Luca Zaia (Ansa)

La strategia veneta di Meloni: veto sulla lista Zaia per sgonfiare la Lega

Francesco Gottardi

La sfida della premier: "La Lega vuole avere ragione? Diamogliela, così poi si andrà a schiantare". Questa fiducia poggia anche sugli ultimi sondaggi in cui Salvini non è nemmeno sul podio

Bando ai ruggiti, agli attacchi, alle autonomiste euforie. In Veneto, in casa Liga, spunta una nuova preoccupazione: finire “de-zaiati”. Non tanto in relazione al governatore, la cui impossibilità a ricandidarsi è già messa in preventivo. Ma sulla fantomatica lista Zaia, che farebbe da ombrello al suo ultradecennale consenso. Un serbatoio di voti, amministratori, progetti per il territorio in continuità con le ultime tre legislature: il piatto forte che gli uomini attorno al Doge stanno preparando per le prossime elezioni, sicuri di sbaragliare così ogni concorrenza interna – FdI, Forza Italia, ma pure il Carroccio salviniano. Proprio per questo, tale pandemonio non s’ha da fare. È il diktat che dietro le quinte starebbe montando fra i meloniani. A partire, si dice, dalle indicazioni di Giorgia stessa. Passi la rabbia dei veneti. Passi perfino un candidato governatore leghista (facendo ingoiare un rospo non da poco ai Fratelli nel nordest). Ma la lista Zaia, giammai.


È un ragionamento politico non banale, per ora sottovalutato dai vertici di Via Bellerio. Salvini, all’ultimo consiglio federale, ha dovuto blindare il Doge: il Veneto ai veneti. Alla Liga. Stop. Tant’è bastato per ridare slancio al partito, ricompattato su più livelli. Il problema è che il vicepremier è convinto di cavarsela con un bel nome. Alle urne vorrebbe Alberto Stefani, suo fidato segretario regionale, ultimamente battagliero. Si temporeggia, all’interno della coalizione: la valanga leghista sembra irrefrenabile, spada sguainata al grido “San Marco!” (plurimo ipse dixit di Alberto Villanova, capogruppo di Zaia). E i meloniani in Veneto sono effettivamente in rotta, smarriti, presi alla sprovvista. Ma i meloniani a Roma invece no. “La Lega vuole la regione? Diamogliela”, è la sfida che comincia a emergere dalle parti di Giorgia. “Così poi si andrà a schiantare”.

La scommessa è semplice: numeri alla mano – pochi, alle ultime elezioni – il Carroccio non può pretendere tutto. Già cedere sul candidato è una gran mano tesa. Ma la squadra di governo sarà targata FdI. Senza terzi incomodo, senza lista Zaia. A queste condizioni, l’en plein leghista sarebbe tutt’altro che ovvio, perché peserebbe più il partito del nome: che sia Stefani o Mario Conte,  sindaco di Treviso, nessuno ha il tocco magico né il personalissimo allure del governatore uscente. Di Zaia ce n’è uno. E a sbagliare la scelta del candidato, spiegano i militanti, il partito si scaverebbe la fossa da solo. Sottoponendosi a un rischio mortale: come potrebbe guardare in faccia i veneti, finendo dietro a FdI pure alle regionali, dopo aver tanto pestato i piedi?


La fiducia meloniana poggia anche sugli ultimi, eloquenti sondaggi. Oggi nella sua terra – dati Demos – Zaia è ancora apprezzato dal 73 per cento dei cittadini. Meloni è seconda col 54. Salvini manco sul podio: racimola appena il 29, a braccetto con Conte, un punto sopra Calenda, dietro Tajani, Bonino e Schlein. Una Caporetto. Così il pressing dei leghisti veneti aumenta. Non solo per il candidato, ma anche per porre la lista Zaia come altro incontestabile paletto. Altrimenti la minaccia è detta e ridetta: “Corriamo da soli”. Anche perché il governatore non è tipo da sgomitare per le battaglie – o le campagne elettorali – altrui. Intanto continua a prendere tempo, a spingere per il rinvio del voto al 2026 a tutela sua e della sua squadra (che in gran parte non verrebbe riconfermata). Ma la vera si svolta si avrà soltanto dopo il congresso federale leghista, nei prossimi due mesi: la Lega tra nord e sud è spaccata in due, a Salvini l’ala veneta non piace, ma sa bene che senza il suo appoggio cascherebbe tutto. E se accetterà la lista Zaia, poi dovrà spiegarlo a Giorgia. In ogni caso, auguri.

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