L'editoriale del direttore
L'ottimismo pericoloso di Meloni. Cambiare registro sull'economia per non campare di sola rendita
La produzione industriale che non va, la produttività che crolla, la crescita zero nella fase finale del 2024, il Pnrr che arranca (62 miliardi di spesa su 122 ricevuti). Occorre iniziare a ragionare su cosa dovrebbe fare l’Italia per provare a guardare con fiducia al futuro
Da queste parti, lo sapete, siamo decisamente ottimisti e quando vi è qualcuno, anche in politica, che riesce a valorizzare il bicchiere mezzo pieno, mettendolo su un piedistallo più importante rispetto al bicchiere mezzo vuoto, tendiamo sempre a stappare bottiglie di champagne, anche per provare a riempire l’altra metà del nostro bicchiere. Nell’ultimo periodo, però, confessiamo di aver visto maturare di fronte a noi una forma di ottimismo ancora più dirompente della nostra ed è quella messa a terra dal governo italiano che da mesi mostra sull’economia un ottimismo in grado di stupire anche i più fedeli iscritti al partito dell’ottimismo.
La prima forma di ottimismo fuori dalla realtà è quella che si è manifestata nell’autunno del 2023, quando il governo Meloni, andando contro ogni previsione, aveva stimato per l’anno appena concluso, il 2024, una crescita del pil pari all’uno virgola due. Il 30 gennaio l’Istat pubblicherà una stima precisa della crescita del 2024 ma nella migliore delle ipotesi quel numero sarà circa la metà delle stime del governo: 0,7 per cento, in linea con tutte le previsioni del 2023 (tranne quelle del Mef). Il 30 gennaio, secondo quanto risulta al Foglio, dovrebbe poi emergere anche un’altra verità poco ottimistica, ed è quella che dovrebbe certificare la presenza negli ultimi due trimestri del 2024 di una doppia crescita zero. Il dato poco ottimistico cozza con altri dati più ottimistici giustamente sbandierati in questi mesi dalla premier – dati come le esportazioni record dell’Italia, dati come l’occupazione record dell’Italia, dati come il potere d’acquisto delle famiglie in crescita da sette trimestri consecutivi, dati come lo spread in calo ormai da mesi – ma coincide perfettamente con altri due dati più preoccupanti con i quali il governo non sembra voler fare i conti. Il primo dato riguarda la produzione industriale, in calo ormai da ventidue mesi consecutivi. Il secondo dato riguarda la produttività del lavoro, e anche gli ultimi dati Istat, che si riferiscono al 2023, dicono che la produttività totale di tutti i fattori è calata del 2,5 per cento.
Da ottimisti ci sentiamo di indicare al governo un problema che può riguardare il suo futuro prossimo venturo e quel problema è fin troppo evidente: per quanto si possa essere ottimisti, la narrazione eccessivamente ottimistica dell’economia italiana è un pericolo serio perché deresponsabilizza gravemente la politica su tutto ciò che andrebbe fatto per provare a dare all’Italia i giusti strumenti per migliorare la crescita, per rafforzare la produttività e per aumentare la nostra competitività. L’Italia di Giorgia Meloni, da questo punto di vista, avrebbe bisogno di un tocco di mileismo, con giudizio, senza esagerare, e avrebbe con urgenza bisogno, per dire, di intervenire su alcune riforme a costo zero, come la sburocratizzazione, come la concorrenza, come l’implementazione della famosa transizione 5.0. E se ci si pensa un istante, il rapporto con il mondo produttivo, per Meloni, che dall’inizio del suo mandato è stata vista in una fabbrica raramente, si fatica a ricordare quando è stata l’ultima volta, e che dall’inizio del suo mandato è stata nella città economicamente più importante d’Italia, ovvero, Milano solo per qualche comparsata politica, è stato efficace dal punto di vista della postura del governo, non vi farò del male, non farò niente contro di voi, ma non è stato efficace nella maniera più assoluta nella fase propositiva, della costruzione, della fantasia, della creazione di canali preferenziali per dare alle imprese più possibilità di crescita e in questo senso l’ottimismo di Meloni quando si parla di economia rischia di essere molto pericoloso perché è un ottimismo che scommette sulla rendita, sul non preoccupatevi che con la sola imposizione delle mani andrà tutto bene.
Non sta andando così, e lo diciamo con il dolore degli ottimisti che devono criticare gli ottimisti che eccedono con l’ottimismo, e non sta andando così anche perché l’economia italiana rischia di dover pagare un conto salato per un problema che sembra essere ormai rimosso e che riguarda quello che doveva essere il moltiplicatore del pil, ovvero il Pnrr. L’ottimistica legge di Bilancio del 2023, quella di un anno fa, aveva stimato l’impatto sulla crescita, del Pnrr, di una percentuale vicina al novanta per cento. E per capire le cattive performance del pil italiano evidentemente bisogna partire da qui e da un dato che il Foglio ha ottenuto ieri dal ministero competente. Domanda: quanti sono finora i miliardi ricevuti dall’Europa per il Pnrr? Risposta: 122 miliardi. Seconda domanda: quanti sono i miliardi certificati di spesa, sul Pnrr, quelli cioè non soltanto ricevuti ma anche messi a terra? Risposta: 62 miliardi di spesa, circa il 50 per cento (e al momento, come documentato dalla Fondazione Open Polis, l’Italia sul Pnrr ha registrato 262.431 progetti, meno della metà, circa 118.003, sono stati completati o sono nella fase finale, 132 mila sono stati avviati e 7.800 non sono nemmeno iniziati). L’ottimismo è sacro, ma quando l’ottimismo diventa un veicolo di responsabilizzazione occorre chiedere di cambiare registro e di iniziare a ragionare su cosa dovrebbe fare l’Italia per provare a guardare con ottimismo al futuro senza campare di sola rendita.