Passeggiate romane
Tempi lenti, forza di Meloni. Cos'è la Grande Depressione del Pd
L’attivismo della premier, sempre presente sulla scena nazionale e internazionale, stanno convincendo i dem che la vittoria alle prossime elezioni, vista finora come possibile, rischia di sfuggire. E in molti non condividono la linea della segretaria sulla sicurezza, sulle alleanze e pure su De Luca
Alcuni deputati dem l’hanno soprannominata la Grande Depressione. Ma in realtà nulla c’entra con quella crisi che alla fine degli anni venti sconquassò l’economia mondiale. L’allusione, piuttosto, è allo stato d’animo in cui versano la maggior parte dei dirigenti del Partito democratico. All’inizio dell’era Schlein, presi dall’entusiasmo per i sondaggi che davano il Pd in ascesa, anche gli oppositori della segretaria e i suoi più tiepidi sostenitori si era fatti coinvolgere in una sorta di ubriacatura collettiva. Adesso però qualcosa è cambiato. Non che i sondaggi non continuino a dire che i dem godono di buona salute (anche se l’ultima rilevazione arrivata al Nazareno assegna al partito un meno 0,9 per cento), il problema è un altro.
L’attivismo di Giorgia Meloni, il suo essere sempre presente sulla scena internazionale (e pure su quella nazionale), i suoi colloqui con Biden e con Trump, stanno convincendo i più che la vittoria alle prossime elezioni, vista finora come più possibile, rischia di sfuggire. A suffragare questa impressione anche quella che viene giudicata come la scarsa incisività di Elly Schlein in quest’ultimo periodo. Il suo eclissarsi durante le vacanze natalizie, la sua decisione di dichiarare sui disordini provocati dalla morte di Ramy solo dopo ore e ore e comunque non in modo efficace e privo di ambiguità, sono tutti elementi che hanno gettato molti dem nello sconforto. Si spiega anche così l’attivismo ulivista dei Prodi, dei Gentiloni, dei Ceccanti. E’ il tentativo di sopperire alle attuali carenze della linea dem, nella speranza di portare nuova linfa al centrosinistra. Anche la linea adottata sul caso De Luca non ha convinto i più. Molti dirigenti, anche quelli che finora avevano sostenuto la segretaria del Pd, avrebbero preferito scegliere la strada della trattativa con il potente presidente della regione Campania. Invece Schlein non si è più occupata del problema, non ha più parlato con De Luca e ha lasciato libertà d’azione a due acerrimi nemici del governatorissimo: Ruotolo e Sarracino. Mentre ha lasciato da solo il povero commissario della Campania Antonio Misiani che si era adoperato in tutti modi, temendone gli esiti, per evitare una rottura con De Luca. Adesso, a meno di sorprese da parte della Corte costituzionale, il rischio è che in quella regione prenda il via un vero esperimento di Terzo Polo, con la candidatura di De Luca alla guida della Campania.
La Grande Depressione aleggia sui dem pure per un’altra ragione. Per la linea assunta dalla leader nei confronti degli alleati. Schlein non ha detto (né mai dirà) una parola contro i suoi partner politici, ma nemmeno (ed è questo il cruccio di molti dem, anche di quelli che fanno capo all’area Franceschini) sta tentando di rinsaldare i rapporti con loro. Si veda il caso Sardegna. Quando Alessandra Todde è stata dichiarata decaduta, dal Nazareno le parole d’ordine impartite ai pd sono state: non intervenite, questa è una questione che riguarda la governatrice e il Movimento 5 stelle. E la cosa non è andata giù non solo a quanti, come Goffredo Bettini, ritengono che occorra salvaguardare il rapporto con Giuseppe Conte, ma pure a coloro che, non simpatizzando con il leader del M5S, sono mossi da un principio di realtà e ritengono che comunque l’intesa con i 5 stelle sia un tema ineludibile.
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