Il Tempo del Futurismo

Zang Tumb e Gentiloni. La mostra sul Futurismo di Sangiuliano celebrata dalla sinistra

Ginevra Leganza

Paolo Gentiloni, Carlo Calenda, Graziano Delrio, Maria Elena Boschi in visita alla dibattuta mostra sul Futurismo. Sul profilo Instagram della Gnam sfilano i volti d'opposizione innamorati di Marinetti 

C’è Paolo Gentiloni, in golfino con zip, sullo sfondo d’un idrocorsa. C’è Graziano Delrio, emozionato, che invita il popolo social a non coltivare vedute anguste, ad affrancarsi dai pregiudizi, e dunque a varcarlo – sia da destra sia da sinistra – quel portone in viale Belle Arti. E poi c’è lei, soprattutto lei, Maria Elena Boschi, che sui lampi di Luigi Russolo – davvero più bella, lei sì, della Nike di Samotracia – dice che “l’arte è di tutti, è per tutti”, che “non servono bandierine”, che “non bisogna mettere il cappello politico sopra l’arte”. Ed ecco. A un mese e mezzo dall’inaugurazione della mostra “Il Tempo del Futurismo”, è oramai chiaro che si scrive Gnam – Galleria nazionale d’arte moderna e contemporanea – ma si legge Gnam: Galleria Nazionale della Malizia. Perché è vero che il mondo è vario. È vero che nel mondo, e nel Novecento, ci furono futuristi di sinistra, futuristi anarchici, futuristi bolscevichi. Vero, poi, che Filippo Tommaso Marinetti quasi quasi piaceva ad Antonio Gramsci. Epperò certo ci vuole malizia – e la Gnam ne ha da vendere – per esporre, su Instagram, cotanti volti che, da sinistra, plaudono (in forma di reels) alla vexata mostra di destra.

Alla mostra sul futurismo agognata dall’ex ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano – secondo alcuni è la sua rivincita – e poi benedetta dal successore Alessandro Giuli che, aprendo le danze a inizio dicembre, ebbe a dire: “Benvenuti alla festa della rivoluzione!”. Una festa, questa, che il presidente della Commissione Cultura alla Camera, Federico Mollicone, avrebbe voluto “permanente”. Una festa che ha sollecitato, da principio, le inchieste di Sigfrido Ranucci. E poi, dopo Report, ha sollecitato i reporter del New York Times convinti che i cinquecento fra quadri, manoscritti, installazioni, automobili, motociclette, idrovolanti fossero un modo per “rafforzare la cultura di destra”. E ancora, appena dopo, quelli del País, che nelle ventisei sale e nei quattromila metri quadrati (in pratica metà galleria) hanno letto “un tentativo del governo Meloni di dimostrare il proprio impegno nella cultura” (sempre di destra). 
Ci vuole dunque malizia per mettere in fila, uno dopo l’altro – come nella pensata del social media manager della Gnam – i volti d’opposizione pacificati ai piedi del Macchi-Castoldi M.C.72. Poi sedotti dalla “voce originale” di Marinetti. In visita sabbatica, tra Giacomo Balla e Fortunato Depero, in viale Belle Arti. In questa selezione che soddisfa, tra gli altri, il critico d’arte Duccio Trombadori giacché “riassume in modo sintetico ed efficace – dice – quello che è stato il Futurismo” e arriva, finalmente, “anche al grande pubblico”, non solo alla critica. E che poi soddisfa, ancora, la fondatrice della Galleria Museo Foror, Giovanna Caruso Fendi che, alla Gnam, si sente un po’ come “a Londra o a Parigi”. 


C’è voluta sottigliezza ma adesso, tornando al Futurismo d’unità nazionale, bisogna pure notificare il plauso di Carlo Calenda. Per il quale del social media manager Gnam non c’è stato bisogno. Niente clippini per il leader di Azione. Il quale – non meno entusiasta di Gentiloni, Boschi e Delrio – s’è auto prodotto su Instagram come sempre. E ha quindi postato, direttamente sul suo account, nei giorni vicini al Natale, gli scatti in serie con pargoli e assertiva didascalia: “Il Futurismo ha affrontato per primo il tema della tecnica e dell’uomo”. Al punto che le polemiche – ha aggiunto subito dopo – “sono incomprensibili”. E sulla mostra: “Andate a vederla, merita davvero”. Alternando così foto a colori ai post in bianco e nero con l’occhialone da vista che, più che Londra o Parigi, fa molto Manhattan (Woody Calenda Allen). 


Ed ecco. È vero che nel mondo, e nel Novecento, c’è stato di tutto: persino i futuristi di sinistra, anarchici, bolscevichi. Epperò c’è voluta una certa arguzia, oggi – o forse la mostra merita davvero – per aver messo insieme, dopo Osho e Mollicone, Maria Elena Boschi e Carlo Calenda sull’Instagram della Gnam. Sarà Zang Tumb Tumb il nuovo Canto degli italiani?