garbatella e la nobile anseatica si trasforma da patto politico a una quasi amicizia, tenuta insieme da un potente collante: la convenienza politica.
Tutto inizia nel novembre 2022: a poco più di un mese dal trionfo elettorale, Meloni sbarca a Bruxelles per il suo primo viaggio istituzionale. Ad attenderla nella capitale europea, oltre a un acquazzone, c’è lei, Ursula von der Leyen, pronta a un primo e simbolico incontro. La prima chiacchierata tra le due leader dura meno di venti minuti. Seduto tra le due, in una posizione che si rivelerà profetica, c’è Raffaele Fitto. In quel momento, per la bolla brussellese, Meloni è il simbolo della destra euroscettica; per Parigi, è ancora la strana donna delle invettive TV contro il signoraggio del Franco Cfa; per i socialisti europei è un’ “estremista di destra” e una “post-fascista”. Ma per Ursula von der Leyen, Giorgia Meloni è la nuova premier italiana, e chi conosce il modus operandi della presidente della Commissione sa che la sua strategia non prevede mai uno scontro diretto con i leader degli stati membri, specialmente con i grandi paesi come l’Italia. Al termine dell’incontro, il tweet di von der Leyen imposta il tono per gli anni a venire: “Grazie, Giorgia Meloni, per il forte segnale inviato con la tua visita alle istituzioni europee nel tuo primo viaggio all’estero”. Meloni diviene, in quel momento, una leader europeista.
Se Meloni fosse già europeista allora, se lo sia diventata in seguito o se lo sia mai stata del tutto, resta difficile da stabilire, ma quel che è evidente è che in quella prima stretta di mano si definisce un rapporto di convenienza e reciproco riconoscimento: von der Leyen, isolata al nono piano di Palazzo Berlaymont, sa di aver bisogno del sostegno di tutte le capitali, Roma inclusa; mentre Meloni capisce subito l’importanza del sostegno dell’Europa per garantire stabilità al suo governo.
Passano poche settimane e von der Leyen è già a Roma per un evento dedicato alla memoria del defunto presidente dell’Eurocamera, David Sassoli. Il viaggio non prevede altri incontri, ma il protocollo della Commissione inserisce, su esplicita richiesta della presidente, un nuovo incontro con Giorgia Meloni. Durante la riunione, le due affrontano due temi chiave: il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr) e la guerra in Ucraina, entrambi destinati a dominare il successivo Consiglio Europeo di febbraio.
A forgiare la relazione tra le due “bionde di ferro” (nomignolo che, si racconta a Berlaymont, è stato così sgradito a von der Leyen da portarla quasi a scrivere al direttore del quotidiano che lo coniò, e poi rapidamente fatto sparire) è però la migrazione. Le tragiche immagini del naufragio di Cutro, nel febbraio 2023, evidenziano infatti le difficoltà di Meloni nel mantenere le sue promesse elettorali e accendono i riflettori sulle colpe delle autorità italiane e sul sostegno del tutto aleatorio dell’Europa nel far fronte alla crisi nel Mediterraneo.
Sia Meloni che von der Leyen hanno bisogno di imprimere una svolta sul dossier migrazione per i loro elettorati e per i loro referenti politici. In questo contesto si colloca il viaggio congiunto di Meloni, von der Leyen e l’allora premier olandese Mark Rutte a Tunisi, nel giugno 2023. “Siamo venuti qui come Squadra Europa,” dichiara von der Leyen durante la conferenza stampa con il presidente tunisino Kais Saied, prima di elencare le priorità del memorandum Ue-Tunisia: un accordo da 150 milioni di euro distribuiti su diversi programmi, ma dal chiaro obiettivo politico di dimostrare che l’Europa sta prendendo provvedimenti concreti per contrastare le partenze irregolari. Sul memorandum si alza però presto un polverone a causa delle sistematiche violazioni dei diritti umani dei migranti da parte delle autorità tunisine. Polemiche che espongono l’accordo al fuoco politico sia a Roma che a Bruxelles, col risultato di avvicinare le due leader e accentuare la sensazione che il successo dell’una sia legato a quello dell’altra.
Se finora la relazione tra le due leader si è poggiata principalmente sulla convenienza politica, è la visita congiunta a Lampedusa del settembre 2023 che, raccontano al Foglio fonti vicine alla presidente della Commissione Ue, segna un cambio di passo nei rapporti personali tra le due. “Ad accompagnare la presidente c’erano pochissime persone, forse tre o quattro, e anche con Meloni il seguito era ridotto. A Lampedusa le due hanno avuto modo di parlare a lungo e von der Leyen ha studiato il modo di fare di Meloni,” raccontano al Foglio. “C’è stato un momento in cui alcuni isolani hanno bloccato le auto blu; Meloni è scesa e ha invitato von der Leyen a scendere con lei e affrontare insieme i pescatori. Vedete, von der Leyen non varia mai sul protocollo, la spontaneità, diciamo, non fa parte del suo bagaglio, e mai avrebbe fatto una cosa simile se non glielo avesse chiesto il padrone di casa, ma lì per lì si è fidata ed è scesa. A molti può sembrare una cosa piccola, ma chi conosce von der Leyen sa che non lo è”.
Da lì a pochi mesi, però, i fatti di Acca Larentia riaccendono il dibattito sulle presunte simpatie “postfasciste” di Meloni e dei suoi ministri, polemiche che planano come una bomba sull’Eurocamera nell’ultima sessione del 2023. La Commissione non fa sconti e manda la commissaria svedese Ylva Johansson in Aula a condannare fermamente i video dei saluti romani che mezza Bruxelles riposta con zelo sulle piattaforme social. Per Meloni e i suoi è una giornata imbarazzante, ma sui fatti di Acca Larentia von der Leyen non si pronuncerà mai. Nel frattempo, la presidente della Commissione Ue è indebolita dalle conseguenze del suo viaggio in Israele all’indomani dei massacri di Hamas del 7 ottobre. La tedesca ha metà Consiglio contro e, anche nella sua stessa Commissione, iniziano a suonarle il de profundis, ma da Palazzo Chigi non vola una critica.
Per von der Leyen, nelle stesse settimane, dall’Italia arriva un’altra grana: Repubblica apre ufficialmente la “corsa di Mario Draghi alla presidenza dell’Ue”, riportando indiscrezioni secondo cui dietro il suo nome ci sarebbe la volontà di Macron. Nasce in quei giorni l’unico vero avversario alla corsa di von der Leyen per la riconferma, un avversario però che rischia anche di mettere in ombra Meloni. Il destino vuole che ancora una volta i loro interessi si allineino.
Passate le brevi ferie invernali, von der Leyen e Meloni si ritrovano di nuovo insieme, a gennaio, questa volta a Forlì, a sorvolare in elicottero le aree alluvionate dell’Emilia-Romagna. Di quei giorni si ricorda il cosiddetto “Patto della piadina”, siglato dopo un vertice di oltre un’ora nelle sale del Municipio della città romagnola, in cui si parla di solidarietà all’Italia ma inizia a fare capolino anche il tema delle europee, ormai a soli cinque mesi di distanza. Sul fango della Romagna le due leader cementano ulteriormente la loro intesa.
La legislatura europea volge al termine, ma per Meloni e von der Leyen c’è ancora tempo per una missione in Medio Oriente: a marzo, volano assieme al belga De Croo in Egitto, da Al Sisi, anche questa volta per un discusso memorandum d’intesa volto ad arginare gli arrivi di migranti irregolari in Europa. Altro tassello di una comunanza di vedute sul tema della migrazione, che da lì a un mese si materializza in una svolta epocale: Meloni molla gli ormeggi della destra populista e sceglie di votare il Patto Ue Migrazione e Asilo. “Il voto sul Patto è l’unico voto che abbia seriamente preoccupato von der Leyen nella scorsa legislatura – spiegano ancora dal team Ursula – il fatto che Meloni abbia, una volta per tutte, abbandonato le posizioni di Salvini e ammesso che sul tema della migrazione era giusta una risposta europea ha marcato, agli occhi di von der Leyen, l’ennesima prova del fatto che di lei ci si poteva fidare”.
Nel frattempo giugno si avvicina, e von der Leyen abbandona i panni istituzionali per vestire quelli della sua bislacca campagna elettorale all’americana, ribattezzata Ursula 2024. E proprio un viaggio elettorale a Roma segna ancora una volta un punto di svolta. Ma, a questo giro, Meloni non c’entra. A maggio, von der Leyen arriva a Roma per un tour tutto targato Ppe, la cui organizzazione dipende interamente da Forza Italia. Il risultato è “uno dei peggiori viaggi elettorali a cui abbia mai assistito – raccontano i suoi uomini – la presidente viene sistematicamente lasciata sola da Forza Italia, l’impressione è che nessuno voglia farsi vedere con lei”. Impressioni convalidate dalle lungimiranti dichiarazioni dell’azzurra Ronzulli: “Abbiamo visto che ormai è un’anatra zoppa”, vaticinio condiviso dal collega Mulè: “Onestamente faccio fatica a credere che possa farcela”. Da queste parole, e dai silenzi di Tajani, matura in von der Leyen la convinzione che la sua interlocutrice a Roma possa essere ancora una volta soltanto lei, la sua ormai “amica” Giorgia Meloni.
Da lì a poche settimane, le europee consegnano un’Europa saldamente nelle mani del Ppe e un’Italia saldamente nelle mani di Meloni. Per von der Leyen la partita potrebbe sembrare chiusa, ma è qui che iniziano i problemi. Socialisti e liberali alzano barricate contro l’ingresso di Meloni nella maggioranza europea e, al Consiglio Ue di luglio, mentre i leader europei mettono sul tavolo l’accordo sulle euro-nomine, arriva lo strappo che non ti aspetti: Meloni si astiene, che in termini politici vuol dire che l’Italia non dà il suo pieno via libera al nome scelto per guidare la nuova Commissione europea. I giornali tuonano: “Meloni è isolata”.
Dopo due anni di lavoro di fino, la special relationship tra le due lady di ferro sprofonda al punto più basso proprio nel momento più importante. Ma è ancora una volta una conversazione diretta a risollevare le cose. “Von der Leyen ha semplicemente spiegato a Meloni che, per quanto possa sembrare assurdo, visto che si parlava della sua nomina, non fu lei a gestire i negoziati, ma furono i negoziatori del Ppe, Tusk e Mitsotakis”. Quello che emerge dai racconti di quei giorni è anche una storia di solidarietà tra leader donne che provano un certo fastidio per i vecchi tromboni della politica europea, con von der Leyen che confessa ai suoi: “L’hanno esclusa, hanno sbagliato, non mi sta bene”.
La storia dei mesi estivi che separano quel vertice dal varo finale della nuova Commissione a novembre, con il voto positivo di Meloni e di Fratelli d’Italia, è storia recente. Il negoziato tra famiglie politiche è una lotta per far digerire, con difficoltà, a socialisti e liberali la vicepresidenza esecutiva a Raffaele Fitto. Un negoziato con cui von der Leyen riporta ancora una volta in carreggiata Meloni, e ancora una volta per un motivo semplice: perché senza l’Italia sa di non potercela fare a mettere in cassaforte la nomina e soprattutto la governabilità dell’Ue. Nel frattempo sfuma via dai giornali il nome del grande avversario, Mario Draghi, che a settembre presenta il suo attesissimo report in una conferenza stampa di oltre un’ora, durante la quale von der Leyen rimane per i primi quindici minuti per poi girare i tacchi e andarsene.
A fine novembre arriva infine il capitolo finale, perlomeno della prima stagione, di questa special relationship. Von der Leyen ottiene il voto di fiducia dell’Eurocamera con i voti di Fratelli d’Italia. La tedesca si assicura un secondo mandato mentre Meloni mette in cassaforte la vicepresidenza Fitto e, mentre Parigi e Berlino si accartocciano su se stesse, si presenta a Bruxelles come la leader più stabile d’Europa. Fidarsi l’una dell’altra ha pagato: Giorgia e Ursula hanno ottenuto quello che volevano perché il caso e la politica hanno voluto che i loro obiettivi, finora, siano stati allineati. La bravura, adesso, sarà mantenerli tali.