Il racconto

Alemanno a Rebibbia, le visite di Rocca e Giachetti. E la voglia di laurearsi di nuovo

Simone Canettieri

L'ex sindaco di Roma in carcere da Capodanno per aver violato gli accordi con il tribunale di Sorveglianza. "Ma sono un tipo tosto". La destra lo dimentica 

“Sai, la politica, mi ha rovinato la politica”. Nel reparto G8 del carcere di Rebibbia, Gianni Alemanno è abbattuto, ma non rassegnato. Lo aiuta la conoscenza delle arti marziali, dice, in particolare del kendo. Tuttavia  sa che potrebbe passare in carcere almeno un anno. Scontando  per intero o quasi la pena – 1 anno e 10 mesi  per finanziamento illecito e traffico di influenze –  che gli era stata alleggerita con un percorso in affidamento ai servizi sociali nella struttura di “Solidarietà e Speranza” di suor Paola, la suora della Lazio diventata famosa ai tempi di “Quelli che il calcio” di Fabio Fazio. Invece dalla notte di Capodanno l’ex sindaco di Roma – già ministro dell’Agricoltura dei governi Berlusconi, storia della destra romana finito a capo di un movimento mezzo vannacciano chiamato Indipendenza – si trova in una cella con cinque  detenuti (in tutto sono in sei, sarebbe per tre: a Rebibbia c’è un sovraffollamento del 140 per cento, e non è nemmeno una delle case circondariali messe peggio, citofonare a Regina Coeli).  La politica finora sembra ricordarsi molto poco di lui. Chi lo ha incontrato lo descrive comunque “su di morale, nonostante tutto”. 


In giorni diversi e per occasioni diverse Alemanno ha ricevuto la visita del deputato di Fratelli d’Italia Marco Cerreto (di cui è stato anche testimone di nozze), del governatore del Lazio Francesco Rocca (a Rebibbia i primi dell’anno per un progetto legato alle case della salute) e del deputato di Italia viva Roberto Giachetti, sensibilissimo da sempre a questo buco nero della nostra società.

 
Alemanno si trova in un braccio dove i detenuti possono trascorrere molte ore fuori dalla cella partecipando ai laboratori: teatro, pizzeria, falegnameria, palestra,  sala lettura. Laureato in ingegneria ambientale, ha chiesto di iscriversi alla facoltà di Scienze della comunicazione dell’università di Tor Vergata. “Mi stanno trattando bene”, ha confessato a Cerreto con un orgoglio e un ghigno  molto alemanniano.   “Sono in generale da sempre molto sensibile al tema, forse anche in controtendenza: i carcerati non sono cittadini di serie B e non vanno dimenticati”, dice Rocca. “Conosco  Gianni dai tempi del Fronte della gioventù. Quando non sempre si riusciva a tornare a casa con le nostre gambe: lui stava a Sommacampagna, io a Colle Oppio”, ricorda ancora il presidente.

 

Possibile che la  sedicente “comunità di destino” della destra italiana si sia dimenticata di Alemanno, tormentato leader di corrente ai tempi di An, finito ormai da dieci anni nel magma dell’inchiesta Mondo di mezzo e da quel momento, tra mille inchieste, condanne e assoluzioni, mai più rientrato nel giro che conta? 
 L’ex moglie è Isabella Rauti, figlia di Pino e sottosegretario alla Difesa. La sorella è Gabriella Alemanno, che è andata a fargli visita in questi giorni, attuale commissario della Consob. L’ex sindaco che voleva chiamare l’esercito davanti a una nevicata che paralizzò Roma è finito a Rebibbia perché avrebbe prodotto documenti falsi per partecipare agli impegni politici del suo nuovo partito, inventandosi, secondo il tribunale di Sorveglianza, riunioni di condominio e quindi di lavoro per via delle consulenze in giro per l’Italia. Non poteva  lasciare la propria abitazione prima delle 7 del mattino e doveva rincasare alle 21. In più è stato intercettato mentre parlava al cellulare con un pregiudicato coinvolto in un’inchiesta per riciclaggio. Il 24 gennaio il tribunale di Sorveglianza deciderà se confermare il carcere o ripristinare l’affidamento ai servizi sociali. Nessuno – a partire dal legale Edoardo Albertario – si fa molte illusioni. E forse il primo a essere consapevole di questo calvario è proprio Alemanno: inseguito dai fantasmi del passato e con un presente tutto da esplorare. “Ma io sono uno tosto”, dice ai pochi che gli fanno visita, prima di ritornare in cella.

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  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.