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Cercare il morto

273 agenti feriti in un anno, ogni corteo è buono per alzare lo scontro fisico. Pessima logica

Maurizio Crippa

I ferimenti segnano un più 127,5 per cento nel 2024, nonostante una riduzione del 18,9 per cento delle manifestazioni. I dati del Viminale parlano di un’escalation evidente, mentre l’estrema sinistra grida alla repressione

Se si scrive “stretta del Viminale” su Google si trovano 185 mila risultati. Quasi che, tra gride manzoniane sui rave e i blocchi stradali e profezie che non si autoavverano sul rimpatrio di irregolari, l’Italia fosse davvero il Venezuela di Maduro. Ora si riaccende il dibattito in Senato sul ddl Sicurezza, che avrà ovviamente i suoi punti da rivedere, ma che definire “un giro di vite della destra alla repressione del dissenso” (il manifesto) ha poco senso. Se invece di immaginare retate poliziesche si prendessero in esame i dati appena diffusi dal Viminale, relativi al 2024, ci si potrebbe fare una consapevolezza diversa.

 

                     

Sabato nelle manifestazioni “per Ramy” a Bologna e Roma – al netto delle scritte “free Palestina” che hanno indignato anche il sindaco di Bologna Lepore e il cardinale Matteo Zuppi, e al netto delle minacce sui social antagonisti “non finisce qui, ve la faremo pagare” – si sono registrati 18 agenti feriti, otto a Roma e dieci a Bologna. Frutto della tattica evidente di cercare lo scontro fisico e di creare l’occasione per incidenti gravi. Va così da tempo. Nello scorso anno non c’è stata praticamente manifestazione – fosse per la casa, i trasporti, la “pace” – che non si sia trasformata in occasione di aggressione agli agenti. Solo negli ultimi mesi: i disordini all’Ostiense, gli attacchi dei centri sociali a Bologna l’11 novembre (“contro il fascismo di strada e di governo”). A Torino a fine novembre l’assalto alla stazione con aggressione alle forze dell’ordine, e il  13 dicembre al Politecnico.

    

I dati ufficiali diffusi del ministero dell’Interno per il 2024 sono chiari: nonostante una riduzione del 18,9 per cento delle manifestazioni è aumentato in modo allarmante il numero di agenti feriti: 273, più 127,5 per cento. Basterebbe prendere sul serio questi dati e l’allarme contenuto per rispedire al mittente, qui il presidente di Salviamo la Costituzione Gaetano Azzariti, l’affermazione che il ddl Sicurezza è “un manifesto, l’idea di democrazia che riflette una mentalità autoritaria”. Bisogna invece domandarsi, e lo si fa senza il minimo entusiasmo e anzi con seria preoccupazione, chi stia soffiando sulla tensione sociale e di piazza, cercando ogni volta lo scontro violento. Con l’idea (inconscia?) che prima o poi il fattaccio avverrà. Nei decenni oscuri si diceva “cercare il morto in piazza”.

  

Il Viminale denuncia il rischio di saldature tra antagonisti e anarchici, mentre la Digos di Torino – non a caso la città che ha visto più manifestazioni violente nell’ultimo periodo – ha parlato a proposito della “galassia” antagonista e anarco-insurrezionalista di una “metodologia operativa” “per innalzarne il livello di radicalità”. Si polemizza dalle opposizioni sulle bodycam agli agenti previste dal ddl e si paventano altre misure repressive. E con un governo in cui sottosegretari come Delmastro si emozionano pensando alle persone da chiudere in galera e vicepremier come Salvini che inneggiano a “chiudere i centri sociali” c’è solo da temere che le condizioni perché il fattaccio avvenga a un certo punto si creino davvero. La convenzione sociale di un paese che ha conosciuto la violenza politica impone di non pensarci. Ma rendersi conto che c’è chi soffia sul fuoco è doveroso.
 

  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"