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L'editoriale del direttore

Magistrati che esondano, nell'irresponsabilità. Non è un complotto, è un disegno

Claudio Cerasa

Sul caso Almasri non c’è da scegliere tra Lo Voi e Meloni. Il punto è scegliere se aprire gli occhi di fronte a una magistratura irresponsabile che usa i pieni poteri per sostituirsi alla politica e che anche per questo difende lo status quo 

Il governo Meloni, sul caso degli avvisi di garanzia inviati dalla procura di Roma al Tribunale dei ministri, sbaglia gravemente a evocare la presenza di “un complotto” da parte della magistratura. Il complotto, per definizione, è una macchinazione losca, segreta, non trasparente e gli autori del complotto tendono sempre a non voler lasciare in giro alcuno zampino, per provare a nascondere le proprie efficaci macchinazioni. Il caso Almasri, se possibile, è invece la dimostrazione plastica della presenza, nel confronto tra potere giudiziario e potere legislativo e anche esecutivo, dell’esatto opposto di una cospirazione. E più che l’evocazione di un complotto, in questa storia, sarebbe preferibile forse evocare la presenza di qualcosa di ancora più minaccioso: un disegno preciso, cristallino, trasparente, alla luce del sole, perfettamente coerente con la storia recente del nostro paese.

 

              

 

Il disegno a cui facciamo riferimento è quello che ha rivendicato involontariamente l’Anm nelle ore immediatamente successive alla diffusione della notizia dell’indagine a carico di mezzo governo. E lo ha fatto nello stesso istante in cui il sindacato dei magistrati ha sostenuto che quello della procura di Roma era un “atto dovuto”. In quel passaggio, vi è l’essenza di una precisa operazione portata avanti in questi anni, senza vergogna, da un pezzo importante della magistratura italiana, che con una certa disinvoltura ha cercato di spacciare come inevitabile un fenomeno che al contrario era perfettamente evitabile: la trasformazione dell’Italia in una Repubblica fondata sull’esondazione delle procure. Una Repubblica all’interno della quale l’azione discrezionale dei pubblici ministeri viene spacciata come se fosse un’azione ineluttabile semplicemente dettata da una tirannia chiamata obbligatorietà dell’azione penale.

Una Repubblica all’interno della quale la discrezionalità assoluta generata dall’ampliamento progressivo dei poteri concessi al pubblico ministero viene spacciata per docilissima terzietà. Non è un complotto, quello messo in scena in queste ore sul caso Almasri, ma è un disegno, non sappiamo dire se intelligente, che fa leva su un grande tradimento costituzionale messo in campo dalla magistratura militante. E parliamo di un tradimento costituzionale non in modo casuale.  

Perché negli ultimi anni la Repubblica fondata sullo strapotere delle procure, mentre utilizzava in modo strumentale la difesa della Costituzione per giustificare le proprie esondazioni, ha scelto in modo deliberato, e  nell’indifferenza tragica del potere legislativo, di calpestare ogni giorno la stessa Costituzione che teoricamente la magistratura organizzata voleva difendere. Lo ha fatto in tutte le occasioni in cui, esondando, non ha rispettato l’articolo (il 15) che tutela la libertà e la segretezza della corrispondenza e delle comunicazioni. Lo ha fatto, naturalmente, in tutte le occasioni in cui, esondando, ha scelto di non rispettare un articolo (il 27) che prevede che ogni indagato sia innocente fino a sentenza definitiva. Lo ha fatto, ancora, ogni qual volta ha scelto di non rispettare un articolo (il 111) che prevede che ogni processo si debba svolgere nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, all’interno di un percorso che garantisca alla persona accusata di un reato di essere informata riservatamente della natura e dei motivi dell’accusa.

E la figura del pm che forza la Costituzione in nome della Costituzione ha contribuito a rafforzare quella che costituisce la vera anomalia dei nostri tempi: la presenza di un magistrato che sceglie di non occuparsi più solo della difesa della legalità ma che sceglie di occuparsi anche della difesa della moralità del paese, facendo leva sulla possibilità di essere contemporaneamente dotato di pieni poteri (con i quali può esercitare una forma di supplenza della politica) ma anche di essere del tutto irresponsabile delle proprie azioni (non saremo certo noi così spietati da dirvi che le valutazioni di carriera sui magistrati al Csm sono positive per il 99,6 per cento dei casi). In questo senso, per tornare al caso Almasri, il punto non è dunque scegliere da che parte stare tra il dottor Lo Voi e la signora Meloni. Il punto è scegliere se chiudere o no gli occhi di fronte alla presenza costante nella storia del nostro paese di una magistratura politicizzata, incapace di ribellarsi al potere correntizio, che si è autodelegittimata di fronte agli occhi dei cittadini portando avanti un disegno preciso: utilizzare i suoi pieni poteri per sostituirsi alla politica, spacciando per inevitabile ciò che invece era semplicemente discrezionale e trasformando progressivamente la sacrosanta lotta contro l’illegalità in una pericolosa lotta contro l’immoralità.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.