(foto Ansa)

Il racconto

Ha funzionato tutto bene. Bentornata a casa Cecilia

Claudio Cerasa

Il ruolo di Meloni, l’intelligence, l’opposizione, i giornali, le tv e i siti. Cronaca di un’attesa, a Ciampino, lunga 21 giorni

Sono le 16 e 11 minuti. Siamo a Ciampino, il volo con a bordo Cecilia Sala è appena atterrato, il fidanzato di Cecilia, il nostro amico Daniele Raineri, è lì sulla pista dell’aeroporto, nell’hangar dell’intelligence, i cosiddetti voli Cai, ad attendere Cecilia. Il portellone dell’aereo si apre, passano ventidue secondi, Cecilia scende dalle scalette, corre veloce, abbraccia Daniele, lo stringe forte, fa altri tre passi, abbraccia la mamma, abbraccia il papà, fa altri tre passi, entra in una saletta. Li aspettano, in un angolo a sinistra, schierati senza ordini protocollari di fronte a un tavolino poggiato sul marmo freddo della piccola sala d’aspetto, Giorgia Meloni, Antonio Tajani e il sindaco di Roma. Li abbraccia, li ringrazia. Grazie presidente, dice Cecilia. E figurati, risponde Meloni. Cecilia fa altri due passi, si ferma, chiede cosa deve fare, non so come funziona, dice con un sorriso, saluta il direttore di questo giornale: ben tornata Cecilia, stai bene, sì sto bene. Saluta il direttore di Chora Media, Mario Calabresi, sorride ancora, poi si mette in un angolo, ascolta i commenti dei genitori, si chiacchiera qualche istante, vede il fidanzato complimentarsi con la premier, Cecilia si mette le mani intrecciate dietro la sua giacca Barbour stropicciata e non dice nulla. Silenzio, ci si guarda, ci si parla con gli sguardi, senza parole. Qualcuno piange, solo una persona, non vi diremo chi. Meloni osserva Cecilia, le dice avrai qualcosa da scrivere, molte storie da raccontare, lei dice che non vede l’ora, saluta tutti, si infila in un corridoio con la famiglia. Qualche chiacchierata con i Ros, poi la sera con i genitori e il fidanzato. Sono passati ventuno giorni dal giorno in cui la nostra Cecilia Sala è stata portata in una cella in Iran, a Evin, dove Cecilia era al lavoro per Chora Media. Sono passati ventuno giorni dal giorno in cui l’Iran ha dimostrato ancora una volta di considerare il giornalismo un crimine.

Sono passati ventuno giorni da quando l’Iran ha dimostrato di considerare la diplomazia degli ostaggi una pratica come un’altra della grammatica di un regime. E ventuno giorni dopo si può dire per una volta, senza retorica, che tutto quello che doveva funzionare ha funzionato. Ha funzionato la diplomazia italiana che, dopo essersi fatta prendere in giro per qualche giorno da quella iraniana, nei giorni in cui cioè si raccontava che Cecilia stava bene e nel giorno in cui si raccontava che i pacchi che le dovevano essere consegnati erano stati consegnati, nel giro di otto giorni ha trovato il bandolo della matassa a partire dal 1° gennaio. Ovvero quando Giorgia Meloni ha scelto di muoversi in prima persona per riavere Cecilia e quando l’intelligence italiana, l’Aise guidata da Giovanni Caravelli, che ieri mattina era su quell’aereo con Cecilia e che in sala d’attesa a Ciampino si è detto felice per la velocità con cui le trattative si sono concluse, ha scelto di seguire l’unica strada possibile, non scandalosa, necessaria. La stessa strada percorsa da tutti i grandi paesi del mondo che si ritrovano a fare i conti con una domanda complicata ma dalla risposta scontata: quando un tuo cittadino finisce nelle carceri di un paese che considera la libertà un reato e il giornalismo un crimine è bene sporcarsi le mani e fare di tutto per riportare quel cittadino a casa anche a costo di scendere a compromessi con quel regime di canaglie? La risposta è sì.

Lo scambio con Mohammad Abedini Najafabadi, l’ingegnere iraniano arrestato a Malpensa il 16 dicembre scorso su richiesta degli Stati Uniti, si farà, l’estradizione non ci sarà, e tutto naturalmente è cambiato nell’istante in cui Giorgia Meloni, quattro giorni fa, è andata a Mar-a-Lago per la famosa visita a sorpresa da Donald Trump. Roberto Gualtieri, sindaco di Roma, città dove Cecilia è residente, pochi istanti prima dell’arrivo di Cecilia, chiacchierando con chi scrive ammette di aver fatto i complimenti a Giorgia Meloni – è stata perfetta, bravissima – e con un sorriso Gualtieri dice di essere pronto a tutto ora, anche ad aiutare Trump a costruire un campo da golf dentro al Colosseo a Roma qualora ci fosse una contropartita creativa da offrire a Trump per il via libera concesso sullo scambio di prigionieri (si scherza naturalmente). Ha funzionato tutto, si diceva, ha funzionato soprattutto il lavoro di Palazzo Chigi, ha funzionato il lavoro del sottosegretario Alfredo Mantovano, ha funzionato il lavoro dell’Aise, ha funzionato anche il gioco di sponda tra la Farnesina e la famiglia di Cecilia, anche quando le persone care a Cecilia hanno fatto sapere che Cecilia non stava bene e che era in una cella singola e che quello che le doveva essere stato consegnato non le era stato consegnato: capire che non vi era più un attimo di tempo da perdere era necessario e anche questo ha funzionato. Ha funzionato tutto bene, e quando Daniele dice che ci sono solo due protagoniste in questa storia, una è Cecilia Sala e l’altra è Giorgia Meloni, ha ragione. Ma c’è un elemento in più. Ha funzionato anche tutto il resto, nella storia di Cecilia. Ha funzionato il rapporto tra Meloni e Trump, oltre che il rapporto tra Meloni e Biden, perché tutto si è sbloccato anche nel momento in cui è diventato chiaro a tutti che l’iraniano arrestato in Italia era più importante per l’Amministrazione uscente, e per l’Fbi uscente, ma meno per quella entrante, e per l’Fbi del futuro, che verrà azzerato da Trump. Ma ha funzionato anche l’opposizione, che ha tenuto il punto senza strillare, che ha scelto di incalzare al momento giusto il governo, che ha trovato il modo giusto di collaborare con il governo senza cercare protagonismi ma limitandosi a dare un contributo per raggiungere l’unico obiettivo possibile: riportarla a casa.

Ha funzionato tutto, o quasi, e tutto sommato ha funzionato anche il mondo dell’informazione, il mondo dei giornali, il mondo della televisione, il mondo della radio, il mondo dell’informazione digitale. Ha funzionato tutto nella prima fase, durante i primi sette giorni, quando tutti coloro che sapevano dell’arresto di Cecilia dal giorno stesso in cui l’arresto è avvenuto, venerdì 20 dicembre, hanno scelto di non parlare della storia di Cecilia, nella convinzione che potesse essere possibile liberarla nel giro di pochi giorni. Ha funzionato tutto anche nella seconda fase, quando è stato necessario incalzare il governo per mettere il caso di Cecilia in cima all’agenda dell’esecutivo, senza abboccare alle trappole iraniane. Ha funzionato tutto nella terza fase, la più delicata, quando la richiesta irrituale ma saggia di silenzio stampa della famiglia di Cecilia, mamma Elisabetta e papà Renato, ha avuto l’effetto di rendere le cronache più sobrie, più misurate, più attente, più posate. Cecilia è libera, sta bene come può star bene chi è stato per venti giorni in un carcere in isolamento nel posto peggiore al mondo dove un giornalista può essere incarcerato, e tutte le persone che le vogliono bene non possono non ritrovarsi nella battuta dolce e sincera e spontanea uscita dalla bocca della mamma di Cecilia qualche istante prima dell’arrivo dell’aereo della figlia. Sono le 16, manca poco all’atterraggio, Giorgia Meloni è appena arrivata, saluta tutti, dialoga qualche istante con i presenti, sorride anche lei, poi torna dai genitori di Cecilia, sussurra qualcosa, qualcuno le fa i complimenti, si congratula per il garbo, lo stile, la misuratezza delle parole. La mamma di Cecilia sorride, guarda il padre di Cecilia e gli dice, stanca ma felice, consapevole della forza mostrata in questi giorni: Renato, dimmi, e tu ora come hai intenzione di crollare? Bentornata a casa Cecilia.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.