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L'editoriale del direttore

Le 50 sfumature di destra e l'assalto dell'Europa a Meloni

Claudio Cerasa

Cosa hanno in comune Trump, Milei, Le Pen, Orbán, Merz? Le sfumature delle destre hanno occupato ogni spazio della politica mondiale (anche quelli a sinistra). Perché il caso italiano è l’opposto di ciò che vede Trump

Il punto in fondo è tutto qui: è stata la Meloni a dare l’assalto all’Europa o è stata l’Europa a dare l’assalto a Meloni? C’è un fenomeno nuovo che riguarda la politica mondiale, che negli ultimi mesi non è stato sufficientemente illuminato. Il fenomeno riguarda un tema profondo, improvviso, che ha a che fare con un nuovo equilibrio che si sta a poco a poco affermando nelle grandi democrazie e che mese dopo mese vede aumentare progressivamente i paesi governati dai partiti che gravitano attorno al centrodestra e contestualmente vede entrare in crisi i paesi governati dai partiti che gravitano attorno al centrosinistra (il Canada di Justin Trudeau, premier canadese e leader laburista appena dimessosi, è solo l’ultimo di una lunga serie).

 

                                      

 

In Europa, nel nuovo Consiglio europeo, i paesi governati da politici iscritti al Partito socialista europeo sono ormai solo quattro su ventisette. Tra questi, il governo più solido è quello della Spagna di Pedro Sánchez, alla guida di un governo di minoranza. Il meno solido, in dirittura di arrivo, è quello della Germania di Olaf Scholz. Ai margini vi sono la Danimarca di Mette Frederiksen e Malta guidata da Robert Abela. A questi quattro paesi potremmo aggiungere la traballante Francia di Emmanuel Macron, più vicina al mondo del centrosinistra che a quello di centrodestra. Fuori dall’Unione europea, i casi di grandi paesi governati dal centrosinistra si contano anche qui ormai sulle dita di una mano. C’è l’Inghilterra di Keir Starmer, certo, c’è il Messico, il cui presidente è la ultra progressista Claudia Sheinbaum, c’è il Brasile di Lula e fino a poche ore fa vi era il governo di Trudeau in Canada.

Pochi governi, pochi tituli, e molti paesi governati da sinistre che molte sinistre considererebbero di destra più che di sinistra, come l’Inghilterra di Starmer, per dire. Ma il punto del nostro ragionamento non sono tanto i pochi paesi che ha ormai in mano la sinistra mondiale. Il punto del nostro ragionamento è un altro e riguarda alcune sfumature decisive. Le sinistre, in giro per il mondo, si dividono in modo schematico grosso modo in due grandi blocchi, gli stessi di sempre, e a voler essere brutali potremmo sintetizzarli così: blairiani, ovvero non ostili al mercato e non ostili all’occidente, e anti blairiani, ovvero nemici della globalizzazione e piuttosto diffidenti riguardo alle virtù salvifiche dell’occidente

Il mondo della destra, invece, in questi anni, non si è limitato soltanto a conquistare le casematte del potere mondiale, dagli Stati Uniti all’India passando dall’Argentina all’Unione europea, dove tra i paesi membri se ne registrano, come segnalato dal professor Fabbrini qualche giorno fa sul Sole 24 Ore, undici guidati direttamente da partiti che si riconoscono nel Ppe, due guidati da partiti che si riconoscono nell’Ecr, due di estrema destra come l’Ungheria e la Slovacchia e quattro indipendenti sostenuti da governi di destra. Il mondo della destra ha fatto qualcosa di più: si è moltiplicato, ha aumentato le sue sfumature, le ha fatte lievitare, andando a occupare la quasi totalità delle posizioni politiche possibili.

Il risultato di questa operazione è duplice. Da un lato, vi sono destre in giro per il mondo che si trovano distanti anni luce l’una dall’altra (pensate alla distanza tra il Ppe e i cosiddetti Patrioti, pensate alle differenze tra Le Pen e Meloni sulla Russia, pensate alle differenze fra Trump e Milei sulla globalizzazione, pensate alle sportellate tra i popolari tedeschi e la destra modello Musk). Dall’altro lato, invece, la varietà delle offerte politiche delle destre mondiali ha trasformato alcune destre nelle alternative alle stesse destre. E se a questo aggiungiamo il fatto che alcuni governi di sinistra (come quello inglese e come quello danese) su alcuni temi (come l’immigrazione e come la sicurezza) hanno posizioni politiche che buona parte della sinistra mondiale considera di destra (in primis quella italiana); e se a questo aggiungiamo il fatto che le sinistre più estreme hanno su alcuni temi (protezionismo, putinismo) posizioni simili a quelle che hanno le destre più estreme (più si va verso l’estrema sinistra e più di solito si finisce nell’estrema destra); si avrà un quadro ancora più chiaro della fase storica che stiamo attraversando.

Una volta osservato il quadro è possibile provare a sbilanciarsi con alcune piccole considerazioni finali. Una di queste riguarda una contraddizione di fondo che coincide con una domanda: ma oltre a essere nemiche delle sinistre, le destre mondiali hanno qualcosa in comune? Poco, sulla carta, e le divisioni che attraversano le molte sfumature di destre esistenti in giro per il mondo sono enormi e così grandi che spesso le destre considerano le destre estreme le minacce più pericolose per i propri paesi (vedi la Germania). Ma qualcosa in comune in verità le destre ce l’hanno. E’ qualcosa che non riguarda l’appartenenza presunta alla corrente del neoliberismo sfrenato, come sostiene qualche pigro azionista del pensiero progressista (il liberismo, in molti casi, è un freno al populismo di destra, che spesso attinge al nazionalismo statalista). Ed è qualcosa che riguarda una descrizione in comune che le destre mondiali portano avanti quando descrivono alcuni nemici che intendono combattere e affrontare.

L’élite globale. La stampa mainstream. L’establishment corrotto. Il wokismo. L’invasione dei migranti. La teoria della grande sostituzione. Per quanto le destre possano essere differenti l’una dall’altra, questi elementi sono ricorrenti e offrono spesso un collante utile per potersi sentire a proprio agio nell’evocazione spesso immaginaria di un estremismo di sinistra contro cui combattere con tutta la forza possibile. Una narrazione i cui contenuti sono spesso astratti, inafferrabili, sfuggenti ma una narrazione che il mondo progressista subisce e che non riesce a ribaltare con un colpo di reni. A questa considerazione ne va poi aggiunta un’altra che coincide con una doppia caratteristica che riguarda l’Italia. Pochi paesi in giro per il mondo hanno all’interno dello stesso governo tre esempi di destre appartenenti a famiglie politiche che in qualsiasi altra parte del mondo faticherebbero a stare insieme all’interno di una stessa stanza. E pochi paesi in giro per il mondo hanno una destra come quella guidata da Giorgia Meloni che con tutti i suoi difetti ha una potenzialità che altre non hanno: provare a essere una cerniera, un punto di incontro, tra destre mondiali inconciliabili e incapaci di dialogare.

E la sfida di Meloni, in fondo, è anche qui. Provare a sfruttare le caratteristiche uniche del suo governo, e della sua leadership, anche nei rapporti tra gli Stati Uniti e l’Europa, per provare a far contare di più l’Italia in una stagione dominata dalle cinquanta sfumature della destra mondiale, e per provare a colpi di pragmatismo a smussare gli angoli delle destre più estreme pericolose non solo per le democrazie ma anche per il nostro paese: Trump ha detto che Meloni ha dato l’assalto all’Europa ma la vera caratteristica della destra italiana finora è stato l’esatto opposto, ed è stata l’Europa semmai che ha dato l’assalto al governo Meloni. Dunque, in sintesi. Sinistre decimate, in giro per il mondo, e incapaci di reagire. Destre dominanti, in giro per il pianeta, ma incapaci di fare squadra, indicando un percorso comune. Chissà che il laboratorio italiano non offra agli osservatori ragioni utili per offrire agli elettori un’alternativa alle destre e alle sinistre tutte chiacchiere, distintivo, diversivo e leadership politiche figlie più di intelligenze artificiali che di intelligenze naturali.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.