Il colloquio
Pombeni (Il Mulino): “Bologna preoccupa. A sinistra ancora riflessi condizionati contro polizia e Israele”
Il direttore della rivista della casa editrice bolognese: "Cosa c’entra manifestare per l’omicidio di Ramy avvolti nelle bandiere palestinesi? E’ chiaro che era solo un pretesto per forzare lo scontro. Ed è certo che chi dice ‘sono solo compagni che sbagliano’ sbagli doppiamente"
“Bologna grazie al cielo non è ancora una città completamente assuefatta a queste manifestazioni d’odio. Ma certo l’attacco a polizia e comunità ebraica delle inquietudini le genera eccome”. Da direttore della rivista del Mulino, vera e propria istituzione culturale della città, lo storico Paolo Pombeni esprime tutto il suo disappunto per le immagini andate in scena lo scorso weekend. Scontri con le forze dell’ordine e scritte intimidatorie nei confronti della locale comunità ebraica. Frange estremiste spalleggiate forse anche da certe forze politiche, a partire dal sindaco Matteo Lepore, che una certa ambiguità l’hanno favorita. “Ma io dico: cosa c’entra manifestare per l’omicidio di Ramy avvolti nelle bandiere palestinesi? E’ chiaro che era solo un pretesto per forzare lo scontro. Ed è certo che chi dice ‘sono solo compagni che sbagliano’ sbagli doppiamente”, analizza Pombeni. Le scritte pro Gaza sulla sede della comunità ebraica bolognese hanno destato preoccupazioni per il riaccendersi, in città, di fenomeni di antisemitismo. “Questi movimenti sono culturalmente ignoranti, fanno un minestrone senza senso. Non sanno nemmeno che la comunità ebraica bolognese è sempre stata distante dalle posizioni della destra israeliana”, ragiona Pombeni col Foglio. “E’ chiaro che quando ti trovi di fronte a forme di estremismo è difficile anche solo capirsi, confrontarsi. Perché come si fa a contrastare l’irrazionalità?”. Eppure l’accusa dello stesso presidente della comunità ebraica di Bologna Da Paz al sindaco Lepore è di aver prestato troppo spesso il fianco a queste manifestazioni d’intolleranza. “Bisogna saper distinguere tra l’antisionismo o antisemitismo veri e propri e forme di solidarietà. Il confine è molto sottile. Di certo non aiutano i riflessi condizionati della sinistra, che cerca di stare sempre dalla parte degli oppressi e quando non li vede se li inventa”, dice il direttore del Mulino. “In questo caso la situazione a Gaza è molto impattante. Uno può rimanere orripilato per quanto successo il 7 ottobre e comunque essere sconcertato per la reazione israeliana. E’ una cosa che spiazza. Ma comunque bisognerebbe essere in grado di ragionare. Ma qui invece del ragionamento si va a caccia di emblemi”. Secondo Pombeni, “i cosiddetti antisionisti combattono un mito che si sono costruiti da soli, per questo compiono un’operazione pericolosa”. Anche riecheggiare costantemente il mito dell’antifascismo risponde a questa funzione. “Non avendo vissuto la Resistenza è come se ci si attaccasse a una tradizione, un mito che c’è stato anche nell’Italia post risorgimentale. Così da una parte ci si dice antifascisti, dall’altra ci si dice fascisti. Ma è tutta una rappresentazione. E alimenta la voglia di combattere, qui da noi, una specie di ‘guerra’ che noi non combattiamo su altri fronti. E’ anche questo che spiega la guerriglia urbana che vediamo nelle nostre città. Un meccanismo psicologico che esiste nelle nostre società e verso cui dovremmo avere la massima attenzione”.
Aggiunge ancora il direttore di una delle più autorevoli riviste italiane, che “c’è una carenza di disciplinamento sociale, favorita anche dall’estrema polarizzazione sui media e social network. E invece dovremmo capire tutti quanti che la radicalizzazione è un gioco al massacro. E in un contesto così poco adatto al ragionamento diventa tutta una questione di fan club”. Una parte della responsabilità, prosegue Pombeni che per anni ha insegnato all’Università degli studi di Bologna, “ce l’hanno proprio gli atenei, perché stanno scontando una grandissima difficoltà a insegnare al raziocinio, soprattutto nelle facoltà umanistiche”. Il problema sono forse i cosiddetti “cattivi maestri” che coltivano nelle aule universitarie delle forme d’odio e d’intolleranza che trasmettono ai loro studenti? “Ma io non credo nemmeno che esistano più i cattivi maestri, di maestri ce ne sono pochi, semmai sono cattivi maestrini”, dice Pombeni. “Molti sono oramai devoti alla cultura della radicalizzazione, sempre più mainstream. E’ questo che dovrebbe farci suonare un campanello d’allarme”. Cosa fare allora per contrastare l’antisemitismo e le altre derive nelle fasce più giovanili? “La prima cosa è provare a dare alla parte più sana dei nostri ragazzi e ragazze delle vie d’impegno. Poi c’è bisogno di promuovere sempre più una cultura della comprensione. E in terzo luogo contrastare con molta più forza le disuguaglianze, quelle che molto spesso finiscono per generare ribellismo. Le immagini che abbiamo visto a Bologna preoccupano. Ma per fortuna erano 200 persone. Non tutti i nostri ragazzi sono così”.