Il “centro” del revival

Salvatore Merlo

Quell’oscuro rapporto che c’è tra “Techetecheté”, Marcella Bella ed Ernesto Maria Ruffini

Ho fatto centro. Sto al centro delle cose. Ho centrato il punto. Centro è una parola rotonda, di quelle che si pronunciano con soddisfazione, che danno sicurezza, un senso di equilibrio e di moderazione. A noi, per esempio, piace tanto. Ma piace anche ad altri. Dev’essere per questo che in Italia c’è una proliferazione di “centri”: c’è il centro di Tajani, quello di Lupi, quello di Renzi, quello di Calenda, quello di Rotondi, quello di Mastella... e sebbene talvolta esso, il centro appunto, dia l’impressione di avere più ceto politico che voti – insomma di non essere precisamente “centrale” – ebbene questa considerazione non ne intacca minimamente il fascino.

 

Per cui addirittura oggi se ne raccolgono due, di centri,  in contemporanea. Un centro si riunisce a Orvieto, attorno a Paolo Gentiloni, e uno si ritrova a Milano dove – ci dicono – sono attese addirittura seicento persone. Tutte riunite per ascoltare Ernesto Maria Ruffini, già direttore dell’Agenzia delle entrate. Il quale, dicono, “ha  deciso di fondare un partito” che, tra le benedizioni religiose e quelle secolari, da colle Vaticano a colle di Roma, per intendersi, potrà essere presto definito, chissà, un gran “centro” (di relazioni).

 

Coi voti, si vedrà. Anche perché per adesso l’unico centro cattolico che politicamente funziona in Italia è quello di Totò Cuffaro, in Sicilia. Non senza l’altro “centro” dei centri: Raffaele Lombardo. Roba da correre ai ripari.

 

Ma non divaghiamo. Il “centro”, dicevamo, ci sbalordisce sbucando prolifico ora da questo ora da quell’oscuro pertugio della politica italiana, come fa la talpa nei cartoni animati: l’aspetti con la vanga in mano davanti a un buco, spunta da un altro. Cambi buco, ed eccolo che rispunta da quello lasciato incustodito. Né sinistra né destra, ma prigioniero del suo ombelico, consegnato alla lenta funzione gastrica che è il “centro” del corpo umano in un mondo che va  avanti con gli estremi: i piedi per scappare e la testa per pensare. Tanto che alla fine ci si chiede se questa moda del centro, che rimanda all’Italia democristiana del proporzionale e delle preferenze, non abbia qualche relazione con i tanti libri in uscita su Craxi, con la sinistra che cerca un nuovo Prodi, con Marcella Bella che torna a Sanremo e con la Rai che ormai fa ascolti soltanto con “Techetecheté”. Un insieme di cose che non è moda vintage ma revival, una parola imparentata con dissotterramenti, zombi e fantasmi. Roba da toccare ferro.

  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.