Il racconto

Schlein riappare dopo 20 giorni. Le alleanze restano un tabù. Pd in ritiro per parlare di esteri

Simone Canettieri

La segretaria del Partito democratico spunta alla Camera dopo la lunga assenza natalizia. Il Pd ancora confuso sul rapporto con Movimento 5 stelle e centro. L'idea di un seminario per analizzare lo scenario geopolitico in mutazione

“C’era, eccome. Era Elly in carne e ossa con il suo iPad”. I deputati del Pd con un moto di maliziosa sorpresa ieri pomeriggio raccontavano, dandosi di gomito, l’apparizione della segretaria del Pd alla Camera dopo la lunga sosta natalizia. Per Schlein sono stati diciotto giorni – dal sì alla manovra a Montecitorio dello scorso 20 dicembre fino all’apparizione di ieri – di totale assenza fisica e mediatica dal dibattito pubblico. Eccezion fatta per qualche nota stampa e un’intervista a un quotidiano rilasciata durante il solito e interminabile vuoto. “Dove sarà?”. “Boh, a te risponde ai messaggi?”. Accade in agosto, succede sotto Natale. Si sa: la segretaria del Pd ha bisogno di staccare, di ritornare alla sua natura di inafferrabile, di chi non solo non l’ha vista arrivare, ma proprio non l’ha vista. Ferie blindatissime e segretissime, tra famiglia e affetti stabili, lontana da tv e social. Nemmeno un videomessaggio su Instagram. Niente, non pervenuta. Natale con Elly: cioè dove? Sicché ieri alla riunione del gruppo del Pd, nella Sala Berlinguer al terzo piano della Camera, un allegro ed eccitante stupore ha pervaso un po’ tutta la compagnia. “E’ tornata!”. La notizia è che il principale partito d’opposizione è pronto ad andare in ritiro. Come accadde giusto un anno fa a Gubbio, quando i parlamentari si rinchiusero per due giorni in un ex convento dei Cappuccini adibito a spa di lusso, “in una felice ed equilibrata combinazione, antichi ambienti e nuovi comfort”. La proposta, tra il serio e il faceto, è arrivata da Peppe Provenzano, responsabile Esteri del Nazareno, per esaminare il quadro geopolitico in forte evoluzione (per usare un eufemismo): le guerre, il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca, le crisi nere di Francia e Germania, le dimissioni di Justin Trudeau in Canada. Gianni Cuperlo, che è cresciuto nel mito della scuola-palestra delle Frattocchie, si è subito acceso come un fiammifero: “Giusto, serve un seminario e il prima possibile”. Schlein si è detta d’accordo, alzando la testa dal suo schermo. E quindi il seminario si farà. C’è da capire quando e soprattutto dove, visto che l’ultimo non fu proprio un successone. Roma sarebbe la soluzione ideale. Tuttavia i principali problemi di Schlein, e dunque del Pd, sono altri. 

 

Il primo riguarda la battaglia politica. Dopo i successi in Emilia-Romagna e soprattutto Umbria, per dirne una, la segretaria aveva annunciato con tanto di conferenza stampa una grande mobilitazione contro i tagli del governo alla sanità: ospedale per ospedale, corsia per corsia. 

 

Bene, al di là delle parole poco e nulla è stato fatto, complice il momento panettone. La manovra, arrivata blindata in Senato, è stata poi un’altra cartina al tornasole: a Palazzo Madama l’opposizione del Pd, finanche con gli ordini del giorno, è stata fiacca. Tanto che l’ultimo sì è arrivato, prima di Capodanno, dopo un giorno e mezzo scarso di lavori d’Aula. Nel Pd c’è chi ricorda con una punta di fastidio come, al contrario, Giorgia Meloni e Fratelli d’Italia quando sedevano sui banchi dell’opposizione, in una situazione identica erano capaci di far ballare la rumba con i piccoli escamotage procedurali all’allora maggioranza, incollandola ai banchi. 

 

Discorso ancora più complesso è il rapporto con gli alleati. Da cui traspare una visione ombelicale del Pd. Un partito che continua a crescere secondo i sondaggi, a scapito però di chi gli sta intorno. A partire dal M5s. Non è un caso che sulla vicenda della governatrice M5s Alessandra Todde non sia partita una difesa del Nazareno. Giusto un’intervista ieri di Marco Meloni, senatore eletto in Sardegna, ma niente di più. Eppure sull’isola che traballa con il rischio di ritorno alle urne, il Pd è il primo partito della coalizione. La mancata difesa d’ufficio con batterie di dichiarazioni non è passata inosservata al partito di Giuseppe Conte. Se Schlein non ha voluto aprire bocca sul caso del concertone di Capodanno negato dal sindaco dem Roberto Gualtieri a Tony Effe, è ancora più assordante il silenzio intorno alla nebulosa “cosa” di centro che prova a prendere piede a destra del Pd. Né un’indicazione, né una bocciatura. Buio. Più che altro forse un banale fate vobis che però disorienta le truppe. Ed è così un po’ singolare che a lanciare il possibile papa straniero del centro, Ernesto Maria Ruffini dall’Agenzia delle Entrate, sia proprio uno del Pd, cioè Graziano Delrio. Ma così è. Schlein è convinta che alla fine tutti dovranno venire a Canossa a trattare con lei quando ci saranno le elezioni, nel frattempo aspetta, cerca nuove parole chiave, scompare e riappare. “Vi giuro era proprio Elly, ticchettava sull’iPad”, raccontavano ieri i deputati rincuorati dal ritorno della leader, dopo giorni a inseguire gli attacchi di Matteo Renzi, segretario supplente aggiunto, a Giorgia Meloni.

Di più su questi argomenti:
  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.