Guerra commerciale alle porte
"Trump sui dazi come Urbano II alle crociate”. Parla Oscar Farinetti
"Se Donald Trump facesse davvero quello che ha detto, in un paese come gli Stati Uniti, dove l’Italia esporta di tutto, sarebbe un bel casino", dice il fondatore di Eataly. "Spero il suo discorso sia stato l’ultimo atto della campagna elettorale, non il primo atto del suo mandato”
Guerra commerciale transatlantica? “Spero davvero di non trovarmi davanti a uno scenario del genere, e confido nella ragionevolezza dei tecnici che, si spera, consiglieranno al neopresidente americano Donald Trump una linea più moderata delle parole pronunciate nel suo discorso di insediamento”, dice Oscar Farinetti, fondatore di Eataly, ora in libreria con “Hai mangiato? Racconti per prendersi cura del genere umano” (Slow Food ed.), volume in cui si evidenzia la virtù del non-massimalismo e la capacità di saper gestire le imperfezioni. Non è tranquillo, Farinetti, davanti alla prospettiva che diventi a breve realtà lo scenario evocato da Trump — un Trump che due giorni fa, a Capitol Hill, ha salutato con toni enfatici una fantomatica nuova “età dell’oro” americana, ha promesso di cambiare nome al Golfo del Messico, di riprendersi il canale di Panama e di ribaltare gli Usa da cima a fondo, mettendo mano al wokismo come all’estrazione intensiva del petrolio, e passando per i clandestini da rimpatriare o ricacciare oltreconfine. Non ultimo, Trump ha promesso dazi dal 10 al 20 per cento su tutto ciò che entra in America e del 60 per cento per quanto riguarda le merci provenienti dalla Cina (25 per cento da Messico e Canada). E anche se c’è chi pensa che gli economisti vicini a Trump stiano studiando il modo di convincerlo a limitare e dosare gli interventi in materia di scambi commerciali, per evitare rischi di destabilizzazione, il mondo imprenditoriale, al di qua dell’Oceano, si domanda con apprensione che cosa succederà (tanto che oggi la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen arriverà a Davos, per il World economic forum, con una strategia preventiva-difensiva in tasca: moltiplicare gli accordi di libero scambio in settori chiave in molte altre aree dell’emisfero). “Certo, se Donald Trump facesse davvero quello che ha detto”, dice Farinetti, “in un paese come gli Stati Uniti, dove l’Italia esporta di tutto, beh, sarebbe per così dire un bel casino. E non soltanto per la mia azienda, ovviamente, che negli Usa ha undici cantine, ma per tutti gli imprenditori che da anni hanno scambi ben avviati e che hanno sempre contato sul fatto che gli americani adorano l’Italia e i prodotti italiani, vista anche la lunga storia di immigrazione dal nostro paese verso gli Usa”. Finora, dice Farinetti, “in un quadro in cui i dazi praticamente sono assenti, l’esportazione di vino negli Stati Uniti, per esempio, è andata benissimo, anche se comunque poi sul prezzo della bottiglia gravano molti costi – ma nel processo di distribuzione, non in ingresso. Immaginiamo quanto aumenterebbe il prezzo alla bottiglia se il neopresidente Trump davvero applicasse dazi dal 10 al 20 per cento ai prodotti in arrivo. Sarebbe un peccato per i rapporti commerciali tra i due paesi, e potrebbe scatenarsi una guerra vera e propria, e proprio a partire da un paese che è stato culla di democrazia”. E quindi il fondatore di Eataly si augura “che qualcuno spieghi i possibili effetti nefasti di un provvedimento simile sugli scambi e sull’inflazione a questo Donald Trump in versione Urbano II, il papa che ha lanciato la prima crociata: perché questo mi è sembrato, l’altra sera, il presidente degli Stati Uniti, un Urbano II. Sappiamo per certo che le conseguenze di una decisione del genere sarebbero molto negative per noi, anche se il cambio dollaro-euro ora potrebbe aiutarci nell’export. Insomma: spero il discorso di Trump sia stato l’ultimo atto della campagna elettorale, non il primo atto del suo mandato”.