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30 anni dopo

Briguglio (ex Msi, An, Fli): “Meloni governa anche grazie a Fini. Ma ora serve una nuova Bad Godesberg”

Ruggiero Montenegro

"Cosa resta della svolta di Fiuggi? Rappresenta una soglia irreversibile, non si può tornare indietro, La premier ha raccolto l'eredità di Fini, che è una figura ineludibile. Ma ora i tempi sono maturi per andare oltre e offrire una nuova cornice alla destra", dice l'ex parlamentare  

“La svolta di Fiuggi rappresenta una soglia irreversibile, nessuna destra può più tornare indietro”. E Giorgia Meloni? “Anche la premier nasce da quell’evoluzione, dalle tesi di Gianfranco Fini. E forse ora i tempi sono maturi per andare ancora oltre”, dice al Foglio Carmelo Briguglio. Quel 27 gennaio del 1995 anche lui era a Fiuggi. La storia della destra italiana, d’altra parte, la conosce bene. Ne è stato militante e protagonista, come deputato all’Assemblea siciliana con l’Msi e poi a Roma con Alleanza nazionale, Pdl e di Futuro e libertà, dopo lo strappo di Fini. “Ma resto un giornalista, soprattutto oggi”.

Briguglio, dopo trent’anni cosa è rimasto di quello storico Congresso? “E’ stato un punto di non ritorno, lo ripeto. Fini è una figura ineludibile per la destra italiana. E oggi la svolta di Fiuggi rappresenta anche una cassetta degli attrezzi contro quei tentativi di diabolisation di cui Meloni e FdI sono bersaglio”, ci risponde. Briguglio è infatti convinto che la cesura operata da  Fini con un certo mondo nostalgico, fascista e post fascista, sia stata netta e definitiva. “Le stesse parole usate ieri dalle premier per commemorare la Shoah, condannando il nazismo e il fascismo, rappresentano dichiarazioni impegnative. E arrivano dopo quelle pronunciate su Matteotti  e quelle con cui Meloni stigmatizzava gli atteggiamenti antisemiti di alcuni giovani del suo partito. Tutto questo – continua Briguglio – è eredità di Fiuggi, delle idee di Fini e del suo viaggio a Gerusalemme. Non è un caso se oggi i problemi sull’antisemitismo riguardino il mondo progressista, da cui le comunità ebraiche hanno in un certo senso divorziato”.

 

Non c’è però solo questo aspetto. Secondo Briguglio il lascito di Fiuggi è più ampio. “Credo che un risultato ancora più importante, e di cui oggi vediamo chiaramente gli effetti, sia il posizionamento internazionale: europeista e occidentale. La guerra in Ucraina, la vicenda di Israele lo dimostrano. Non dimentichiamoci che Fini è stato un buon ministro degli Esteri. Se oggi la destra è credibile lo deve anche a lui”. Eppure sembrerebbe che la leader della destra italiana sia un po’ timida rispetto a questa eredità, la figura di Fini non è di quelle a cui Meloni fa riferimento nei suoi ragionamenti. “Certo sui diritti civili, per esempio, la sensibilità è diversa. Ma io c’ero a Fiuggi e c’era anche una giovane Meloni: la premier non ha mai contraddetto quella svolta. Potrebbe parlarne di più? Forse sì, ma sono passati tanti anni e sono cambiati pure i tempi. Quel che conta è la sostanza e in concreto – sostiene Briguglio – Meloni ha raccolto l’eredità, l’ha sviluppata fino a raggiungere il punto di massimo riconoscimento per la destra italiana”.

Resta comunque la sensazione che Fini sia stato relegato un po’ ai margini dai conservatori che oggi governano l’Italia. “Io sono convinto che Fini non meriti di essere un esule in patria, non si può cacciare dalla storia della destra italiana”, dice Briguglio senza tuttavia nasconde gli errori dell’ex presidente della Camera. “Io distinguo sempre tra il Fini di Alleanza nazionale e quello di Futuro e libertà. L’ultima fase di Fli è stata ingenua”.

Che intende? “Quello strappo fu un atto di temerarietà contro Berlusconi. Non si lancia una comunità politica, di quel tipo e con quelle idee, contro l’uomo politicamente e mediaticamente più forte d’Italia.
E per di più senza alleanze. In quella occasione ci siamo aperti la camicia e ci siamo fatti sparare nel petto, volevamo combattere i carri armati con la fionda”,  è la ricostruzione, un po’ amara, di Briguglio. Che proprio alla rottura con il Pdl ha dedicato pochi mesi fa un saggio (“Quella meteora a destra. Fini contro Fini: il caso Futuro e Libertà al tempo di Giorgia”. Casa editrice Kimmerik) nel quale ripercorre la crisi del 2010 e arriva fino ai giorni nostri. Pur senza grossi dibattici interni, senza congressi o svolte storiche, Meloni sta provando a fare quello che non riuscì a Fini. Ci sta riuscendo? “Tante cose sono state fatte da Meloni e forse non tutte sono state spiegate. Per questo credo che Giorgia, insieme a FdI, farebbe bene a fare una nuova Bad Godesberg, se non vogliamo dire proprio un’altra Fiuggi. Dopo trent’anni c’è bisogno di un altro momento solenne”. Per fare cosa? “Non per sottoporsi a ulteriori esami del passato, per la sinistra gli esami alla destra non finiscono mai, ma per dare una cornice complessiva e di community agli interventi e alle dichiarazioni impegnative di questa leader-premier della destra contemporanea. Affinché tutto questo diventi un patrimonio di tesi e valori, uno strumento per andare avanti. Sarebbe utile alla destra e a tutta la democrazia italiana”.

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