La stoccata sul terzo mandato
Zaia avverte Lega e FdI: “Il futuro del Veneto passa dallo sblocco dei mandati”
“Prima vengono i veneti, poi il mio partito, poi il centrodestra”, dichiara il governatore, frenando l’avanzata dei suoi militanti soltanto finché glielo dirà lui. “Serve una sintesi, che tenga conto del nostro operato: sono i veneti a chiedermi di candidarmi ancora”
Smorza i toni, calma gli animi. Ma alla fine, Luca Zaia si gioca il pezzo da novanta. Alla sua solita maniera: criptica, camuffata, apparentemente innocua. “FdI e FI chiedono spazio? Non è un reato di lesa maestà. Il mio futuro? A disposizione del movimento. La Lega correrà da sola, con una lista a mio nome? Dieci mesi sono tanti: faranno ragionare anche i più irredentisti”. Pax veneta, anzi no. “Per il futuro della nostra regione bisognerà trovare una sintesi all’interno del centrodestra. E la sintesi passerà per forza da cosa vogliamo fare sul terzo mandato”. Equazione semplice: Zaia, i suoi ragazzi – un esercito da 1200 amministratori sul piede di guerra – mostra di saperli tenere a bada, lui e lui solo; se però il nodo normativo non dovesse sciogliersi in suo favore, scatenerà l’inferno. Il Doge in versione gladiatore. Contro Roma, però.
È il passaggio chiave della lunga conferenza stampa tenuta dal governatore, stamattina a Palazzo Balbi. Attesissima, da queste parti, dopo giorni di fuoco incrociato tra leghisti e meloniani. Zaia sorride, sforna battute. Anticipa le domande dei giornalisti, “così evito di farvi fare bella figura”. Parte in sordina. “Qualsiasi scelta farà il Carroccio in vista delle prossime elezioni, io sarò dalla sua parte”. Sotto i cuscini nasconde le bombe. “Il Veneto viene prima della Lega e la Lega prima del centrodestra”, altro passaggio chiave. “Trovo assurdo sottovalutare il problema che si profila qui: la politica rischia di andare contro il volere dei cittadini veneti. Non è vero che con lo sblocco dei mandati si formerebbero centri di potere. Ed è naturale che in caso di fumata bianca mi ricandiderei: se qualcuno ci dice che non abbiamo governato bene, le strade si separeranno”, frecciatina ai Fratelli, che per ora si guardano bene dal dichiararlo. “Non accetteremo alcun candidato calato dall’alto: chi fa certe congetture alimenta tensioni e non ha capito questa terra”, frecciatina anche ai salviniani, un veto preventivo a qualsiasi operazione simil-Vannacci.
Sono soddisfatti, gli uomini di Zaia. Non si aspettavano nulla di più esplicito, a questo punto della vicenda. Si porta a casa un round importante il segretario Stefani, le cui dichiarazioni – “Se FdI non ci segue saremo pronti a correre in solitaria” – sono state definite “autorevoli” dal presidentissimo. E pure Alberto Villanova, il capogruppo degli zaiani in Consiglio, che nella serata di lunedì aveva anticipato – senza filtri né cortesie – il pensiero del Doge: “Le altre sei regioni al voto messe assieme non valgono la nostra: i politici nella capitale devono capire che il Veneto va maneggiato come la dinamite. Non si può pretendere di arrivare qua e sbattere la porta. Perché così ci si fa male. A Roma si mettano il cuore in pace”. Ora si aspetta l’esito di una trattativa tutta da imbastire: Salvini e Meloni delle regionali non hanno ancora parlato. Anche per questo Zaia ha già messo le carte in tavola: spostare l’appuntamento elettorale al 2026, ottenendo di correre per la quarta volta. Se così sarà, il centrodestra avrà in cambio la sua assoluta e rinnovata lealtà amministrativa. Altrimenti rivolta all’orizzonte. Come da tradizione, nel leone alato sulla bandiera veneta: libro aperto chiama pace, libro chiuso guerra. Quello di Zaia andrà letto fino in fondo.
tensioni nella maggioranza
Dietro la fumata nera per la Consulta il nodo sul giudice in quota Forza Italia
La stoccata sul terzo mandato