Il caso

Zaia: il voto in Veneto slitta al 2026. E intanto tratta con Meloni e manda messaggi a Salvini

Simone Canettieri

Il governatore prova a prendere tempo appellandosi alla legge elettorale. E spera di portarsi dietro anche le altre regioni che in autunno dovranno scegliere i nuovi presidenti. Palazzo Chigi per ora evita lo scontro

L’unica certezza per il momento è dettata dai tempi: Luca Zaia resterà alla guida del Veneto per tutto il 2025, fino alla tarda primavera del 2026. Il doge è pronto a ribadirlo questa mattina alle 11.30 in conferenza stampa sventolando la legge elettorale della sua regione che fissa da statuto l’appuntamento con le urne al termine dei cinque anni di mandato “nel periodo che intercorre tra il 15 maggio e il 15 giugno”. Così facendo  Zaia otterrà due cose: taglierà il nastro delle prossime Olimpiadi invernali alla fine di quest’anno e continuerà a trattare con Giorgia Meloni, in qualità di leader di FdI. Trattativa non semplice, ma il tempo può aiutare a smorzare  le tensioni di questi giorni. Zaia è anche convinto di un’altra dinamica.   

 

Potenzialmente nella sua situazione, quella delle regioni che votarono a ottobre del 2020 causa Covid, ci sono anche Puglia, Campania, Toscania, Marche e Valle d’Aosta. L’idea dunque è quella di accorpare le regionali del 2026 con le comunali in un unico election day. Nel caso, del Veneto, si risparmierebbero 40 milioni di euro, sostengono dalle parti del governatore della Liga. Palazzo Chigi per il momento non sembra essere favorevole a questo slittamento di tutto il pacchetto con tanto accorpamento con le città, ma la trattativa è in piedi. Anche perché si porta dietro tutto il dibattito sul terzo mandato, dibattito che parte da Napoli e arriva a Venezia, con i due viceré poco intenzionati a mollare, su cui Meloni ha espresso il suo parere contrario nonostante una serie di incognite. Il Veneto è un problema per il centrodestra. Per due ragioni: rischia di mettere in crisi la leadership di Matteo Salvini e mina la fase magica di Meloni, come leader della coalizione. Nel primo caso la base intorno a Zaia ha messo nel mirino il segretario della Lega che finora è rimasto silenzioso su questo argomento, al di là di far mettere agli atti la contrarietà della Lega in Cdm quando la settimana scorsa è stata impugnata la legge di Vincenzo De Luca sul terzo mandato. Dalle parti di Zaia raccontano di essere in forte sintonia con Massimiliano Fedriga, arciduca del Friuli Venezia Giulia nonché presidente della conferenza stato-regioni. E con un congresso della Lega quasi alle porte meglio non farli arrabbiare. La seconda dinamica molto interna al centrodestra nel rivendicare per la Liga il futuro governatore è ancorata ai numeri. Il cosiddetto Zaiestan conta a oggi 159 sindaci, 1.179 amministratori comunali, 340 sezioni, 11.000 tesserati, il 97 per cento del tasso di riconferma dei sindaci uscenti nel 2024, più la vittoria in oltre l’80 per cento dei comuni (compresi quelli in cui “ci siamo presentati o abbiamo cominciato da soli: Bassano, Portogruaro, Monselice, Arzignano”). Con questo stato d’animo Zaia oggi sfiderà senza essere plateale il centrodestra romano rispondendo a Meloni, collega ai tempi dell’ultimo governo Berlusconi, che è pronto a sedersi al tavolo della coalizione. I radar di Via della Scrofa, sede di Fratelli d’Italia, si sono già accesi. Ecco perché di Veneto e di terzo mandato non si parla. La linea è che dell’argomento si parlerà nei vertici di maggioranza o non sui giornali, come spiega Giovanni Donzelli, capo dell’organizzazione di FdI, colui che materialmente spesso e volentieri tratta e rifinisce le liste con gli alleati. “Decideremo ciò che è più giusto”.

 

In questa fase occorre troncare e sopire, ragionano nel cerchio magico della premier. Perché Salvini – diventato titolare dopo sei anni del logo con Alberto da Giussano – non controlla Zaia nel bene e nel male. E quindi un fatto regionale potrebbe avere delle ripercussioni interne alla Lega con un rimbalzo a Roma. Per superare questa crisi, che è nulla rispetto ad altre superate nei giorni scorsi dalla premier, Meloni è consapevole che alla fine dovrà trattare a tu per tu con Zaia. Solo loro due e tutto il mondo fuori. Con un piccolo dilemma esistenziale e quindi politico: darla vinta alla Lega veneta oppure andare avanti, costi quel che costi, per cercare di piantare la prima bandierina al nord di FdI. Il tempo può portare consiglio e oliare le trattative che al momento si nutrono di tatticismi esasperati, a partire dall’idea di una corsa solitaria del mondo zaiano.

 

Diverso invece sarà capire se il governo acconsentirà ad agganciare tutte le altre regionali di quest’anno alle comunali del 2026. “Significherebbe per esempio dare un vantaggio enorme al Pd in Campania, in questo momento in tilt, che resta l’unica regione contendibile, al contrario di Puglia e Toscana”. Tutto si tiene e si intreccia. In attesa della conferenza stampa di questa mattina di Zaia.
 

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  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.