Il racconto

La Corte boccia il referendum sull'autonomia, trionfa Zaia (e in parte Meloni). Problema per Calderoli e Salvini

Carmelo Caruso

La Corte demolisce il quesito (poco chiaro) e lo dichiara inammissibile. Anche Landini, senza il quesito sull'autonomia, è perdente. Salvini non esulta e ora il Veneto vuole le competenze

Roma. Luca Zaia great again, l’opposizione presa a  schiaffi. Il referendum sull’autonomia differenziata è ritenuto inammissibile, la legge deve essere modificata ma la premier, in America da Trump,  può sorridere: se la vedrà il leghista Calderoli. E’ il momento Doge, il momento Zaia: il Veneto adesso  vuole tutto. La Corte costituzionale boccia la richiesta  perché, “l’oggetto e le finalità del quesito non risultano chiari”. Significa, e lo spiega sempre la Corte, nel comunicato, “che viene pregiudicata la scelta consapevole dell’elettore” e il “referendum verrebbe ad avere una portata che ne altera la funzione”. Vengono ritenuti ammissibili gli altri quesiti che riguardano cittadinanza, Jobs act, indennità di licenziamento. La sfida nord-sud, immaginata dal Pd e dal M5s, non ci sarà ed è beffato anche Maurizio   Landini, il segretario della Cgil, che ne farà una battaglia perdente, (senza l’autonomia) tra il  suo massimalismo e il riformismo di  Renzi. Salvini non vince. Anche la sorte lo sabota. E’ un complotto differenziato.


Aveva dunque ragione Calderoli, che già di mattina, ai leghisti confidava: “Vedrete, la Corte boccerà il referendum. Non si farà”. E’ un problema, serio, per lui. A tarda sera, dopo una giornata di attesa, di banchetti, organizzati dai referendari, la Corte composta da  11 giudici (oggi si elegge il nuovo presidente e sarà Giovanni Amoroso) stabilisce che il quesito sull’autonomia (riforma già svuotata in una precedente sentenza) è un pasticcio. Il professore di Diritto, ex deputato del Pd, Stefano Ceccanti, aveva avvisato il suo partito ma è rimasto inascoltato. Una Caporetto. Chi vince? Quando la sentenza viene diffusa intervengono i governatori della Lega eccetto Salvini che prende minuti, attende. Per Zaia, l’unico  governatore che ha mandato un legale, un giurista (Mario Bertolissi) di fronte alla Consulta, per difendere le ragioni della riforma, “la sentenza chiarisce ogni dubbio sul percorso dell’autonomia. Avanti tutta”. Significa che al Veneto non basta la sentenza, vuole ora le competenze richieste, portare avanti il negoziato con il governo centrale, tanto da fare  aggiungere, sempre a Zaia: “Ora è necessario premere il piede sull’acceleratore. Le nostre aspirazioni erano in sintonia con la Carta”. Sono le stesse parole di Attilio Fontana, il governatore lombardo. Salvini che dice la sua su tutto, inspiegabilmente, tace fino a chiusura dei giornali. Le regioni del nord premono su Meloni, ma la riforma Calderoli, va interamente riscritta, precisata a partire dai Lep. Chi lo dice che per Salvini sia preferibile questa soluzione, questa sentenza? I parlamentari della Lega accettano l’esito della Consulta, festeggiano, anche perché la strategia, nel caso  in cui il referendum fosse stato ritenuto ammissibile, era dire: cari leghisti, non votate. La strategia era allearsi con gli astenuti, fare saltare il quorum. Ma era pur sempre una battaglia. Il referendum, agli occhi di Salvini, aveva  qualcosa di buono: serviva a mobilitare la Lega, a rilanciare una riforma identitaria, riforma di cui adesso s’impossessa solo Zaia, il solo che ci ha creduto fino alla fine. Anche per FdI, l’eventuale referendum, dice Giovanni Donzelli, “non avrebbe rappresentato un problema. Avremo chiesto agli elettori di decidere. Una cosa è certa, noi non facciamo come i referendum di Renzi. Il destino del governo non è collegato a quello delle riforme. Le riforme si sottopongono al voto, il governo è un’altra cosa”. Il Pd è il partito che ne esce peggio. Francesco Boccia, capogruppo al Senato, è dell’opinione che non è finita e che in Aula FdI e Lega finiranno per scontrarsi, perché Meloni non vuole spaccare il paese. FdI che punta invece a guidare Lombardia e Veneto pensa: “E’ il momento di iniziare a dire che l’autonomia non è solo della Lega, ma anche una nostra riforma”. La posizione del Pd, del governatore toscano, Eugenio Giani, degli europarlamentari, come Matteo Ricci, è che “la riforma era già stata smontata dalla Corte. Serve valorizzare la straordinaria mobilitazione di questi mesi”. Al posto della scheda conserveranno la foto ricordo, le firme raccolte come Polaroid.

 

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  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio