Foto Getty

L'arrivo del nazismo

Smantellare una democrazia in 1 mese, 3 settimane, 2 giorni, 8 ore e 40 minuti: Hitler nel 1933

Fra coalizioni e nuove “strane” elezioni con l'affluenza più grande di sempre, il Führer riuscì quasi a distruggere una repubblica costituzionale usando gli stessi strumenti costituzionali. Un'ascesa talmente senza intoppi da lasciare stupiti gli stessi nazisti

Novantadue anni fa, il 30 gennaio del 1933, Adolf Hitler fu nominato 15esimo cancelliere della Repubblica di Weimar e, scrive lo storico del nazismo Timothy W. Ryback sull’Atlantic, “in una delle più sconvolgenti trasformazioni politiche nella storia della democrazia, Hitler quasi distrusse una repubblica costituzionale usando strumenti costituzionali”. Lo fece in meno di due mesi, anzi, scrive Ryback “in un mese, tre settimane, due giorni, otto ore e 40 minuti: i minuti, come vedremo, contano”.

Dopo il fallimento del putch del 1923, Hitler aveva rinunciato a ribaltare Weimar con la violenza, ma non aveva rinunciato al suo piano di distruggere il sistema democratico del paese, come aveva ribadito nel giuramento di legalità che fece nel settembre del 1930 davanti alla Corte costituzionale: invocando il primo articolo della Costituzione, che stabiliva che lo stato era un’espressione della volontà del popolo, Hitler informò la Corte che una volta raggiunto il potere con strumenti legittimi intendeva modellare il suo governo nel modo che gli sembrava adatto. Attraverso strumenti costituzionali?, gli chiese un giudice. Jawohl, rispose Hitler. 

Hitler si era fatto un’esperienza all'opposizione, aveva fatto ostruzionismo e aveva forzato il presidente a dissolvere il Reichstag per due volte e chiamare nuove elezioni. Per questo, come prima cosa, voleva che nessuno potesse fargli quel che aveva fatto lui, ma nonostante il Partito nazionalsocialista fosse passato da 12 a 230 seggi dal 1929 al 1932, era lontano dalla maggioranza (aveva il 37 per cento dei seggi).

Assieme ad altri partiti coalizzati, il Partito nazista arrivava quasi al 51 per cento, ancora una maggioranza fragile. Aveva bisogno di una “legge di rafforzamento”, che smantellasse la separazione dei poteri, desse al governo la possibilità di passare leggi senza passare dal Parlamento e di governare per decreto, ma ci volevano i due terzi dei voti del Parlamento. Con i Socialdemocratici e i Comunisti che controllavano il 38 per cento del Parlamento, i due terzi dei voti erano impossibili da raggiungere: l’unico modo era bandire il Partito comunista. Ma questo avrebbe causato uno sciopero da parte dei sei milioni di comunisti tedeschi, e allora Hitler chiese: cosa fa più danno all’economia, nuove elezioni o uno sciopero generale? Concluse che fosse meglio votare. Non le voleva nessuno, quelle elezioni, Ryback racconta i dettagli delle discussioni e anche il fatto che la deriva autocratica della Germania non fosse inevitabile, ma che anzi fu il frutto di un opportunismo politico che nessuno si pose il problema di controllare. Lo storico cita il titolo del New York Times il giorno successivo la nomina di Hitler a cancelliere: “Hitler mette da parte l’obiettivo di essere un dittatore”.

Il racconto di quei primi giorni di governo, in preparazione alle elezioni di marzo che infine Hitler aveva ottenuto è costellato di intimidazioni, di accentramento del potere, di creazione di forze di polizia dedicate a soffocare ogni forma di opposizione e arriva naturalmente fino all’incendio del Reichstag, il 27 febbraio del 1933, di cui furono considerati colpevoli dei comunisti e che portò quindi all’obiettivo iniziale, bandire il principale partito dell’opposizione. Il ministro senza portafoglio Hermann Göring aveva già cominciato ad arrestare “sospetti eversori”, ma fino a quel momento i giudici li rilasciavano: dopo il decreto seguito all’incendio, rimanevano in galera. Le elezioni si tennero una settimana dopo il fuoco del Reichstag, il 5 marzo, e il New York Times scrisse: “Non ci sono forse mai state elezioni più strane di queste in un paese civilizzato”.

Ci fu l’affluenza più grande di sempre, i nazionalsocialisti presero il 44 per cento, non il 51 promesso da Hitler, ma abbastanza per cominciare a reprimere l’opposizione, costringere all’esilio i leader, chiudere i giornali, aprire i primi campi di concentramento. Il 23 marzo, il Parlamento discusse la “Legge per rimediare al disagio del popolo e del Reich”, Hitler aveva già l’uniforme marrone e la svastica al braccio. Come va a finire la storia lo sappiamo, ma Ryback conclude il suo articolo citando le parole che disse quel giorno Joseph Goebbles, che non aveva mai nascosto lo stupore nei confronti dell’ascesa straordinaria e senza troppi intoppi del Partito nazista: “Il buffo della democrazia è che fornisce ai suoi nemici mortali gli strumenti per la sua stessa distruzione”.