L'intervista
Vittorio Feltri: "Giù le mani da Daniela Santanché, e basta con i finti imbarazzi in FdI"
"Il rinvio a giudizio non è una sentenza", sostiene il direttore editoriale del Giornale in difesa della ministra del Turismo
“Un rinvio a giudizio non è una sentenza. Un rinvio a giudizio è un rinvio a giudizio. E poi…”. Cosa? “Poi stiamo parlando del reato di falso in bilancio. Suvvia”. Dunque, di cosa stiamo parlando? “Del nulla”. Nientemeno. “Il falso in bilancio è un reato del cazzo. E’ una cretinata. E fino a prova contraria, comunque, col rinvio a giudizio per Daniela Santanché non è cambiato niente”. Dice così Vittorio Feltri a proposito del caso-Santanché. Grana presto risolta, dal direttore editoriale del Giornale e fondatore di Libero, tra risate e smisurata franchezza. Ironia e parresia inimitabile.
“Un rinvio a giudizio – ribadisce Feltri – non è determinante, e quindi non capisco perché chiedano a Santanché di dimettersi”. In effetti, direttore, anche nel suo partito, Fratelli d’Italia, c’è chi la spinge a farsi da parte. La ministra del Turismo, che dal 2022 si difende dalle accuse sul caso Visibilia, infervora l’opposizione. “Giorgia Meloni continua a nascondersi”, dice Elly Schlein. Eppure, allo stesso tempo, Santanché rabbuia Meloni e i suoi. I parlamentari di FdI sarebbero imbarazzati per il comportamento della Pitonessa. Tu che ne pensi? “Imbarazzati? Che scemenza. Ma come si fa a non capire che queste polemiche, e questi finti imbarazzi, danno benzina agli sproloqui dell’opposizione?”.
Per l’opposizione è l’ennesimo caso di una classe dirigente, quella di FdI, non all’altezza. La presidente del Consiglio è in giro per il mondo, dicono – ora da von der Leyen, ora da Trump – e i suoi ministri che fanno? La mettono in difficoltà. Quasi fossero loro – ministri, parlamentari, alleati – i veri dazi di Meloni. Dunque, direttore, Santanché è il nuovo dazio della premier? “Ma per carità. E’ il solito ritornello”. Pura fantasia? “No. Semmai è assenza di fantasia. La classe dirigente scarsa è una solfa che si ripete e che si alterna alla cantilena sul fascismo. Pensiamo pure a quel riccone americano che ha fatto il saluto romano…”. Elon Musk? “Ecco. Anche quel riccone hanno fatto diventare fascista”. O nazista. Il gesto di Musk, invece, non c’entrava nulla. Giusto? Il suo referente in Italia, Andrea Stroppa, l’ha collegato alla sindrome dell’autismo di cui soffrirebbe il tycoon. Qualcun altro l’ha accostato alla celebre scena del Dottor Stranamore di Kubrick. “Sciocchezze. Era il saluto romano di Giulio Cesare. E mi pare evidente”. Fattuale? “Fattuale”.
“Semmai era un gesto – continua Feltri – che indicava la volontà di lanciare il cuore oltre l’ostacolo”. Ma direttore, tornando adesso a Santanché, saranno certo polemiche trite. E tuttavia non è una circostanza inedita. La ministra del Turismo dice che non si dimetterà sua sponte ma solo su espresso invito della presidente del Consiglio. Trama, questa, che ricorda il caso di Gennaro Sangiuliano. Come dire: cambiano i personaggi ma lo svolgimento è lo stesso. “Lo svolgimento non è lo stesso: nel caso dell’ex ministro della Cultura, che io conosco bene, avendolo assunto in tempi antichi al Giornale, non c’era un rinvio a giudizio. Non c’era nulla. C’era, al limite, l’incapacità di maneggiare gli affari femminili. Gestione per la quale bisogna essere un poco esperti, altrimenti si presta il fianco alla schiuma volgare della stampa che ti perseguita. Anche per invidia. A maggior ragione se sei uno di loro, se sei un giornalista. Di fondo ai due casi, semmai, c’è la confusione tra questioni comportamentali, giudizi morali e beghe giudiziarie”. Cose che si assestano su piani separati? “Sicuramente. Io penso che fino al giorno della sentenza Santanché dovrebbe essere lasciata in pace”.